giovedì 24 ottobre 2024

La nonviolenza messa in gioco

 Introduzione

Le tre dimensioni della violenza (culturale, strutturale, diretta), così come sono state definite dalle teorie della nonviolenza (Galtung, 2000), vivono attualmente un'espansione esponenziale ed apparentemente inarrestabile.

La violenza culturale emerge con evidenza sia nelle relazioni col pianeta ed il vivente (la transizione ecologica risulta ancora sottomessa alle logiche della crescita e del mercato: il greenwashing è pervicacemente in corso e la catastrofe climatica inizia a presentare il conto anche in Occidente), sia nei contesti inter-umani (discriminazioni e razzismi, sino a vere e proprie pseudospeciazioni, che ancora ci si illude di poter contrastare con tiepide e cortesi opposizioni 'liberal'-woke').

La violenza strutturale si esprime tragicamente con l'aumento della diseguaglianza economica e sociale, della polarizzazione tra èlite privilegiate e masse impoverite, precarizzate, se non diseredate e abbandonate; il che non può che generare desolazione, rabbia, risentimento, sia all'interno delle società occidentali (per quanto ancora sedate dal consumismo e dai media ?), sia tra queste e altre aree del mondo che -a ragione- si sentono escluse da uno 'sviluppo' tanto promesso e decantato, ma mai raggiunto, se non per pochi e sempre solo all'interno di cornici neo-coloniali).

In un contesto di violenza così estremo non può stupire che il circuito si rafforzi anche mediante una crescita di azioni apertamente aggressive e direttamente espresse: sia nelle relazioni microsociali (ad es. nelle relazioni familiari e di coppia), sia in quelle meso (scontri tra gruppi e tra questi ed enti-isitituzioni (ad es, nell'ambito delle cure sanitarie o del sistema penale), sia nella dimensione macro (proliferazioni di guerre e riarmo tra gli stati, genocidi e progroms, escalation di conflitti armati e prodromi di guerra civile all'interno degli stati).

La guerra ritorna ad essere la condizione di sopravvivenza degli Stati nazionali, che non smettono di emettere funebri richiami all'unità di patria contro il nemico, per preservare così il controllo politico interno, quanto più la situazione ordinaria di 'pace' si profili sempre più ingovernabile e caduca.

In una situazione già così degenerata, esasperata ed estrema, paiono venire a mancare le condizioni minime di senso per un impegno -educativo, culturale e politico- collettivamente e socialmente orientato alla pace.

Le persone si sentono sole, confuse ed impotenti; in particolare, le giovani generazioni si dibattono tra il vuoto del presente e le angosce di un futuro senza prospettive, quando non minaccioso.

L'esistenza di tutti procede all'interno di un sistema di vita che vuole proseguire a distrarci con luci e paillettes, ma di fatto è impegnato quotidianamente a spegnere i sogni, a mortificare le esperienze di vita, ad alienare ragazzi e giovani nella scuola e gli adulti nel lavoro.

I movimenti sociali stentano a nascere e a manifestarsi, e -soprattutto- a durare e a coordinarsi.

Ognuno sta solo sul cuor della terra; e la 'società' ha come perso colore, pare essersi (e)stinta.

Anche la nonviolenza, intesa come teoria-prassi dell'azione educativa, sociale e politica alternativa alla violenza, inevitabilmente arranca e sembra non poter più rispondere alle istanze politiche ed ai conflitti violenti (culturali, strutturali e diretti) del secolo XXI.

1. Analisi/Sintesi

I motivi sono vari:

  • la neutralizzazione crescente imposta sulla nonviolenza da parte di un pacifismo generico ed imbelle, unicamente votato a cercare di evitare la guerra per noi stessi, ma senza rimettere in discussione i nostri interessi economici (ad es. dell'industria d'armi) ed i nostri stili di vita e di consumo e quindi favorendo i teatri di guerra in un altrove, che però man mano si avvicina sempre più ai nostri confini e alle nostre vite; è inutile ed ipocrita educare alla pace se nella nostra vita concreta continuiamo a preparare alacremente la guerra;

  • la crescente criminalizzazione delle azioni di protesta e di disobbedienza civile, ormai perseguite e penalizzate dagli Stati, anche sedicenti democratici, alla stregua delle azioni violente, quando non equiparate a veri e propri atti terroristici (come nel DDL 1660/24, di recente imposto dal Governo italiano); ma non si può educare nella paura e sotto minaccia, senza favorire la possibilità di una pratica della libertà. Così si alimentano soltanto, per un verso, la paura di agire e protestare da parte di chiunque, minando alla radice in primo luogo le residue possibilità di contestazione da parte delle giovani generazioni; e quindi, per altro verso, si provoca quel ribellismo momentaneo e aggressivo, disorganizzato e senza prospettive che sta attraversando ad ondate improvvise le nostre società, caratterizzato da episodi di guerra civile per bande, distruzioni vandaliche, esplosivi ed apparentemente insensati acting out (atti che, peraltro, alimentano di fatto ulteriori escalation repressive e richieste securitarie per chi ha il solo interesse a proteggere la propria comfort zone ed i propri privilegi, piccoli o grandi che essi siano);

  • le istituzioni che dovrebbero essere orientate all'educazione, alla conoscenza, alla formazione ed alla mediazione nonviolenta dei conflitti (i sistemi politici e dell'istruzione) hanno accentuato invece la loro corsa verso modelli e valori individualistici, ipercompetitivi, tecno-strumentali e funzionalistici, fungendo così da promotori di fatto di una cultura che ispira la violenza sociale, in barba a qualunque retorica della cooperazione e dell'inclusione. Ma una scuola-azienda non potrà mai essere una scuola di democrazia. (Gray, 2015; Euli, 2019; Dewey, 2023)

    Il soluzionismo tecnocratico che da questa cultura si genera vuole imporsi quale strada obbligata per la gestione delle emergenze permanenti nelle quali ci dibattiamo, ma non potrà mai andare oltre le soluzioni-tampone e -alla lunga- aggraverà ulteriormente la situazione.

  • il controllo sociale, attraverso le reti informatiche e la digitalizzazione forzata, permea le nostre vite quotidiane a tutti i livelli e rende pressoché impraticabile qualunque forma di mobilitazione che possa organizzarsi senza subire immediatamente un insieme di processi che ne limitino o inquinino l'azione pubblica e la sua portata trasformativa (manipolazioni mediatiche, infiltrazioni, dossieraggi, sino alla vera e propria repressione preventiva); l'informatizzazione, inizialmente idealizzata quale latrice di libertà ed autonomia, si è trasformata in strumento di controllo e di oppressione verso le opposizioni e verso la stessa libertà di informazione, sotto qualunque regime politico, in ogni parte del mondo; e l'ambito educativo, anziché opporsi alla digitalizzazione, vi si sta adeguando velocemente, assumendolo quale scorciatoia innovativa per attrarre le giovani generazioni (che di tutto avrebbero bisogno, vista la dipendenza di cui già soffrono, tranne che di un ulteriore apporto di questa natura) (Euli, 2020, 2021);

  • la virtualizzazione dei rapporti sociali, soprattutto dopo la pandemia, ha ingenerato infatti ancor più quel processo di isolamento-acquiescenza-passivizzazione-decorporizzazione che da tempo ha reso sempre più evidente il richiamo ad una obbedienza conformistica e sempre più rara l'emersione di movimenti socio-politici organizzati ed attivi, capaci di andare oltre la protesta 'da tastiera' o a nicchie identificative ristrette (quale appare il movimento lgbtq+, ad esempio); ma non può esistere educazione senza azione ed incorpazione dei valori e dei significati, senza che il conflitto si esplichi nella dimensione sociale (e non solo individuale o -ancor meno- intima e privata);

  • la fine delle democrazie politiche e la loro trasformazione, graduale ma inesorabile, in democrature che preservano -almeno al momento- i riti elettorali di regime, ma senza salvaguardare la sostanza di una reale partecipazione dei cittadini alle decisioni collettive;una politica occupata dai politici di professione, che agiscono peraltro su pressione di lobbies economico-finanziarie, non è compatibile con una crescita della coscienza e della passione politica; è questo che genera inevitabilmente un crescente disimpegno pubblico, intriso ormai di rassegnazione, diffidenza, senso di impotenza; da qui fenomeni quali l'astensionismo ed il ritiro sociale, la sclerosi dei movimenti, l'assenza di un vero dibattito politico sulle questioni fondamentali della nostra convivenza civile;

  • l'impossibilità di distinguere tra quel che viene definita guerra (cioè il terrore praticato dagli Stati) ed il terrorismo (cioè la guerra praticata da quel che Stato non è) semplifica e insieme complica la situazione per una chiara prospettiva nonviolenta: da un lato, ci impedisce a proseguire su distinzioni retoriche, di comodo e di parte; dall'altro però le possibilità di lavorare sul piano della mediazione e della sanzione si riducono enormemente (sempre che l'ONU potesse davvero svolgerla sin da principio) e gli Stati -praticando il terrore e accusando chiunque si opponga loro di terrorismo- perdono la loro potenziale apertura 'costituente' verso nuove leggi ed opzioni di scelta (obiettivi tipici di una prospettiva tradizionale della lotta nonviolenta,ma anche di una vera democrazia politica, anche intesa solo in senso meramente liberale).

    L'educazione alla nonviolenza è sempre anche educazione alla divergenza, alla legittimità dell'essere differenti e dell'agire contro e oltre lo status quo, se lo si consideri ingiusto e -seppur legalizzato- illegittimo. Una visione che oggi trova sempre meno spazio per realizzarsi e, addirittura, per poter essere liberamente espressa.



2. Possibilità/ Impossibilità ?

Se tutto questo appare verificato e incontrovertibile, resta da chiedersi quali prospettive restino o si aprano per la nonviolenza oggi e (se ce ne sarà uno) nel prossimo (o -più probabilmente- remoto) futuro.

