A un certo punto ho pensato che
potevo diventare un uomo importante. Sentivo che la morte mi dava
tempo. E allora infilai la testa nel mondo come un bambino che infila
le mani nella calza della befana. Poi è arrivato il mio giorno.
Svegliati, disse mia moglie. Svegliati, continuava a ripetere.
Fuori era una bella giornata. Non
volevo morire con tutto quel sole fuori. Ho sempre pensato di morire
di notte, nell'ora in cui abbaiano i cani. E invece sono morto a
mezzogiorno, mentre alla televisione cominciava un programma di
cucina.
Ci ho provato in vari modi, ma senza
convinzione. Alla fine mi sono impiccato.
Già due volte mi era venuto un
giramento di testa. Sono caduto. Mi hanno portato all'ospedale.Mi
hanno operato. Era un giorno di ottobre. In quel giorno era uscito il
sole, erano usciti i giornali, c'erano le macchine per strada, e la
gente nei bar che parlava. Io sono stato messo bruscamente da parte.
Era il mio momento, non so come spiegarvi.
Si dice che l'ora più frequente in
cui si muore è prima dell'alba. Io per anni mi sono svegliato alle
quattro del mattino e ho aspettato in piedi che passasse l'ora
brutta. Mi mettevo a leggere o guardavo la televisione. Qualche volta
uscivo in strada. Sono morto alle sette di sera e non è stata una
cosa così speciale. Quel vago fastidio che era sempre stato il
mondo, quel vago fastidio di essere al mondo è finito
all'improvviso.
Era un giorno d'autunno e in piazza
c'ero solo io. Tenevo stretto il bastone fra le mani. Il vento veniva
da ogni parte. Mi ha sollevato in cielo insieme alla panchina.
L'ultimo mio respiro è stato un
respiro da formica. E' stato così piccolo che nessuno l'ha notato.
Già erano tutti agitati, già cercavano le scarpe nuove, il
fazzoletto, la giacca nera.
Io passeggiavo, mangiavo poco,
cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente.
Io sono morto di vecchiaia, anche se
non ero tanto vecchio, avevo cinquantanove anni.
Era un mercoledì di gennaio. C'era
un'aria di neve. Avevo appena parlato con Vincenzo il marmista. Non
avevo la minima idea che stavo per morire.
Prima di me erano già morte ottanta
miliardi di persone.
Sono morto allo stadio. La mia
squadra stava vincendo e faceva melina a centrocampo.
Sono morto alle sette del mattino.
Un modo come un altro per cominciare la giornata.
Mi sono impiccato il giorno stesso
che il medico mi ha detto che dovevo fare altri accertamenti. Per me
era tutto chiaro: dovevo solo trovare una fune nel garage.
Pensavo sempre di avere qualche
brutta malattia, ma i medici mi dicevano sempre che non tenevo
niente. Io ora li vorrei prendere a calci uno per uno.
Io stavo a Zurigo. Sul manifesto
hanno scritto che sono salita alla casa del padre. La verità è che
mi sono buttata dal quinto piano.
Mi sono sempre sentito affannato e
fuori posto nella vita. Adesso finalmente riposo tranquillo e in pace
nella tomba vicino alla mia.
Basta una distrazione piccolissima.
Sono caduto dalle scale perchè stavo pensando che tipo di
dentifricio mi dovevo comprare.
Non c'è neanche il niente, almeno
così mi pare.
(Franco Arminio, Cartoline dai
morti, Nottetempo, 2010)
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