giovedì 21 giugno 2012

solo e pensoso, i più deserti campi...

MANIA DI SOLITUDINE


Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è già buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in campagna.
Mangio e guardo nel cielo -chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora- il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il io corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che sotto si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un pò di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così com'è fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi: un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acqua tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato del cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte di nuovo, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
(C, Pavese)


In questi ultimi giorni a casa, continuo a fare la vita solita dei miei ultimi anni: dormire, mangiare, bere, cucinare, leggere, scrivere, passeggiare, risolvere parole crociate, pensare alla catastrofe, stare sulle panchine al sole o all'ombra, sotto il gtande ficus della Darsena o sui moli del porto, giocare con il senso, lavorare con i sensi, immaginare quel che non c'è...
Ma qualcosa, sotto, sta cambiando.
Lo capisco dalle leggere palpitazioni del cardias, dai sottili nodi alla gola, dalle piccole nausee irrequiete, dagli slanci improvvisi del cuore, dai mille, vecchi e nuovi, giochi di parole del corpo, dai sogni appannati e dai risvegli, impastati di lacrime (da combattimento).
Sì, qualcosa è cambiato.

1 commento:

  1. Piangevo, cantavo, mosse clandestine. (...) Mantenere: a dieci anni era il mio verbo preferito. Comportava la promessa di tenere per mano, mantenere. Mi mancava. (E. De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, p.14)

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