sabato 15 giugno 2013

athonitus

Gli abitanti dell'Athos si chiamano athoniti.
Rientro da questo breve, lungo viaggio, attonito.
Era da tempo che non sentivo tante litanie, versetti biblici, kyrie eleison a casse, bassi armonici e cori a tenores.
Non avevo mai visto tanti affreschi di martiri e santi, tante icone di Vergini Panaghìe, tanti Nicola e Cirilli, Giovanni teologi e prodromi.
Non avevo mai sentito insieme tante parole greche, bizantine, russe e serbe.
Non avevo mai vissuto una settimana intera senza vedere un essere di sesso femminile, neppure una donna insomma...

Da un monastero all'altro, giorno dopo giorno, a piedi, in bus, in furgone, in traghetto.
Con il diamonitirion in mano, che testimonia il mio diritto a star lì e a chieder ospitalità, se la si trova, all'arkontarikion che ti accoglie.
Sulla cupola del monastero Pantocratoros appare Dio ed è chiamato  O anarkos pater.
Un padre anarchico ? o forse solo senza origine, eterno, senza tempo, nè inizio nè fine.
Altro che anarchici, qui è tutto super regolato, a modo loro.
Il tempo scorre dalle 6 di sera (la loro mezzanotte) alle 6 del mattino (il loro mezzogiorno).
Ecco perchè ogni mattina ci svegliano alle 4 per lodi e messa, battendo il bastone (talanto) o la sella di ferro (simantra), e quando non basta a svegliarci, suonando anche le campane della chiesa a stormo.
Mangiare si mangia poco e molto rapidamente, spesso una sola volta al giorno (una minestrina, qualche oliva, un'insalatina, due frutti).
Quando la lettura sacra finisce, il pasto si deve interrompere, dopo un max di 15 minuti circa.
Niente bagni in mare (che pure è splendido), vietato.
Solo preghiera e lavoro, pare.
E questi sono i monaci comodi, poi ci sono gli eremi, in cui un migliaio vive nelle grotte, da solo, da anni e anni.
Loro non mangiano i zuccherosi loukoumi, non bevono caffè greco, o ouzo o grappa, come noi, quando veniamo accolti, sempre con cura e attenzione, anche là dove non ci hanno trovato posto per la notte.

Il rito è contrassegnato da un continuo entrare ed uscire dalla scena, che assomiglia al nostro teatro.
Non c'è chiesa, comunità che risponde o collabora ai richiami dell'igoumeno.
I monaci, e solo loro, fanno il rito, a parole e si rimandano la voce a vicenda.
Niente di simile alla nostra messa, soprattutto post-conciliare.
E' un ininterrotto andirivieni di monaci che accendono candele, le ravvivano, le spengono, ognuno col suo ruolo, ed ognuno coi suoi tempi e modi previsti dal rito stesso, ma apparentemente improvvisati e spontanei.
Un ossessivo baciare icone, farsi croci alla rovescia, ondeggiando e danzando, con movimenti che stanno tra Balanchine e una scimmia.
Mi hanno ricordato i riti copti la notte di Natale ad Addis Abeba, ma senza i tamburi.
E quel continuo ripetere: kyrie eleison, come in trance.
Oppure, nel salutarti, anche in strada, Christos anèsti, Cristo è risorto.
E tu non sai che dirgli. Tu che non capisci, tu che non sai, che sei fuori dalla loro fede, e da qualunque...

Una natura splendida, dicevo, intorno a noi.
Una vera celebrazione della bellezze e di Dio, qualunque sia il suo nome o la sua verità.
Tra boschi, mari smeraldo e sentieri nel bosco, ho camminato, ho ascoltato, ho guardato rondinelle e farfalline gialle a migliaia, ho atteso onde e nuvole, sole e gocce di pioggia, fulmini e saette all'orizzonte, scrosci furibondi (come quello che l'ultimo giorno mi ha dissuaso dal salire sino a Simonos Petra).
Eppure, loro non possono fare il bagno, non possono vedere corpi nudi e spogliarsi in pubblico.
Eppure, loro circondano le loro cittadelle di scorie e relitti, apparentemente senza cura per l'ambiente e per il paesaggio.
Sono vegetariani, vivono nella natura, la celebrano e la amano, certo.
Ma la vivono anche come il male, il mondo, la materia.
La contrappongono al silenzio, al bene, allo spirito puro e intoccato, alla parola divina.
Un dualismo doloroso.
Senza sapere che peccato commettessi, una mattina ho fatto il bagno in mare.
Il quasi monaco Martino mi ha redarguito leggermente, tra il serio e il faceto.
Molto meno rigidi, in realtà, di quel che sembrano o delle regole che si danno e ci danno, mi è parso.

Resistono, e questo è grande e raro, ai richiami turistici, alla presenza di hotel e bar, alle strade.
Chissà ancora per quanto ce la faranno.
Qualcosa cambia nel tempo, i cellulari sono arrivati anche qui, ed anche qualche automobile gira, soprattutto di russi, gli ortodossi più ricchi, quelli che stanno finanziando tutto e, qualcuno dice, si compreranno tra poco tutta la Grecia.
Sì, la Grecia, questa terra piena di storia e di debiti.
A Thessaloniki (quella stessa città a cui Paolo ha rivolto alcune sue lettere ed in cui è nato il marrano Morin) ho visto cortei protestare contro la chiusura, il louketo, della tv pubblica ERT.
Almeno un terzo delle abitazioni, degli uffici e dei negozi portano la scritta ENOIKIAZETAI (affittasi) o POLEITAI (vendesi).
Eppure la gioventù, come qui da noi, continua ad affollare i bar, a bere ice coffees, e a buttarsi nei locali notturni, nelle vie centrali e sul porto, locali dai nomi improbabili: Boston, Tribeca, ARoma, Flocafè, Esatto, Venezia, Pepper... Con i soldi di chi ?
Nessuna reazione, se non delle solite minoranze reiette e arrabbiate.
Rimozione, paura e terrore, rassegnazione e decadenza, aria da vomiti e triclini.
( a proposito: che belli i musei di Salonicco, quello di Arte bizantina, soprattutto...).
Mi chiedono dell'Italia, della nostra crisi. Non vorrebbero sentirsi soli a soffrire e ad essere umiliati dalle troike di turno. Li rassicuro: siamo nella merda anche noi. Stessa faccia, stessa razza, mi rispondono allegri.
Mal comune, mezzo gaudio.
Solo le onde al porto si muovono incessantemente, in un alzarsi e scendere e spostarsi impressionante che il mio compagno di viaggio chiama 'maretta'.
Arrivano spesso degli spruzzi, ma i moli contengono il grosso, da millenni, senza requie, senza vincitori nè vinti.

Sono tornato al mio eremo, attonito.
Mi guardo intorno, riprendo quel che sembra ancora la mia vita.
Attendo l'alta marea, guardando il porto dall'alto.
Non so che fare di me.
Non diventerò monaco ortodosso, lo so.
Un'altra cosa che non.
Però è stato un bel viaggio.











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