Per la seconda volta in un mese hanno ricoverato mio padre in urologia.
Ha da qualche tempo un tumore alla vescica inoperabile e soffre di copiose perdite di sangue nelle urine e di insufficienza renale.
Gli infermieri del pensionato 'non se la sentono di vederselo morire dissanguato davanti' e quindi, periodicamente, lo mandano al SS. Trinità.
Ho chiesto ripetutamente di non farlo, di lasciarlo morire in pace.
Ma, giunti al dunque, mio padre viene spaventato a dovere (con frasi del tipo: se non va in ospedale, muore...) e, a quel punto, lui accetta.
Da qualche giorno gli infermieri dell'ospedale mi hanno chiesto espressamente di andare ad aiutarli (siamo pochi ed abbiamo troppo lavoro!) per dare da mangiare a papà, le cui mani ormai tremano troppo per alimentarsi in autonomia.
Inizialmente mi sono un pò arrabbiato per la richiesta: il sistema sanitario dovrebbe offrire di più e di meglio a chi paga le tasse.
Ma, di giorno in giorno, almeno una volta al giorno, vado ad imboccare mio padre e la situazione, nuova per me e per noi, si sta rivelando interessante.
Il primo giorno non aveva fame, e non voleva mangiare dalle mie mani.
Poi, man mano, ci ha preso gusto ed anche io.
Per quanto sia terribile vedere mio padre ridotto in questo stato, ormai quasi una larva, se non fosse per gli occhi, ancora lucidi e ben piantati sopra il naso, sempre più prominente nel volto magro.
Per quanto sia desolante constatare come ci si riduce nell'invecchiare e nel morire, vedere le vene bucate da decine di aghi, il corpo sempre più martoriato e rinsecchito, asciugato della sua residua vitalità, cereo e assente, raggomitolato nel non senso e nel dolore.
Per quanto tutto questo sia vero, la relazione di cura procede.
Lo imbocco, in quella bocca senza denti e senza parole, mi guarda e mi chiede il cibo, come un bambino.
Ed io, da grande, glielo do, lentamente, attendendo i suoi tempi, chiedendogli cosa preferisce, se ne vuole ancora, se vuole bere ogni tanto.
Gli taglio al carne a piccoli pezzetti, o la banana.
Non era mai capitato tra noi.
Chissà se lui l'ha mai fatto con me, quando io ero piccolo e lui grande e sano.
Immagino di sì, ma non me lo ricordo.
Tra meno di un mese compirà, forse, ottant'anni.
Mi ha avuto che ne aveva 28.
Il cerchio si chiude, e non è solo triste.
Il pastrano
RispondiEliminaUn certo pastrano abitò lungo tempo in casa
era un pastrano di lana buona
un pettinato leggero
un pastrano di molte fatture
vissuto e rivoltato mille volte
era il disegno del nostro babbo
la sua sagoma ora assorta ed ora felice.
Appeso a un cappio o al portabiti
assumeva un’aria sconfitta:
traverso quell’antico pastrano
ho conosciuto i segreti di mio padre
vivendoli così, nell’ombra.
(A. Merini)
e non è solo triste.