La prima è quella di puntare ad un'implosione catastrofica del sistema di violenza dentro cui siamo immersi. Questa evenienza appare -infatti- sempre meno improbabile e sempre meno lontana nel tempo.(Euli, 2007) Essendo venute a cadere -come evidenziato nelle parti precedenti del testo- le possibilità di una riforma interna del sistema (le illusioni basate cioè su una sua crescente 'sostenibilità', politicamente pilotata dalle istituzioni statali) ed entrando definitivamente in crisi gli equilibri che erano andati a costituirsi nel post guerra fredda (vedi oggi il declino dell'impero americano, l'emergere di un un neofeudalesimo no-global, l'espansione dell'imperialismo economico asiatico, la costituzione di nuove alleanze militari contrapposte...), la nonviolenza dovrebbe finalmente assumere la catastrofe come necessità storica ed ecologica, abbandonando il 'principio-speranza' e facendo invece del 'principio-disperazione' la cornice dentro cui riprendere a lottare (proprio perché ed in quanto consapevoli che 'non abbiamo più niente da perdere').

Dobbiamo attraversare insieme la depressione, per depotenziare le derive schizo-paranoidi in atto ed imparare a deprimerci con coraggio. (Berardi (Bifo), 2024)


La seconda, al fine di accelerare ed assecondare la catastrofe in corso, è quella di ridurre progressivamente la nostra collaborazione collusiva col sistema circuitale della violenza.

Il capitalismo si è rivelato quale potenza pedagogica potentissima ed insuperabile su scala globale: ma quel a cui ci educa è disumano ed anti-ecologico: ci conduce all'estinzione e alla devastazione totale del pianeta in cui viviamo.

La soluzione non può essere l'adattamento unilaterale, tanto esaltato e propagandato oggi alla voce 'resilienza'.

La non-collaborazione attiva, palese o coperta, nei luoghi di lavoro e nella produzione, il boicottaggio dei consumi e delle merci, l'astensione collettivamente organizzata dai riti elettorali, le obiezioni e le renitenze politiche, la decrescita volontaria appaiono tutti elementi di una possibile strategia nonviolenta tendente ad un ''esodo volontario, pubblico e condiviso' che, in un recente passato, ho già definito come 'fare il morto' (che non è altro che l'atteggiamento esplicativo e proattivo (e quindi nonviolento) del 'deprimersi con coraggio' precedentemente espresso). (Euli, 2016)


La terza possibilità è l'assunzione di una prospettiva radicalmente autogestionaria ed an-archica, che accentui più radicalmente la posizione oltre-statalista della nonviolenza: gli Stati si stanno sempre più rivelando come strutture istituzionali anti-istituenti, ostili ai loro stessi cittadini e ancora una volta forieri di divisioni, se non di conflitti armati, tra i popoli: il fallimento dell'Unione Europea, rimasta ostaggio degli interessi nazionali e incapace di assumere un ruolo autonomo nelle guerre in corso, è senz'altro rivelatore.

Le democrazie che non sono disposte a democratizzarsi, muoiono. E, infatti, quelle in cui viviamo sono come dei bozzoli che trattengono esseri già abortiti da tempo.

In un contesto post-democratico quale è già quello attuale, risulterebbe quindi anacronistico proseguire con una -ormai infondata- fiducia nelle istituzioni esistenti, sia in quelle politiche che in quelle giuridiche: non dobbiamo più badare alle eccezioni positive (che esisteranno sempre in qualunque sistema, anche il più malato ed inguaribile (il buon prete, il buon professore, il buon amministratore, il buon parlamentare, il buon imprenditore, etc...).

Perché, al di là di singoli casi, dobbiamo finalmente convincerci che non esiste più la possibilità di aprire nuove fasi 'costituenti' all'interno di un sistema che, invece, tende e tenderà irreversibilmente a chiudersi sempre più dentro il suo guscio, impermeabile ad ogni critica e favorevole soltanto a cambiamenti e riforme che siano funzionali al mantenere/rafforzare le forme violente del suo dominio.

Non possiamo e non dobbiamo più aspettarci nulla da esso, e non dobbiamo più quindi chiedergli nulla. Non dobbiamo più chiedergli di prendersi cura di noi. Dobbiamo imparare ad uscire dalla cornice dei 'diritti' e iniziare a praticare la nostra vita 'al rovescio'.


L'ultima è quella di iniziare comunque a praticare la nonviolenza laddove si può o riusciamo a costruirla con chi ci già se la sente di provare a farlo.

Oltrepassare l'antropocentrismo e aprirsi a nuove relazioni con la rete dei viventi a cui tutti noi umani apparteniamo da sempre e per sempre, anche se viviamo come se così non fosse. (Marchesini, 2016; De Waal, 2020)

Assumere quindi una prospettiva di vita evoluzionaria: proseguire a praticare un'educazione aperta e all'aperto, non richiusa in se stessa e non al chiuso di mura, che siano reali, mentali o immaginarie. Nelle relazioni interpersonali, nel lavoro formativo ed educativo, nei luoghi di lavoro, nei movimenti possiamo iniziare a mettere in discussione le 'microfisiche del potere' che ci attorniano, ma che non sono inscalfibili: vedersi come persone e non come ruoli, depotenziare le gerarchie staticamente definite, cercare il senso delle regole e rifiutare una cieca obbedienza ad essa, non accettare di essere colpevolizzati per responsabilità che dovrebbero ricadere sul sistema, limitare l'uso della tecnologia digitale e incontrarsi in presenza, ridarsi tempo, sperimentare nuovi giochi relazionali e sociali.

La prospettiva ludica può infatti venirci a soccorrere in un frangente storico tanto tragico e apparentemente senza uscita: per provare ad imparare ad abitare le distanze ed i conflitti, a convivere con gli irresolubili dilemmi della co-esistenza, ad orientarci verso modalità nonviolente del pensiero e dell'azione, personale e collettiva.(Euli, 2004)

Se la nonviolenza infatti non si diffonderà quale modalità di lotta resteranno solo due possibilità, entrambe funzionali al mantenimento del dominio: la passività generalizzata o la controviolenza della vittima, vera o presunta. Non è un caso che inizino a diffondersi entrambe come non mai.

Le origini e gli sviluppi della guerra in Ucraina e in Medio Oriente lo evidenziano con estrema, tragica chiarezza.

Proseguire a testimoniare l'Aperto diviene -ancor più oggi quindi- un dovere morale fondamentale, indipendentemente dal successo che avranno al momento le nostre scelte. (Capitini, 1967; Melucci, 1994; Ingold, 2016; Guerra 2020).

La rivoluzione è la meta che si prefiggono coloro che credono solo nelle cose di questo mondo e pertanto si occupano delle circostanze e dei tempi della loro possibile realizzazione nel tempo storico secondo i rapporti di causa ed effetto. La rivolta implica invece una sospensione del tempo storico, l’impegno intransigente in un’azione di cui non si sanno né si possono prevedere le conseguenze, ma che, per questo, non scende a patti e compromessi col nemico. Mentre coloro che non vedono al di là di questo mondo badano soltanto ai rapporti di forza in cui si trovano e sono pronti a mettere da parte senza scrupoli le loro convinzioni, gli uomini della rivolta sono gli uomini del ci-non-è, che hanno sospeso una volta per tutte il tempo storico e possono per questo agire in esso incondizionatamente. Proprio perché le cose che ci-non-sono non rappresentano per essi un futuro da realizzare, ma un’esigenza presente di cui sono obbligati in ogni istante a testimoniare, tanto più inesorabilmente la loro azione agirà sull’accadere storico, spezzandolo e annichilendolo.
A coloro che cercano oggi con tutti i mezzi di vincolarci a una pretesa realtà fattuale che non consente alternative, occorre opporre innanzitutto il pensiero, cioè la visione limpida e perentoria delle cose che ci-non-sono. Solo a chi senza farsi illusioni sa che il suo regno non è di questo mondo, ma nondimeno è qui e ora a suo modo irrevocabilmente presente, è data la speranza, che non è altro che la capacità di smentire ogni volta la menzogna brutale dei fatti che gli uomini costruiscono per rendere schiavi i loro simili
. (Agamben, 2024)



Biblio-sitografia


  1. G. Agamben, Sulle cose che ci-non-sono, in Una voce (blog), https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-sulle-cose-che-ci-non-sono, 3 giugno 2024

  2. F. Berardi (Bifo), Come terminare, https://francoberardi.substack.com/p/come-terminare, 3 agosto 2024

  3. A. Capitini (1967), Educazione aperta, La Nuova Italia

    F. De Waal (2020), L'ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali, Cortina

  4. J. Dewey (2023), Arte, educazione, creatività, Feltrinelli

  5. E. Euli (2004), I dilemmi (diletti) del gioco, la meridiana

  6. E. Euli (2007), Casca il mondo! Giocare con la catastrofe, la meridiana

  7. E. Euli (2016), Fare il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza, Sensibili alle foglie

    E.Euli (2019), Prolegomeni ad ogni futura pedagogia che voglia presentarsi come scienza (e come professione), in S. Deiana (a cura di), Pedagogiste e pedagogisti tra formazione e lavoro, Pensa

  8. E. Euli (2020), DEAD: Didattica Estinta A Distanza ?, in Studium educationis, vol.21 (3)

    E. Euli (2021), Homo homini ludus. Fondamenti di illudetica, Sensibili alle foglie

  9. J. Galtung (2000), Pace con mezzi pacifici, Esperia

  10. P. Gray (2015), Lasciateli giocare, Einaudi

  11. M. Guerra (2020), Nel mondo. Pagine per un'educazione aperta e all'aperto, Franco Angeli

  12. T. Ingold (2016), Ecologia della cultura, Meltemi

  13. R. Marchesini (2016), Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zooantropologica, Anicia

  14. A. Melucci (1994), Passaggio d'epoca, Feltrinelli


giovedì 13 giugno 2024

a chi vuole sperare ancora

 

C'è infinita speranza, ma nessuna per noi (Lettera di Franz Kafka a Max Brod)

Gli amici di Comune.info mi chiedono di aderire alla loro nuova campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.

Ho risposto che -da buon catastrofista militante- non posso aderire

Ricordo ancora una volta che la Speranza (che è sempre l'ultima a morire) usciva per ultima dal vaso dei mali. Era un antidoto ad essi, ma perché stava nel vaso con loro?

É il tempo di chiederselo e di risponderci.

Penso che il principio-speranza non possa più esserci d'aiuto, anzi sia un ostacolo -da tempo- per qualsiasi ipotesi di cambiamento. Un male, insomma.

Nuove possibilità potranno emergere infatti-lo sostengo ormai da quasi due decenni- soltanto dall'assunzione della catastrofe come dato di fatto irreversibile ed irrimediabile.

