sabato 8 luglio 2017

tra le aquilone, l'aquilone...

Lo psicoterapeuta italo-americano Luciano L'Abate, nel suo ' Il sé nelle relazioni familiari' (2000), ha proposto uno schema di base che raffigura quattro polarità del Sé su un rombo: il triangolo basso si muove tra l'assenza del sé (no self), l'eccesso e la carenza del sé (selfishness e selflessness). Il triangolo alto si muove invece tra questi ultimi due angoli ed un terzo, quello che tende alla pienezza del sé (selffullness).


A partire da essa, nei 'Dilemmi (diletti) del gioco' (2004), ho proposto un suo arricchimento completandone i lati: la violenza appare qui caratterizzata da aggressività e passività, tra loro ricorsivamente intrecciate e reciprocamente autocatalitiche; un sistema è massimamente votato alla violenza quando convivono e si rafforzano tra loro una minoranza aggressiva (strapotente e dominante, spesso in forme mistificate ed a conflitto latente) ed una maggioranza passiva (impotente e ridotta in stato di minorità, spesso rassegnata e collusa).
La nonviolenza è presentata invece , sui lati del triangolo alto, come l'insieme di assertività ed empatia: mai l'una senza l'altra per evitare gli eccessi, sia di auto- sia di etero-centrazione.



In 'Casca il mondo!' (2007) ho ulteriormente sviluppato le riflessioni sul 'rombo-aquilone', mettendo in evidenza i passaggi avvenuti a mio parere nel corso degli anni tra la fine del secolo XX e i primi anni del XXI.
Ho rivolto l'attenzione alle diagonali: quella tra aggressività ed empatia, nella quale andavano a svilupparsi le nuove forme della violenza, quelle tipiche del conservatorismo compassionevole, del consumismo e delle guerre umanitarie: un coacervo pericolosissimo e coperto di dominio e cura, ammantato di principi democratici e solidaristici, ma capace -perlomeno quanto i moventi degli schemi precedenti (peraltro sempre sussistenti e coesistenti a questo)- di devastare e distruggere popoli, culture, persone.
Già allora quindi cercavo di rispondere invitando il mondo dell'educazione e della politica a reagire sviluppando al massimo livello la diagonale opposta, quella che si muove tra assertività e passività: da un lato accrescendo la nostra capacità proattiva (quella di proporre, intraprendere, creare, dire sì) e dall'altro arrischiando sempre più la nostra messa in gioco attraverso un potenziamento della non collaborazione attiva, della resistenza passiva, del dire no.



'Fare il morto' (2016) completa al momento l'esplorazione della figura.
Sono giunto e si parte da una visione più pessimistica della situazione-mondo, caratterizzata da un'evidente sconfitta dell'educazione e della politica, ormai divorate dal mercato, dalla finanza e dalla guerra. La violenza strutturale e culturale dell'attuale dominio sembra aver occupato la massima parte di tutti i lati dell'aquilone: l'aggressione si è fatta permanente e senza regole, la cura è trasfigurata in ansia di sicurezza, la passività dei molti si rivela in tutta la sua potenza depressiva.
Ed anche l'assertività trova ormai spazio quasi soltanto nella dimensione virtuale dei social, propagandate come attività e libertà assoluta delle e nelle relazioni di rete, promosse dal libertarismo anarco-capitalista.
Le possibilità e le potenzialità di 'fare il morto' si muovono sul lato della passività, o almeno su una sua parte che resta ancora libera dalla violenza e dal dominio: per restare vivi, e per provare a sentirsi ancora vivi, orientati a 'liberarsi della libertà'.
Una visione controparadossale che invita a ridurre l'attivismo senza requie della prestazione per ritrovare il senso dell'agire, del giocare, del godere e del patire.
Da qui si apre -al momento, e per i tempi che vengono- gli impervi e inesplorati sentieri dell'il-lud-etica.


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