martedì 16 giugno 2015

alla berlina

Stiamo assistendo in pochi mesi ad un enorme salto di quantità e qualità del fenomeno 'immigrazione'.
Il numero di persone che fugge, che si imbarca e che sbarca, che cerca rifugio e un futuro, innanzitutto: sta salendo, e -con l'avanzare dell'estate- crescerà ancora esponenzialmente.
Già ora non si riesce ad accoglierli e ad assisterli, figuriamoci a breve...
La chiamiamo emergenza, ogni volta. Ma è solo perchè ogni volta siamo impreparati, facciamo finta che non accadrà, aspettiamo che accada, ed ogni volta fingiamo sorpresa.
Eppure sappiamo quel che abbiamo combinato e stanno combinando in Nord Africa e in Medio Oriente, negli anni.

Ma, al di là della ressa e dei numeri, sta cambiando la qualità del processo.
Da un lato, una buona parte degli immigrati non accetta più di essere identificato e recluso nei Centri, non si fa più irregimentare e rinchiudere nei lager nostrani.
Si gettano a corpo morto sugli scogli, alle frontiere, nelle stazioni, per le strade, tra di noi.
Divengono visibili, fastidiosi, seccanti.
Ostacolano e inquietano i nostri viaggi da pendolari, da turisti, d'affari.
Si gettano a fianco a negozi, gentili commerci, panchine dei parchi e dei giardinetti.
Se devono morire, se sono già morti, stanno lì, qui, non più altrove.
'Non torneremo indietro!', urlano.
Stanno in mezzo alle nostre vite quotidiane, e le assediano.
A Milano, l'Expo si deve confrontare con la fame vera, quella che creiamo noi e che non siamo mai stati capaci di nutrire. E ne esce con le ossa rotte, non solo in termini di immagine, ma di sostanza.

D'altro lato, la reazione degli Stati, a tutti i livelli.
L'israelizzazione del mondo procede: si ergono muri, si ritorna alla difesa dei confini nazionali, ci si affida inutilmente a ridicole distinzioni in punta di diritto: sì ai profughi che scappano dalle guerre e dalle persecuzioni, no ai migranti economici, che scappano solo dalla fame e dalla totale assenza di lavoro e di prospettive.
E chi può distinguerli e separarli davvero ?
E poi, a partire da quale principio, si permette l'accesso agli uni e non agli altri ?
Gli immigrati italiani, e di tutto il mondo, da sempre non sono stati della seconda categoria ?
E quelli che provavano a scappare da Berlino Est verso l'Ovest meraviglioso ?
Con quale credibilità ci mettiamo oggi a fare cavillosi distinguo ?
Saremo costretti a prenderli tutti, ad aprire le frontiere, ad accettare la globalizzazione dei corpi, delle nude vite, dei poveri e degli appestati.
Ma, prima, ci chiuderemo ancora intorno ai nostri privilegi, faremo ancora guerra, costruiremo ancora muri e argini contro lo straniero, contro chi non ha diritti, non ha libertà (se non quella di morire, e a casa sua, possibilmente...).
La secessione dei ricchi non è più una parola d'ordine di leghisti e lepenisti, ma sta avvolgendo la stessa politica ex-liberale ed ex-solidale, che -in stato di stress- rivela la sua natura profonda: la soglia sta per essere oltrepassata e la tolleranza è finita.

E' decisivo che si arrivi a questo, che il conflitto per la vita e per la morte si manifesti in tutta la sua crudezza e spietatezza.
E' urgente che la palude sia smossa.
Noi occidentali non lo faremo mai, da noi e da soli.
Ma -al di là della nostra pigra volontà- i processi catastrofici avanzano e ci costringeranno a tenerne conto e a cambiare.





1 commento:

  1. Qualche giorno fa leggevo su Facebook uno dei tanti link inneggianti al novello Mussolini, il buffo (ne) Salvini. Riprendendo un vecchio slogan in stile USA diceva: l'Italia agli italiani. Non farebbe una grinza se storicamente e antropologicamente avesse un qualche senso. Vien da chiedersi: e l'Africa agli africani?

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