Proseguire a rimuoverla o a rinviarla, fingendo di poter sperare ancora in soluzioni politiche o tecnologiche, è il nostro (vostro) problema.

E' proprio il fatto di non aver assunto la catastrofe da una prospettiva rivoluzionaria che ha generato quel che vediamo oggi: una sua assunzione e gestione a partire da una prospettiva reazionaria.

Proseguire a sperare (nella democrazia, nei partiti, nelle elezioni, in Ilaria Salis o in Michele Santoro, nei movimenti, nelle presunte alternative, negli auspici di progresso...) non ha più senso e ci allontana inevitabilmente da una prospettiva che -come già accade in Occidente- non ci lasci in mano al neofashismo capitalista imperante (ben più pericoloso, attivo e attuale del neofascismo contro cui qualcuno continua ad accanirsi retoricamente e invano...).

Inutile auspicare o sperare altro: il neofashismo non può -né tanto meno potrà- gestire la catastrofe se non in modo ulteriormente catastrofizzante: la sua gestione catastrofica della catastrofe non conosce alternative alle sue eterne e false soluzioni: la crescita, lo sviluppo, il consumo e, se questi non funzionano, la violenza diretta e la guerra.

Ci siamo già, in quasi tutto il mondo, e inizia a toccare anche a noi qui (da qui, la paura).


Nient'altro che la disperazione può salvarci (Theodor W. Adorno)

Se un movimento dovesse nascere ora dovrebbe essere quindi un movimento per la disperazione, come già qualcuno (Tommaso Pellizzari) ha provato saggiamente (e inascoltatamente) a scrivere qualche anno fa.

Quel che possiamo oggi è infatti deprimerci con coraggio, avere il coraggio di ammettere il fallimento e di deprimerci attivamente (fare il morto).

O disperare gioiosamente, insieme, illudeticamente.

Devo constatare invece che si preferisce -anche tra gli amici come voi- continuare a sperare.

Il che assume per me le caratteristiche di un mantra neo-religioso: potrebbe valere per Papa Francesco e una sua omelia e risultare comprensibile solo per chi crede ancora in un Dio (che è morto). Peraltro, anche in quell'ambito, mi pare che le teologie negative o apocalittiche non manchino. Non potremo risorgere mai, se non siamo disposti a morire.

Ma non sono qui per parlare di teologia ecclesiale.

Vorrei dire solo che -se si voleva stare nella dimensione della speranza, della solidarietà filantropica o della fede in altri mondi possibili- avremmo fatto meglio a restare cattolici.

Oppure perché -a quel punto- non aderire agli squallidi e speranzosi green-washing della pubblicità?

Ora tocca a noi. La speranza si diffonde nei mari e negli oceani del nostro pianeta...L'esploratrice e biologa Sylvia Earle, con la sua inestimabile esperienza, contribuisce al raggiungimento di questo obiettivo attraverso la sua organizzazione Mission Blue, con la quale ha creato oltre 130 Hope Spot, ed è solo l'inizio. Quest'iniziativa trasmette un messaggio di speranza alle generazioni future ed è un esempio dell'impegno necessario per garantire al pianeta un avvenire perpetuo. Ora e sempre. Rolex sostiene Mission Blue nel suo impegno a proteggere il 30% degli oceani entro il 2030. #Perpetual Planet Initiative/Oyster Perpetual Sea-Dweller


Lasciamo perdere, almeno noi, per favore, grazie.

Basta con i miraggi. Basta con le false luci che ormai sono solo lumini dei nostri immensi cimiteri.

É giunto il momento di andare oltre la paura della fine, di entrare nell'oscurità, interpretarne i segni,  imparare ad amarla.

Abbiamo tutti paura del buio. Costruisci dieci lampioni e avrai fatto un villaggio. Siamo come falene. Quando il buio incombe ci precipitiamo verso la luce. Così la maggior parte di noi si accontenta delle lampadine. Dimentichiamo l'oscurità. Per questo non conosciamo il desiderio. (grazie a Chiara P.)






mercoledì 22 maggio 2024

superflua -necessaria?- spiegazione

Essere stoici nell'era del vittimismo significa passare per scostanti; peggio, per insensibili.

E' strano...come tanti confondano il senso di colpa con l'assoluzione. Delle varie fasi di passaggio fra uno stadio e l'altro sono molto meno consapevoli.

Di recente ho sentito una donna definire se stessa straordinariamente sincera. Patetica stupidaggine. Non esistono livelli di sincerità. Esistono livelli di menzogna, ma quella è un'altra faccenda.

La pietà come modo dell'aggressività. Aveva ragione Zweig, meglio stare alla larga.

La studentessa che mi ha detto, serissima, che non le piaceva Madame Bovary "perchè Emma non era una buona madre". Che il cielo ci assista.

-Ma penso che tu li disprezzi, i politici. -Si può sapere che cosa te lo fa pensare? -Il fatto che sono gente corrotta e opportunista, presuntuosa e incompetente.  -Non sono d'accordo. Credo che perlopiù siano persone in buona fede, o convinte di esserlo. Il che rende la loro una tragedia morale da compatire ancora di più.

J.Barnes, Elizabeth Finch, 2022

 

Alcuni umani (pochi)  mi chiedono perchè non sto più scrivendo.

E' facile rispondere:per stanchezza, e per noia.

Quel che prosegue irrimediabilmente ad accadere -non trovate anche voi ?- appare irrimediabilmente deprimente, soporifero.

Dovrei fingere di scandalizzarmi per i continui, ennesimi episodi di corruzione a tutti i livelli?

Per farlo, dovrei considerarli episodi e non -come credo da sempre e sempre di più - una componente strutturale di qualunque istituzione, pubblica o privata, magistratura inclusa.

Dovrei parlare di elezioni europee o comunali, esaltarmi per Conte o Schlein, rammaricarmi di essere in mano a Meloni o Salvini? Invitare a votare o non votare?

Per farlo, dovrei vivere ancora negli anni 70, sperare in Berlinguer, leggere Il Manifesto e odiare Andreotti. E dovrei ancora sperare che gli esseri umani fossero capaci di trarre le dovute conseguenze dalle loro esperienze politiche trascorse. Non è più così per me.

Dovrei esaltarmi per le accuse della Corte dell'Aja a Netanyhau ed Hamas, e per la richiesta del loro arresto per crimini di guerra?

Per farlo, non dovrei sapere che la guerra stessa è un crimine in quanto tale; e dovrei credere che questa condanna possa fermarli nella loro ansia paranoica di distruzione o, perlomeno, possa davvero farli arrestare uno ad uno. Se la stanno ridendo, invece, e lo sappiamo tutti.

Dovrei rifare di continuo i conti dei morti palestinesi, enumerare i nomi, le qualità e quantità dei missili e dei droni utilizzati di mese in mese e di anno in anno?

Per farlo, dovrebbe piacermi -come pare accada a migliaia di giornalisti e concittadini necrofili- la guerra stessa, ormai intesa soltanto come ultimo infinito spettacolo del nostro tempo (oltre a Sanremo e alla serie A, ovviamente).

Dovrei recriminare per la morte in elicottero di un criminale iraniano, quasi certamente -come altri- fatto fuori impunemente dal Mossad? O dovrei dire che ne sono soddisfatto?

Per arrivare a questo, dovrei lasciar troppo da parte la mia residua parte di umanità.

Dovrei commentare le nuove alluvioni, inondazioni, cataclismi ricorrenti?

Per farlo, dovrei dimenticare la catastrofe globale e irreversibile in corso da tempo e la nostra totale incapacità di smettere di causarla.

Ecco perchè non vale la pena neppure di continuare a parlarne o a scriverne.   

Il paradosso è qui: che debba scrivere per dirvelo.

Ma (e immagino che anche voi lo sappiate, e ve lo diciate, pur se proseguite a far finta di niente): non ci sono più parole possibili, anche le parole finiscono, mentre si precipita.

 



giovedì 25 aprile 2024

alla vera festa della liberazione

Il foruncolo era giunto a maturazione sotto l'effetto del caldo umido del pomeriggio, il pus verdasro premeva sotto la pelle, sottile come un foglio di carta. Accanto alla gamba destra scorsi un pezzo di ferro arrugginito, lo raccolsi con la mano destra e mi servii del bordo affilato per aprire delicatamente la punta dell'ascesso. Sentii un leggero fruscio, come quando si taglia un pezzo di seta. In bocca mi aumentò la salivazione...mi doleva, ma strinsi i denti e continuai a tagliare. Sul bordo della lama si attaccò un pezzo di carne putrida verdastra. L'avevo aperta, ne uscì sangue misto a pus. 

Perchè fare gli schizzinosi! Questa era la vita! E la trovavo molto bella! Era come un viso, che diventa più bello quando è stato pulito dal trucco. In effetti, solo una volta diventato grande che la gente ama i propri foruncoli come ama le proprie pupille. Ma da quel giorno, una vaga sensazione mi disse che la cosa più tragica e terribile di questo mondo è la buona coscienza. Questa cosa a forma di patata dolce, puzzolente come il pesce marcio e color miele è la calamità che mina l'ordine del mondo. Molto tempo dopo, mentre passavo per un ricco centro commerciale, vidi la gente che inchiodava la buona coscienza su una graticola e la arrostiva su un bel fuoco a carbone. Il profumo era inebriante, e allora capii perchè quel mercato era così prospero.

(Mo Yan, La colpa, 1986)

mercoledì 24 aprile 2024

tradito-annoiato

 Mi sento tradito-annoiato:

- dalle guerre e dai genocidi in corso, dalle fosse comuni a Khan Yunis e dal fatto che nessun governo occidentale andrà a fare discorsetti e celebrazioni. Gaza (Palestina) non vale Bucka (Ucraina);

-dalle astensioni italiane sul Patto di stabilità, dopo averlo approvato come Governo e, di fatto, anche come opposizione: il solito trucco delle tre carte pur di farsi votare (non sarebbe l'ennesimo, buon motivo per non votarli mai più, invece?);

-dalle spese e dalle esercitazioni militari in corso ed in aumento vertiginoso (270 miliardi di dollari solo nel 2023);

-dalle censure su Scurati, dall'occupazione partitica permanente del servizio pubblico Rai; ma anche dalle reazioni automatiche di chi contesta la censura e continua a chiedere ai fascisti di dirsi 'antifascisti' (ma a cosa cazzo servirebbe 'dirlo', se lo sono mai chiesti?);

-da chi mi chiama a fare formazione e spera di rendermi parte dei loro silenzi e collusioni;

-da chi si dice interessato a comprarmi una porta-finestra usata (a decine) e poi non mi chiama (a decine);

-da chi mi dice che leggerà il mio libro e mi farà sapere e poi non lo legge mai e non mi fa più sapere nulla (quasi tutti i miei colleghi, cioè, a cui l'ho regalato);

-da quasi tutti quelli che conosco -in varie circostanze- e, molto spesso, anche da me.



martedì 16 aprile 2024

stati uniti del baratro

 

Più avanti negli anni, quando Gregory si interrogava sulla natura della premeditazione, parlava spesso della chiarezza apportata da uno stato di guerra come di un grande sollievo, della tentazione che qualsiasi società ha di risolvere le sue ambiguità e decisioni difficili puntando sulla guerra.

(M.C. Bateson, Con occhi di figlia. Ritratto di Margaret Mead e Gregory Bateson)


Guerra vuol dire difendere noi dagli altri. Pace significa difendere gli altri da noi.

(R.Benson, Il libro della pace)


Differire la restituzione del dono o della vendetta può essere un modo di mantenere il partner-avversario nell'incertezza delle proprie intenzioni...; ciò significa mettere alla prova la sua pazienza tramite una minaccia sempre sospesa e mantenere il vantaggio dell'iniziativa... É noto tutto il vantaggio che il detentore di un potere trasmissibile può trarre dall'arte di differirne la trasmissione e di mantenere l'indeterminazione e l'incertezza sulle sue intenzioni ultime.

(P. Bourdieu, Per una teoria della pratica)


Perchè il segretario dell'ONU continua a piagnucolare ricordandoci che ci muoviamo ormai sull'orlo del baratro? Non sarebbe più onesto se ammettesse, se riconoscessimo, che siamo già da tempo ben oltre l'orlo e che stiamo precipitando in un baratro di cui non possiamo vedere la fine?

Perchè i governanti di tutto il mondo continuano a implorare pause e ravvedimenti al fine di scongiurare ed evitare l'escalation? Non sarebbe più onesto se ammettessero, se riconoscessimo, che siamo già da tempo dentro un'escalation che già ora avanza rapidamente e si rivelerà ancora una volta irreversibile?

'Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo rispondere!'

Il gabinetto di guerra israeliano dice così il falso e il vero.

Il falso, perché molte sarebbero state e sarebbero le alternative possibili, sempre.

Il vero, perché questa -e solo questa- è la logica razionale di qualunque escalation in atto.

Quando la si intraprende, non se ne può uscire.

In un escalation non ci si può accontentare del pareggio.

Il gioco è a somma zero: si vuole assolutamente e totalmente vincere, trionfare, abbattere l'avversario, perchè la tua vita è la sua morte.


Soprattutto se, come in Ucraina e in Palestina, hai qualcun altro che ti arma e ti difende dietro le spalle (questo è il significato di 'spalleggiare', giusto?).

Si finge che l'espansione delle guerre in corso dipenda da contendenti autodeterminati (Zelenski o Netanyahu).

Non è così. Se gli Stati Uniti e l'Europa (ed ora anche i governi sunniti, sauditi e giordani) non li foraggiassero e non volessero fare guerra ai loro attuali nemici (Russia e Iran), queste guerre non sarebbero durate e non si sarebbero allargate a macchia d'olio come invece sta accadendo.

Se gli Stati Uniti e l'Europa non avessero le loro esigenze di controllo su quei territori, su quei politici, su quelle risorse energetiche ed economiche, queste guerre non sarebbero neppure iniziate.

Sono i nostri interessi coloniali a determinarle in questa forma (così come già accaduto in Libia, in Iraq e in Afghanistan).

Senza di noi, -sempre che fossero sorte- sarebbero rimaste delle guerre locali e avremmo dovuto-potuto facilitare degli armistizi, imporre delle negoziazioni, proporre dei mediatori.

Non è stato e non sarà così: da tempo abbiamo scelto un'altra strada.

Essa porta -di necessità- dentro il baratro e dentro l'escalation.

Non era un destino. Lo è diventato.




venerdì 12 aprile 2024

bonus malus

 

La genialata dei bonus a raffica e dei superbonus a pioggia si rivela per quel che è: un rimedio che è peggio del male, l'ennesima (parziale e temporanea) soluzione che si rivela un (grande e prolungato) problema. Il sistema economico va a picco e i governi provano a salvare la faccia dopo aver salvato le facciate. Ma non riescono a convincere nessuno che minimamente osservi e ragioni.

Peraltro, attaccarsi ai bonus per giustificare le ristrettezze e la decrescita forzata in atto, non convince ugualmente.

Si cerca solo di galleggiare sino al dopo-elezioni: in autunno ci sarà sempre tempo per piombare nel disastro totale, irreparabile e irreversibile, a cui ci sta conducendo l'economia di guerra.

Questa, si sa, favorisce solo la guerra stessa (chi la fa, chi la prepara, chi la conduce) e sfavorisce tutto il resto.

E' incompatibile con il soddisfacimento dei bisogni primari di gran parte della popolazione (mangiare, istruirsi, curarsi, proteggersi dal freddo, avere un tetto...).

Ancor prima di avvolgerci direttamente nelle sue spire, ci impoverisce e ci angoscia, anche se apparentemente tocca altri (con le nostre armi) e appare ancora un vantaggio (per le nostre armi).


Il quadro geopolitico, nel frattempo, si aggrava e diveniamo sempre più consapevoli che basterebbe un nonnulla per farci precipitare nell'abisso.

Da vari lati si fingono dialoghi, negoziati, trattative, accordi: ma in Qatar si attende un accordo di tregua da mesi senza alcun risultato e nel frattempo gli ostaggi saranno già tutti morti e tutta la Striscia ( Rafah compresa) sarà invasa e distrutta; a Lucerna si inaugura una conferenza di pace sull'Ucraina, ma senza invitare i russi; i paesi arabi cercano di convincere l'Iran a non attaccare Israele, ma intanto finanziano attentati e confidano in azioni paramilitari coperte, tali da punire gli ebrei senza pagare (e farci pagare) i costi di una ritorsione globale su più vasta scala.

Ma l'Iran non è Hamas: attaccarlo -come già si sta facendo- è un azzardo senza senso e dagli effetti imprevedibili.

Ancora una volta, anziché alle nostre facoltà di mediazione, ci affidiamo alla ragionevolezza del potenziale nemico: sembra meno oneroso, ma ad un certo punto si potrebbe rivelare fatale.


In tutto questo, l'Unione europea va verso le elezioni.

Un'Europa totalmente in mano agli apparati di partito, a loro volta totalmente in mano alle lobbies.

Se avete visto 'Food for profit', dedicato ai potentati che controllano le politiche agricole, alimentari e d'allevamento del nostro continente, sapete di cosa parlo.

Quel documentario ci svela ancora una volta che le possibilità di un potere democratico non sussistono più, neppure in un sistema di recente formazione come la UE.

Il livello di corruzione, di collusione è tale da non permetterci più di considerarlo un elemento di degrado parziale (le cosiddette 'mele marce'), ma siamo costretti ad evidenziarne il carattere strutturale e irreformabile.

Gli appelli finali del film stesso appaiono, quindi, obsoleti e non conseguenti rispetto a quel che il film stesso rivela, come troppo spesso capita anche a chi ancora ritiene di fare una politica di opposizione e di proporre altri mondi possibili.

La solfa finale appare purtroppo sempre la stessa: votare gli onesti, i bravi e buoni, quelli che non si faranno corrompere, che hanno dei buoni programmi elettorali, che sono dei 'sinceri democratici'.

Non si vuole capire: si prosegue a 'sperare' e a 'collaborare', a negare l'evidenza della catastrofe sistemica in cui le le nostre vite ( e soprattutto le nostre senili istituzioni) sono ormai avviluppate irrimediabilmente.

Da qui si dovrebbe ripartire. Daccapo.








giovedì 11 aprile 2024

cosa fare quando non c'è più nulla da fare?

Dopo questa conferenza di Bifo un mese fa a siracusa

https://comune-info.net/cosa-fare-bifo/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_source_platform=mailpoet&utm_campaign=La%20fine%20di%20Israele

posso anche tacere , qui o altrove, sino alla fine della mia vita...

Forse non ci riuscirò (in qualche modo bisogna pur ammazzare il tempo...), ma questo è proprio quel che penso ascoltandolo...

so che sarà un pò lungo ascoltarla, ma vale proprio la pena, credetemi...

 


 

lunedì 8 aprile 2024

qual'è il problema?

 

Quando alcune (ancora troppo poche) Università italiane iniziano -timidamente e fra mille distinguo- a tentare di boicottare alcuni accordi con Israele, ci si straccia le vesti.

Non mi pare che ci si siano messi tanti scrupoli nei confronti della Russia e della Bielorussia, dopo l'attacco all'Ucraina.

I rapporti culturali e gli accordi economici sono stati totalmente interrotti, almeno ufficialmente.

La cultura e la ricerca non sono andate oltre la guerra, allora.

Lo stesso è avvenuto per le federazioni sportive: altro che sport oltre le divisioni della guerra!

É questo doppio standard che rende assurde e ridicole tutte le attuali prese di posizione anti-boicottaggio.


Israele attacca l'Iran in Siria, ma i nostri giornali e tg ci invitano ad empatizzare con gli israeliani che temono la rappresaglia degli ayatollah e chiudono -meschinetti- le loro ambasciate nel mondo.

Loro le possono aprire e chiudere, mentre distruggono quelle altrui.

Ma il problema per la pace nel mondo restano solo gli iraniani fanatici e cattivi, o i russi, o gli houti.

Con gli ebrei -ancorchè colpevoli- dobbiamo solidarizzare.

Con gli altri -anche se fossero innocenti- mai.


Moltissime persone in Israele continuano a manifestare per la liberazione dei loro familiari ostaggi e per evitarsi la guerra in loco.

La guerra deve terminare solo perché così si permetterebbe di far uscire vivi i loro concittadini.

Non una parola -nelle manifestazioni pubbliche- sulla strage in corso a Gaza da parte del loro esercito.

Troppo facile mostrificare il loro capo supremo in piazza per evitare di sentirsi quel che sono: un popolo di privilegiati e di impuniti che opprime un popolo di diseredati senza terra e senza futuro.


La menzogna più grande infatti è quella che accolla a Netanyahu la responsabilità di quel che sta accadendo. E' la storiella che -se lui non ci fosse e se ne andasse da lì- la politica dello Stato sarebbe diversa, più aperta al dialogo, più disposta a trattare col nemico.

Menzogna in malafede propagandata anche dagli Stati Uniti e dai nostri pennivendoli di regime.

A dimostrare la falsità di questa teoria:

  • decenni di violenze e occupazioni ebraiche anti-palestinesi, con qualunque governo, laburista o di destra che fosse;

  • un voto che -a maggioranza- lo ha rimesso lì, insieme ai partiti di ultra-destra, a loro volta ben votati da una buona parte dei cittadini;

  • il sostegno di mezzo mondo, con soldi e armi, a qualunque governo ed a qualunque politica israeliana, purchè anti-palestinese e anti-araba.


Il problema non è Netanyahu, purtroppo.

Il problema è la produzione e vendita di armi, il problema è l'economia di guerra.

Il problema è la storia d'Israele, dei suoi privilegi e delle sue impunità.

Il problema è l'Occidente che lo sostiene, comunque.

Il problema siamo -soprattutto- noi.

sabato 6 aprile 2024

mio attualissimo e inattualissimo willi...

 

L'impero tedesco è una repubblica e chi non ci crede riceve botte in testa...

Di conseguenza, noi non siamo qui per parlare al vento. Questo possono farlo i signori del parlamento. Una volta uno di loro ha chiesto ad uno dei nostri compagni se voleva entrare in parlamento. Nel parlamento con le sue cupole d'oro e le poltrone imbottite.

E quello ha risposto: sai, compagno, se io faccio questo e me ne vado in parlamento non ci sarebbe che uno straccione in più. Per parlare al vento non abbiamo tempo, tutti minuti sprecati.

E i comunisti senza liste dicono: vogliamo fare una politica di smascheramento. Cosa ne è venuto fuori, lo abbiamo visto: gli stessi comunisti si sono lasciati corrompere, e noi non abbiamo bisogno di perderci in chiacchiere intorno alla politica di smascheramento. Si tratta soltanto di un imbroglio e quello che c'è da smascherare in Germania lo vedrebbe anche un cieco, e non c'è bisogno per questo di star seduti in parlamento, e chi non lo vede, vuol dire che per lui non c'è più speranza, con o senza parlamento. Che quel semenzaio di chiacchiere non serve a nient'altro che a ingannare il popolo, lo sanno tutti i partiti...

La cosa principale è: obbedire.

I socialisti non vogliono niente, non sanno niente, non possono far niente.

In parlamento hanno il maggior numero dei seggi, ma che cosa devono farne non lo sanno, ah sì, anzi lo sanno, starsene seduti sulle comode poltrone, fumare sigari e diventare ministri.

Ed è per questo che gli operai hanno dato i loro voti, ed è per questo che hanno tirato fuori dalle tasche i loro quattro soldi nelle serate di paga: c'è una cinquantina o anche un centinaio di questi individui che s'ingrassano a spese dell'operaio. I socialisti non conquistano il potere politico dello stato, ma è il potere politico dello stato che ha conquistato i socialisti.

Si invecchia come una vacca e s'impara sempre qualcosa di nuovo, ma una vacca simile all'operaio tedesco deve ancora nascere. Gli operai tedeschi continuano a prendere in mano la loro scheda e vanno ai seggi elettorali, votano e pensano che così tutto è a posto. E dicono: vogliamo che nel parlamento si faccia sentire la nostra voce; allora farebbero meglio a fondare piuttosto una società corale.

Compagni e compagne, noi non prendiamo in mano nessuna scheda, noi non votiamo.

La domenica delle elezioni è meglio andare a fare una gita in campagna. E perchè?

Perchè l'elettore è ancorato alla legalità. Ma la legalità non è che violenza pesante e cieca, violenza delle classi dominanti. I bonzi elettorali vogliono indurci a fare buon viso, ci vogliono mettere a tacere, vogliono impedirci di accorgerci che cosa è la legalità e cosa è lo stato; e non c'è buco e non c'è porta per farci entrare nello stato. Tutt'al più come asini o facchini.

E a questo hanno mirato i bonzi elettorali, vogliono adescarci e tirarci su come asini al servizio dello stato. E già da tempo con la maggioranza della classe lavoratrice ci sono riusciti. In Germania siamo stati allevati nello spirito della legalità...I borghesi, i socialisti e i comunisti gridano in coro e si rallegrano: ogni benedizione viene dall'alto. Dallo stato, dalla legge, dall'ordine superiore. Dipende però. Per tutti quelli che vivono nello stato le libertà sono stabilite dalla costituzione. E sono così stabilite che non si muovono più.

Ma la libertà di cui noi abbiamo bisogno non ce la dà nessuno, dobbiamo prendercela noi. Questa costituzione vuol far perdere la ragione a ogni uomo ragionevole; cosa ci fate voi, compagni, delle libertà che stanno sulla carta, delle libertà scritte? Se volete concedervi qualche libertà, ecco che capita uno sbirro e vi dà una botta in testa; avete un bel gridare: Non è giusto. Nella costituzione c'è scritto così e così, e quello vi dice: Silenzio. E ci ha ragione: lui non conosce nessuna costituzione, ma soltanto il suo regolamento e per giunta ha anche un bastone in mano e a te non resta che tenere la bocca chiusa...

Compagni e compagne, si continuano a fare le elezioni e ogni volta si dice: stavolta andrà meglio, state attenti, datevi da fare, fate propaganda a casa, al lavoro, cinque voti ancora, dieci, dodici, e poi vedrai come andranno bene le cose. Sì, sì, vedrete. Invece non è che un eterno cerchio chiuso e cieco; si resta sempre al punto di prima.

Il parlamentarismo prolunga la miseria della classe operaia.

Si sente anche parlare di una crisi della giustizia, che bisogna riformare la giustizia, nella testa e nelle membra, deve essere rinnovato il corpo dei giudici, reso repubblicano, conservatore dello stato e giusto. Ma noi non vogliamo nuovi giudici. Piuttosto di una giustizia come questa, meglio non avere giustizia.

Noi vogliamo invece rovesciare tutte le istituzioni dello stato con l'azione diretta. E non ci mancano i mezzi per questo:rifiutare il nostro lavoro. Tutte le ruote allora si fermano. E allora c'è poco da scherzare. Compagne e compagni, noi non ci lasciamo addormentare dal parlamentarismo, dalla previdenza, da tutti gli imbrogli sociali e politici. Noi non conosciamo altro che la guerra contro lo stato, la ribellione contro la legge, e l'aiuto che ci viene da noi stessi...

L'ordinamento sociale di oggi è fondato sullo stato di schiavitù economico e sociale del popolo. Esso trova la sua espressione nel diritto di proprietà; monopolio del possesso e, nello stato, monopolio del potere. Il principio della produzione odierna non è l'appagamento di bisogni naturali dell'uomo, ma la prospettiva del guadagno. Ogni progresso della tecnica accresce all'infinito la ricchezza della classe abbiente in vergognoso contrasto con la miseria dei più vasti strati della società. Lo stato serve solo a proteggere i privilegi della classe possidente e a comprimere le grandi masse. E agisce con ogni mezzo, astuzia o violenza, per la conservazione del monopolio e delle differenze di classe. Col sorgere dello stato comincia l'epoca dell'organizzazione artificiale dall'alto in basso. L'individuo diventa una marionetta, una ruota morta in un mostruoso ingranaggio. Destatevi!

Noi non vogliamo conquistare il potere politico come tutti gli altri, ma la sua radicale eliminazione.

Non collaborate nelle cosiddette corporazioni che dettano leggi: lo schiavo è tenuto soltanto a imprimere il marchio della legge alla sua propria schiavitù.

Noi rifiutiamo le frontiere nazionali e quelle politiche arbitrariamente tracciate. Il nazionalismo è la religione dello stato moderno. Noi rigettiamo l'unità nazionale. Sotto di essa si cela il dominio di chi possiede. Destatevi! “


(discorso di Willi Repubblica di Weimar, in Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz, 1929)

mercoledì 3 aprile 2024

di fatto

 

La Nato ci pressa per proseguire a consegnare armi e soldi all'Ucraina per farle vincere la guerra.

Noi gliele daremo comunque, invece, perché prosegua di fatto a perderla.

E noi a perderla con lei.

Non l'ammetteremo e non l'accetteremo mai, ma è già così, da tempo.

E, se fossimo (stati) intelligenti e lungimiranti, già da tempo saremmo dovuti andare a trattare con l'orso russo.

Quando lo faremo, sarà comunque tardi: o perché l'Ucraina sarà ormai fottuta, o perché -pur di tentare di vincerla a qualunque costo- saremo entrati direttamente in guerra -tramite UE-Nato- e ci troveremo di fatto in una terza guerra mondiale, più o meno dichiarata.

In entrambi i casi -ed è molto difficile immaginarne altri- avremmo perso (o l'Ucraina o noi stessi).


USA, ONU e Corte dell'Aja pressano Israele a smetterla, o almeno a ridurre i danni per i palestinesi.

In tutta risposta, Israele prosegue e alza il tiro: uccidendo i membri di una ONG statunitense, bombardando l'ambasciata iraniana in Siria, attaccando il Libano.

Se qualunque altro paese -Stati Uniti esclusi- lo facesse, verrebbe immediatamente messo nella lista dei paesi terroristi.

Ma non accadrà mai, e quindi Israele può di fatto procedere a vendicarsi e a rafforzare il suo dominio sull'area, facendo crescere il suo isolamento internazionale e, inevitabilmente, l'odio antisemita in tutto il mondo.

Molti nemici, molta gloria.

Così si realizza di fatto il trionfo definitivo della vittima che, pur trasformatasi in attuale carnefice di altri , prosegue a dominarci in quanto nostra vittima, eterna vittima di un passato che non passa.


In questa situazione, toccherebbe a noi.

Dovremmo finalmente compiere una spietata autocritica sul passato: non sull'Olocausto (già avvenuta, anche se sganciata dalla sua consustanziale relazione con la nostra stessa modernità), ma sulla malaugurata creazione dello Stato di Israele e sul doppio standard che -sin da subito- abbiamo attuato nei suoi confronti, per gestire malamente le nostre responsabilità ed i nostri sensi di colpa verso gli Ebrei.

L'incapacità di far questo genera di fatto lo stallo, l'impotenza, il fatalismo, la rassegnazione, l'impunità a cui stiamo passivamente assistendo, senza permetterci -anche in questo caso- vie d'uscita praticabili.

Si andrà anche qui, infatti, verso due direzioni possibili, entrambe perdenti: un'espansione geografica dei conflitti armati in corso, nel tentativo di ridurre le illegittime pretese e le scorribande incontrollabili dello Stato ebraico oppure la diaspora del popolo palestinese e il fallimento definitivo delle sue legittime esigenze storico-politiche.

C'è un'altra possibilità, che sarebbe ancora peggiore: l'ennesimo pateracchio falsamente pacificante che sarebbe -come sempre, di fatto- solo l'ennesima nuova base di partenza per la prossima guerra in Medio Oriente.





venerdì 29 marzo 2024

In spregio e a sfregio

 


In quei giorni Stresemann andava a Parigi o forse non ci andava neanche, e a Weimar crollava il soffitto dell'Ufficio telegrafico e forse un giovanotto disoccupato correva dietro alla sua fidanzata che era partita con un altro per Graz e li ammazzava tutti e due e poi si tirava una revolverata nella testa. Cose come queste succedono ad ogni temperatura e di esse fa parte anche la grande moria di pesci nell'Elster bianco. A leggere queste cose si rimane a bocca aperta, ma se ci si trova in mezzo non sembra niente di straordinario: dappertutto succede qualcosa del genere...


In spregio della risoluzione ONU e a sfregio anche degli stessi USA, Israele non fa cessare il fuoco, affama la gente e -non ancora contenta di sangue- si appresta ad entrare in armi a Rafah.

In spregio della vita di tanti melomani russi e a sfregio dei servizi segreti, una decina di terroristi dell'Isis si è infilato a Mosca e ha fatto una strage.

In spregio della cultura giuridica europea e a sfregio di tutti i suoi sostenitori contro l'Ungheria (o Angheria, come la chiama Bergonzoni), la Salis è stata ancora una volta condotta in tribunale col guinzaglio e in ceppi.

In spregio dell'uguaglianza e a sfregio della scuola di Pioltello, il ministro Valditara insiste a proclamare che gli studenti di pura razza italica devono essere in maggioranza nelle classi scolastiche del nostro paese.

In spregio della vita umana in città e a sfregio delle vittime e dei loro familiari , il governo eleva i limiti di velocità nel nuovo codice della strada.

In spregio della divisione dei poteri e a sfregio della loro rispettabilità, il Consiglio dei ministri approva i test psicoattitudinali per l'accesso dei magistrati alla loro carriera.

In spregio alla Costituzione e a sfregio degli antimilitaristi tutti, la Meloni dichiara in Libano che -a differenza di Macron- le interessa la muscolarità dei fatti e che 'la pace è soprattutto deterrenza', il che non è mai stato meno vero di oggi.

In spregio al buon senso e a sfregio dei pacifisti, la Schlein vorrebbe proporre la candidatura per le Europee a Marco Tarquinio e Cecilia Strada, mentre il PD prosegue a votare per la guerra.


Però a questo vecchio ragazzo che se ne va perle strade per non crepare nella sua stanza, a questo vecchio ragazzo che scappa davanti alla morte, qualcosa è più chiaro di prima. A qualcosa, in fondo, la vita gli è servita. Fiuta l'aria, fiuta le strade per capire se gli appartengono ancora, se lo vogliono ancora. Guarda a bocca aperta i manifesti alle cantonate come se fossero un avvenimento...Una cosa infernale, eh, la vita? E io avevo pensato che il mondo è tranquillo, che tutto è in ordine, ma invece c'è qualcosa che non è in ordine e quelli là hanno un aria così terribile. Era un momento di chiaroveggenza...

(Le citazioni sono tratte da Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz, 1929)


lunedì 25 marzo 2024

precipitevolissimevolmente

 

Il vertice europeo ha fatto un altro passo verso la guerra in Europa: si devono preparare i cittadini a subire attacchi militari, attentati terroristici, allarmi sanguinari.

La chiamano 'risposta civile militare rafforzata', con uno di quei bei eufemismi razionalizzanti e feroci in cui sono tanto esperti e tanto bravi per tentare di rassicurarci, per farci stare zitti e buoni a subire tutto sino all'ultimo, fatale, istante.

Solo un'escalation verbale di propaganda, da entrambe le parti?

La crisi dei regimi politici è troppo grave per pensare solo a questo: per stare in piedi ormai -nella loro attuale debolezza di consenso e di crescita- tutti gli stati hanno assoluto bisogno della guerra.

Come già accaduto nella storia, anche recente, non lo riconosceranno mai.

 

Ovviamente, preferiscono riprendere a urlare che la minaccia -come in un passato inquietante che ritorna- arrivi da oriente.

Ed, altrettanto ovviamente, fanno di tutto perché questa loro profezia si autoavveri.

Vi chiedo: se i vostri nemici decidessero di utilizzare gli utili dei soldi che vi hanno sequestrato nelle loro banche per produrre e far comprare ancora armi per farvi guerra, voi come la vedreste?

E se vi combinassero un attentato nella vostra capitale, con più di cento morti ad un concerto, voi cosa fareste?

E se proseguissero a consegnare decine di miliardi ad un esercito nemico che sbanda e tentenna, ma che resiste proprio solo grazie a tutti questi aiuti contro di voi, voi come reagireste?

E se vari capi di stato europei (Francia, Polonia, Paesi Baltici...) sembrassero non vedere l'ora di intervenire direttamente sul terreno pur di sconfiggervi, voi cosa ne pensereste?

Non vi sentireste continuamente provocati a reagire?

Non cerchereste alleanze con i vostri potenti vicini (India, Cina...) contro chi vi assedia?


Probabilmente si procederà così , ancora per un po': minacce, fake news, attentati in franchising, bombe che spuntano qua e là, hackeraggi pilotati, improvvise espansioni della guerra in varie parti del globo, blocchi militari che si dividono ed organizzano per potersi 'difendere', nuovi ingressi nella Nato (ad es., perché no?, della stessa Ucraina).

Cose già viste, continue manovre di ulteriore militarizzazione di quel che resta delle nostre società.

Ma il nostro destino appare segnato, al momento e per un po', da una nuova guerra fredda che si fa permanente e che ammorberà le nostre vite.

E, in una prospettiva non troppo remota, da una guerra spietata che ci brucerà col suo tremendo, insopportabile, invivibile calore.

Stiamo precipitando nell'abisso della catastrofe e dell'autodistruzione.

Si attende solo il momento in cui la giusta scintilla (l'uccisione di un capo di stato? la distruzione di una città intera? un errore di valutazione? un bottone in mani maldestre?...) brillerà -ancora una volta- nel firmamento della storia, a giustificare i nuovi, ennesimi delitti dell'uomo contro l'umanità.



giovedì 21 marzo 2024

bandiera bianco sporco

 

Quando ci si inoltra nel vicolo cieco della guerra è impossibile l'andare avanti quanto il tornare indietro.

In Ucraina ormai è chiaro -anche a chi non ha saputo fare altro che sostenere la patria (di altri) in armi (nostre): non potremo mai vincere e non possiamo più arrenderci.

Putin, nel frattempo, gongola, in compagnia di Cina, India e Iran.

Con le ultime elezioni ha rafforzato ulteriormente il suo potere all'interno e sa come usare la deterrenza nucleare per spaventare i suoi nemici all'esterno.

Se infatti non interverremo direttamente sul terreno la Russia si prenderà più territori di quelli che l'Ucraina avrebbe perso se avesse trattato immediatamente.

Ma se intervenissimo, la guerra nucleare arriverebbe alle porte di casa.

Un bel cul...de sac!


Non contenti del fronte (cioè del mercato) ucraino, ci siamo infilati nell'altro vicolo cieco, quello medio-orientale.

La distruzione di città intere e l'uccisione di 30000 palestinesi continua ad essere giustificata al fine di distruggere Hamas ed uccidere i suoi capi (che però non vivono a Gaza e che, se c'erano, sono riusciti a scappare, con i loro soldi e le loro famiglie, alla faccia dei loro tanto amati concittadini, sempre più miserabili e morituri).

Lo dimostra il fatto che Sinwar sia vivo e vegeto e -si dice- partecipi bellamente alle trattative in corso, mentre la Striscia viene bombardata col pretesto di ucciderlo dagli stessi governi e servizi segreti che intanto lo incontrano diplomaticamente in Qatar.

Anche da lì, non ne usciremo più.


Potremo mai consolarci con i guadagni delle industrie militari?

L'Ucraina, secondo il Sipri, è diventata in due anni il più grande importatore di armi in Europa e il quarto nel mondo (la prima,alla faccia del Mahatma, è l'India).

Proseguire a chiedere e a vendere armi resta -lì e altrove- l'unico obiettivo: gli Stati Uniti hanno già fatto ingentissimi profitti (più del 60% dei cosiddetti 'aiuti' sono tornati nelle loro casse) ed anche i paesi UE non si possono di certo lamentare.

Nel triennio 2019-2023 i paesi europei hanno anche quasi raddoppiato le loro importazioni d'armi, aumentando i loro acquisti del 94% rispetto al periodo 2014-2018.


La situazione è disperata.

Ma noi non disperiamo. Vogliamo ancora sperare.

Ma sino a quando non dispereremo, e capiremo che non abbiamo più nulla da perdere, non potremo mai opporci a tutto questo.

E, proseguendo ad inseguire vane speranze, quando la disperazione ci raggiungerà ineluttabilmente nella tragedia, si sarà fatto tardi.












mercoledì 20 marzo 2024

obtorto voto

 

QUANDO UN POPOLO VOTA HA SEMPRE RAGIONE!

Ipse dixit Salvini, dopo l'ennesimo plebiscito per Putin.

Qualcuno si lamenta perché così sostiene, neanche troppo larvatamente, una dittatura.

Lui potrebbe ricordare, però, che le dittature sono da noi sostenute in tutto il mondo, se sono amiche (cioè se non ci contrastano e collaborano ai nostri interessi politico-militari).

Non è un caso che si sia di recente andati in visita ai presidenti tunisini ed egiziani, che si tengano proficui rapporti con emirati e sauditi, che si traffichi con Erdogan o con i despoti uzbeki.

Per non parlare dei rapporti con la Cina, in attesa della prossima guerra.

QUANDO UN POPOLO VOTA NON HA SEMPRE RAGIONE!

Gli si potrebbe ricordare che anche Hitler o Mussolini sono andati al potere attraverso elezioni, come oggi in Russia (e in tante altre parti del mondo) formalmente regolari,ma sostanzialmente manovrate, minacciate dalla violenza e minate dalla paura, di fatto senza opposizione (né giornalistica, né politica).

Fatte le debite e residue differenze, che differenze esistono per noi qui, nelle nostre democrature?

Quasi tutta la stampa ed i media sono in mano a potentati economici (possiamo definirli oligarchi?) è evidentemente collusa e si autocensura con diletto.

I politici esercitano una professione ben retribuita e non la mollerebbero per nulla al mondo: le elezioni vanno verso un modello americano, in cui l'essere eletti serve a ricompensare tutti i soldi e tutte le promesse, lecite ed illecite, spesi per la candidatura.

Chi vota non può scegliere i candidati, ma solo tra i candidati.

Se anche vota, quel che sceglie non conta: i programmi elettorali non vengono attuati, le alleanze realizzate non sono quelle inizialmente ventilate, l'impermeabilità dei processi in sede di governo è quasi totale, anche rispetto agli stessi parlamenti, ormai perlopiù soltanto sedi di veloci consultazioni e ratifiche.

QUANDO UN POPOLO VOTA ORA NON HA MAI RAGIONE!

Ecco perché, insisto, non è ragionevole proseguire a votare.

Non ha senso sfidare i regimi su quel terreno: né in Russia -come ingenuamente hanno tentato di fare qualche giorno fa i dissidenti navalniani- né qui da noi -come testardamente (e malinconicamente) stanno invitando a fare qui da noi Santoro ed i nostri amici pacifisti in vista delle prossime elezioni europee.

In primo luogo perché il parlamento europeo conta meno di zero e meno di qualunque altro parlamento, compresi quelli russo, birmano o thailandese.

In secondo luogo perché non esistono le condizioni per cambiare dall'interno gli equilibri della politica rappresentativa: a partire da elezioni truccate in cui le possibilità di successo -per una lista inventata lì per lì e senza appoggi economico-finanziari- sono pressochè nulle.

In terzo luogo, perché le ragioni della guerra non sono passeggere, ma strutturali per il prossimo futuro del capitalismo. L'imperialismo, come direbbe Lenin, è sempre stata e sarà la sua fase suprema. Stiamo per riviverlo e, come già è stato, non c'è nulla da fare.

Soprattutto se si continua a credere che sai possibile fermarlo tramite il voto.





lunedì 11 marzo 2024

gattopardi tra noi

 

La terza strada, che non possiede giustificazioni preliminari,è tuttavia la più efficace, e consiste in una visita personale di Vostra maestà, con la forza militare di cui ho parlato sopra, in uno dei Regni che si sceglierà come terreno di esperimento: occorrerebbe far suscitare un gran tumulto popolare e, sotto il pretesto di reprimerlo, e allo scopo di riportare la calma ed evitare una ripresa dei disordini, emanare leggi come se si trattasse di un Paese conquistato...

(Memoriale segreto del duca di Olivares al re di Spagna Filippo IV, 25 dicembre 1624)


Niente di nuovo sotto il sole (o sul fronte occidentale, se preferite).

Questo illuminante ed attualissimo brano lo si ritrova quale epigrafe iniziale in  'Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve 1966-1982) di Miguel Gotor.

Un libro corposo, documentatissimo, equilibrato e spietato sugli anni che ho vissuto nell'infanzia e nella mia prima giovinezza, sino alla mia maggiore età di ventunenne di allora.

Ci si rende conto, leggendolo, che -per quanto si potesse essere informati, consapevoli, politicizzati ed edotti- quel che davvero avveniva -nel presente ed in profondità- risultava coperto, intricatissimo, incomprensibile ed inconosciuto.

La storia e le storie che passavano sui giornali -per quanto orribili ed inquietanti potessero apparire a me ed ai più- avevano davvero poco a che fare con i tragici disegni, le disumane strategie, le squallide brutture e le inopinate collusioni che sottostavano alle notizie che pubblicamente venivano fatte passare come vere e indubitabili, ma soprattutto rispetto alle dichiarazioni ufficiali dei politici e degli statisti di allora (e di oggi).

E non ci si può, dopo averlo letto, stupirsi dell'attuale sfiducia popolare, della diffidenza e della disaffezione verso i personaggi (identici o forse addirittura peggiori) che oggi ci attorniano e ci parlano nei giornali , in tv o in rete, e che inveiscono contro le fake news degli altri.


Ma, al di là della storia italiana, quell'epigrafe antica colpisce anche per quel che ci dice di quel che sta avvenendo e soprattutto sta per avvenire nelle dinamiche dell'intero mondo.

Non arrivare ad ottenere il 'cessate il fuoco' a Gaza prima dell'inizio del Ramadan significa una cosa sola: che si vuole soffiare sul fuoco della disperazione palestinese per ottenere il risultato di nuove violenze, attentati, atti terroristici che, a loro volta, giustifichino nuove reazioni militari ed ulteriori colpevolizzazioni e repressioni da parte di chi non attende altro che questo.

Ma la militarizzazione delle società civili è la strada che i governi di tutto il mondo hanno ormai intrapreso per preservare e rafforzare il loro dominio e controllo sui loro sudditi.

Quel che sta accadendo brutalmente in Palestina e che inevitabilmente tenderà ad aggravarsi nei prossimi giorni ci annuncia che la strategia dei politici di oggi (che si chiamino Netanyahu, Biden, Erdogan, Putin, Meloni o Macron) -e sempre meno segretamente- è la stessa di quattrocento anni fa in Spagna, segue cioè la stessa logica del duca di Olivares.

Creare e facilitare il disordine per generare e stabilire un nuovo ordine che preservi gli squilibri di potere preesistenti o ristrutturi gli equilibri a vantaggio di potentati che sino a quel momento avevano preferito governare soltanto larvatamente attraverso altri.

Le comparsate stanno per finire, quindi, e stanno per emergere apertamente i veri poteri forti: del Big State, del Deep State, di chi -in fondo-comanda da sempre, ma ora non ha più bisogno neppure di fingersi e voler apparire 'democratico', 'liberale' o addirittura 'socialista'.

venerdì 8 marzo 2024

con-fusioni


Lo street artist Jorit chiede foto a Putin: 'Lei è umano come tutti, la propaganda diffusa in Occidente è falsa'. 

E' lui che, davanti allo scandalo a casa nostra, ricorda che anche Giorgia Meloni si è fatta baciare da Jo Biden come un'adolescente in vacanza dallo zio. 

Confondere i livelli è terribile. 

Che brave persone, che dolci, che buone...!, sembrano dirci quelle istantanee.

Ma anche Goebbels portava i fiori alla moglie, anche Hess stava con i figli nel suo giardinetto a fianco ad Auschwitz.

Anche Mussolini, Stalin e Ceausescu giravano a baciare bambini e ad accarezzare le guance arrossate delle patriote in estasi.

Chi non ama poi oggi farsi e farsi fare le foto con chiunque?

Che male c'è, si dice. Ed invece è male, molto male.

Perchè sdogana i carnefici e li fa passare per persone in cui identificarsi, a cui fare riferimento, che ci vogliono bene, che si prendono cura di noi.

Che sembrano umane. 

E lo sono come tutti, non ci sono mostri. Nihil umani mihi alienum puto...

Ma dimenticare che sono dei criminali solo perchè sorridono, parlano ragionevolmente, ti baciano, si fanno le foto, è un errore di valutazione altrettanto terribile.

Perchè il vero criminale non è quello brutto e lacero che condanniamo nei tribunali o sui barconi, ma proprio e soprattutto chi può aggirarsi impunito in doppiopetto e proseguire a saltare impunemente da un ruolo all'altro (spacciatore e drogato, mercante d'armi e mediatore, inquisitore e mafioso, inquinatore e depuratore, omicida e giudice...)

'Confusione, tu sei figlia della solita illusione perciò fai confusione...'


 

 




 

 

mercoledì 6 marzo 2024

accadimenti accanimenti allucinanti

 

Il movimento del '77 era un melting pot di idee e di pratiche ('pratiche teoriche', althusserianamente) di opposizione. Opposizione a cosa? A qualsiasi idea istituzionale o dominante. Forse non fa piacere ricordare che quella cultura di opposizione aveva soprattutto bisogno di un nemico e se non c'era bisognava inventarlo. Se si riguardano i video del periodo non può non cogliersi infatti una fascinazione estetica per le divise e le uniformi del Potere: quelle dei nemici, nemici che conferiscono identità: ciò che trasformò quella rivolta, o almeno molti rivoli di essa, in una lotta fratricida. C'erano molte allucinazioni, in quel periodo, allucinazioni desideranti; e anche questo, in fondo, era insito nel materialismo (comunista) nella sua formulazione più innovativa: 'occorre attenersi ai fatti', ha scritto il filosofo comunista Louis Althusser dal manicomio di Saint'Anne, ma 'anche le allucinazioni sono fatti'.


Qualche giorno fa ho avuto conferma da un telegiornale di regime che Renato Curcio, ormai ottantenne, rischia di tornare a processo per aver ideato un sequestro al fine di autofinanziare le BR; sequestro che si è concluso tragicamente con una sparatoria, che ha portato alla morte di un carabiniere e della stessa compagna di Curcio, Mara Cagol.

Qualche giorno fa è morta Barbara Balzerani, altra fondatrice delle BR, da tempo a piede libero. La filosofa Donatella di Cesare -attaccata dai media e dai politici di regime- ha dovuto ritirare un post in cui la ricordava e solidarizzava con quel che avevano condiviso negli anni 70, metodi violenti esclusi.


Tutto questo accanimento verso gli sconfitti, anche a distanza di decenni ed anche dopo che la pena -puntualmente ed integralmente scontata- è stata formalmente e legalmente estinta, dà da pensare.

E' segno della vittoria totale di chi oggi ci domina o è segno della sua attuale e crescente debolezza e paura? Entrambe le cose, direi.

Mai le autosedicenti democrazie sono state più in crisi, soprattutto rispetto a se stesse, anche in assenza di nemici capaci di distruggerle. Il rischio appare oggi implosivo, molto più che subìto dall'esterno.

E mai però gli Stati sono stati più capaci di controllarci, prevenirci, condizionarci alla radice, guidarci nei bisogni e nei desideri, orientare alla fonte i nostri immaginari (ed anche tutte le nostre possibili allucinazioni).

Tutto l'opposto di quel che accadde nei decenni 60-70, insomma: democrazie ancora in auge e regimi che dovettero ricorrere alle armi (e alla droga) per annientare movimenti e antagonismi capaci di pensare l'altro e l'altrove e di provare a praticare la rivolta (seppur con linguaggi, strumenti, stili e metodi molto diversi fra loro).

Quel che colpisce è soprattutto che questa smania di proseguire a punire i già più volte puniti (dalla legge e dalla storia) avviene proprio mentre gli Stati stessi proseguono a far guerra., ad uccidere, a sterminare, ad inquinare, a reprimere impunemente.

E nessuno li può giudicare (nemmeno tu).

Sarà la storia a farlo, si dice. Ma, per fare storia, tantomeno la storia, non è più il tempo, non c'è più il tempo, non c'è più tempo (scegliete voi).


Io vorrei parlare di questo, delle due celebri lettere: OK.

Qualcuno saprà che era la formula in uso nelle comunicazioni militari durante la seconda guerra mondiale. OK: Zero Killed. Nessun morto, quindi tutto bene. Tutto okay.

Oggi queste lettere sono dette al telefono per tagliare corto, o con il chewing gum in bocca, nella banalità più sfacciata -il che realizza ancora più esattamente il significato perlocutorio della formula: non c'è problema.

L'Europa è sott'acqua, altri continenti bruciano o soffocano, la Terra sarà priva di ossigeno: non c'è problema. Il capitalismo sta implodendo, serve uno sforzo comune, ma chi governa insegue interessi personali, angusti e ciechi come la propria vita: non c'è problema. E' tutto ok.

Nessun morto? Forse chi governa si crede immortale, e vede la morte come una sfiga che accade a chi non ci sta attento. 'Sono sempre gli altri che muoiono', fece scrivere sulla propria tomba Marcel Duchamp. Eppure mai come oggi la precarietà della vita individuale si accompagna a quella della specie: la morte dell'uomo. Basta invertire le lettere: KO. Tutti morti.

Un alfabeto tira l'altro, e mi viene in mente quello di una lingua ormai sepolta, anzi inabissata, sostituita dall'elettronica a dai suoi mille congegni. Parlo del Morse, di cui mi commuove ricordare l'appello più celebre e perentorio, le ultime parole di tanti di noi, comuni mortali: SOS, Save our souls, Salvate le nostre anime.


(i brani sono tratti da Beppe Sebaste, Oggetti smarriti e altre apparizioni, Laterza, 2009)




lunedì 4 marzo 2024

il velo squarciato

 

L'infinito sterminio dei palestinesi ha trovato il suo acme qualche giorno fa: l'esercito israeliano ha ferito ed ucciso centinaia di esseri umani accalcati e disperati, che cercavano di acchiappare -da camion gentilmente offerti- una pagnotta o un sacchetto di farina.

Le nostre televisioni si arrabattano, anche stavolta, a cercare di fare distinguo, a proporre interpretazioni, a rincorrere le varie e contraddittorie foglie di fico dei loro amichetti d'oltremare.

I nostri politici si sbracciano e si lamentano che il cessate il fuoco, chissà perché, non arrivi ancora.

Intanto, la guerra genocida va avanti, tra un corteo e l'altro di sbrindellati (e manganellati) giovinastri.


La Caio Duilio nel frattempo ha iniziato a colpire gli Houti.

Diritto di difesa, così viene chiamata la guerra,come sempre è stato.

Ci stiamo entrando, in quell'inferno, a piedi uniti.

Anche lì, qui da noi, si fa finta che non stia accadendo nulla di nuovo o di terribile.

Le veline ci rassicurano, ma il salto è evidente: il governo italiano sta capeggiando una missione di guerra nel Mar Rosso, un'area chiave della globalizzazione mondiale.

Non saremo più risparmiati, come accaduto sinora per motivi neanche troppo occulti.

Stiamo diventando nemici in prima linea, e ne pagheremo direttamente tutte le conseguenze.


Non è un caso che si inizi a rumoreggiare anche in casa Nato.

Macron suggerisce di mandare truppe di terra europee in Ucraina.

Scholz dice no, ma i suoi ufficiali ne discutono in segreto.

Austin ci ricatta dichiarando che se l'Ucraina perde la guerra, la Nato dovrà entrare in guerra con la Russia.

Il disastro accelera e si muove su un piano che appare sempre più inclinato.

Stabiliti più precisamente e rigidamente i rispettivi fronti, la guerra nucleare tra i nuovi blocchi politico-militari diverrà un'opzione sempre più probabile.

Ed il territorio europeo si candida, come sempre, ad essere il suo più probabile campo di battaglia (sempre che di battaglie si potrà ancora parlare, in uno scontro nucleare).

domenica 3 marzo 2024

il tra-mondo dell'uccidente

 Per un Benjamin illudetico.

Nei Passaggi Benjamin si oppone nuovamente, nel modo più energico, alle pratiche di 'dominio' e 'sfruttamento' della natura da parte delle società moderne. Ancora una volta rende omaggio a Bachofen per aver dimostrato che l''idea feroce dello sfruttamento della natura' non esisteva nelle società del passato, dove la natura era vista come una madre dispensatrice di doni. Per Benjamin, come del resto per Engels o Reclus, non si tratta di tornare a un passato preistorico, ma di proporre la prospettiva di una nuova armonia tra la società e l'ambiente naturale.

Il pensatore che per lui incarna questa promessa di una futura riconciliazione con la natura è il socialista utopico Charles Fourier. É solo in una società socialista, in cui la produzione cesserà di essere fondata sullo sfruttamento del lavoro umano, che 'il lavoro perderebbe a sua volta il carattere di sfruttamento della natura da parte dell'uomo e si effettuerebbe secondo il modello del gioco infantile che in Fourier è alla base del travail passionnè des harmonies...Un tale tipo di lavoro animato dal gioco non è diretto alla produzione di valore, ma al miglioramento della natura. Una terra ordinata secondo questa immagine sarebbe un luogo in cui l'azione e il sogno diverrebbero fratelli'. Nella Tesi sul concetto della storia Benjamin ritorna ancora una volta su Fourier, l'utopista visionario che sognava 'un lavoro che, lontano dallo sfruttare la natura, è in grado di sgravarla delle creazioni che, in quanto possibili, sono sopite nel suo grembo', sogni la cui espressione poetica sono le sue 'fantasticherie', in realtà piene di 'senso sorprendentemente sano'... Per il positivismo socialdemocratico, invece, 'il lavoro ha per sbocco lo sfruttamento della natura, che viene contrapposto, con ingenua soddisfazione, allo sfruttamento del proletariato'. Questo discorso positivista, per Benjamin, 'mostra già i tratti tecnocratici che più tardi si incontreranno nel fascismo'.

Sempre in quest'opera del 1940, troviamo un'ampia critica alle illusioni della sinistra -prigioniera dell'ideologia del progresso lineare- riguardo al fascismo, che sembra considerare come un'eccezione alla norma del progresso, una regressione inspiegabile, una parentesi nel progredire dell'umanità. Benjamin aveva perfettamente colto la modernità del fascismo, il suo intimo rapporto con la società industriale/capitalista contemporanea. Da qui la sua critica, nella tesi VIII, rivolta a coloro che si stupiscono che il fascismo sia 'ancora' possibile nel XX secolo, accecati dall'illusione che il progresso scientifico, industriale e tecnico sia inconciliabile con la barbarie sociale e politica...Ma solo una concezione senza illusioni progressive può spiegare un fenomeno come il fascismo, profondamente radicato nel moderno progresso industriale, che era possibile invece, in ultima analisi, proprio soltanto nel XX secolo.

Già nel 1928, in Strada a senso unico, Benjamin denuncia l'idea del dominio sulla natura come discorso 'imperialista' e propone una nuova concezione della tecnica come 'gestione dei rapporti tra natura e umanità'. 'Le vecchie usanze dei popoli sembrano inviarci un avvertimento: astenerci dal gesto di avidità quando si tratta di accettare ciò che abbiamo ricevuto così abbondantemente dalla natura...Se un giorno la società fosse in pericolo a causa della sua avidità e si trovasse al punto di rubare i doni della natura, il suo suolo si impoverirà a tal punto da far fallire il raccolto...'

In questo libro troviamo anche, con il titolo Segnalatore d'incendio, una premonizione storica delle minacce del progresso, intimamente associate allo sviluppo tecnologico guidato dal capitale:' Se la liquidazione della borghesia non si sarà compiuta a un punto quasi calcolabile dello sviluppo economico e tecnico (lo segnalano inflazione e guerra chimica) tutto sarà perduto. Prima che la scintilla raggiunga la dinamite, la miccia accesa va tagliata.'.. La filosofia pessimistica della storia di Benjamin si manifesta in modo particolarmente acuto nella sua visione del futuro europeo: 'Pessimismo su tutta la linea. Pessimismo assoluto. Sfiducia nella sorte della letteratura, sfiducia nella libertà, sfiducia nella sorte dell'umanità europea, ma soprattutto sfiducia, sfiducia, sfiducia verso ogni forma di intesa: tra le classi, tra i popoli, tra i singoli. E illimitata fiducia solo nel gruppo Farben (quello che sta per inventare lo ZyklonB, che gaserà milioni di persone nei lager, ndr) e nel perfezionamento pacifico dell'aviazione'.

Nelle Tesi sul concetto di storia, Benjamin fa spesso riferimento a Marx, ma su un punto importante prende le distanze dall'autore del Capitale: 'Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le le rivoluzioni sono il ricorso al freno d'emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno'.


(da M.Loewy, La rivoluzione è il freno di emergenza. Saggi su W. Benjamin, Ombre corte, 2020)