Nel
2008, la cosiddetta Riforma Gelmini ha posto le basi per distruggere
il senso e la struttura dell'Università pubblica in Italia.
Negli
anni successivi, i vari governi di varia natura e nome hanno
realizzato pienamente e senza remore i suoi dettami.
Ed
oggi ci troviamo nel baratro.
Milioni
di euro sottratti ogni anno agli atenei già svantaggiati, tutte le
risorse destinate a stipendi (ma senza scatti), turnover tra nuovi
assunti e quiescenti in un rapporto di tre a dieci, sistemi di
valutazione produttiva che scimmiottano aziende decotte, e così via.
Fatto
sta che anche i Rettori hanno iniziato a veder crollare il loro
castello feudale e hanno provato a lamentarsi, almeno per
salvaguardare l'immagine, se non più la sostanza, ormai perduta da
tempo.
Alcuni
coraggiosi colleghi hanno promosso una campagna di boicottaggio della
VQR (ennesimo, osceno acronimo che significherebbe Valutazione sulla
Qualità della Ricerca).
Con
la richiesta che vengano almeno ripristinati gli scatti stipendiali,
che si cambino i parametri di valutazione e che non si colleghi la
valutazione all'erogazione dei fondi ordinari.
In
un certo numero (tra il 20 e il 30 per cento) abbiamo aderito, ma le
motivazioni e le analisi sono state condivise sostanzialmente da
tutti (CRUI, CUN, Assemblee d'ateneo e di dipartimento, etc etc)...
In
questi giorni, però, sono arrivati i risultati definitivi.
Non
sappiamo ancora se i dati siano veritieri o manipolati, ma comunque
il responso è ancora una volta abbastanza sconfortante.
Nel
mio dipartimento, ci siamo astenuti in 2 su 60.
In
quasi tutti non si va oltre il 15%, solo in alcuni (pochi) si arriva
al 20.
La
media del nostro ateneo è sotto il 10%.
Procederemo,
è chiaro, ma...
Vi
spiego: per quanto mi riguarda, dopo aver smesso -da solo- di
insegnare per tre anni contro la Gelmini, nel momento in cui ho
ripreso l'insegnamento, ho deciso di non sottostare alla logica della
produttività in stile ANVUR, di cui la VQR è una delle forme più
perverse di attuazione.
E
quindi, dal 2012, ho scritto e pubblicato soltanto il librino con
Caserini (lui sa con quante mie resistenze) ed un articolo breve su
una rivista.
Ho
letto moltissimo, ho scritto tantissimo, ma in forme non valutabili,
antiaccademiche, non 'produttive',
Anche
così si fa il morto.
Bene:
sinceramente speravo ancora che vi fosse ancora una forte minoranza
di colleghi capaci di un minimo di coerenza e di dignità.
Devo
constatare, ancora una volta, che non è così.
Si
lamentano in bagno, magari anche in qualche conciliabolo in
corridoio.
Qualcuno
si azzarda a contestare le leggi e i ministri in un'assemblea.
Ma,
al momento dovuto, obbediscono quasi tutti, peggio delle pecore e dei
conigli (con tutto il rispetto, per loro)...
L'Università
pubblica, quindi, sceglie la sua catastrofe.
Qualcuno
si ricorderà di essere stato così colluso e ignavo, quando si
lamenterà di non ricevere più lo stipendio, o di non avere più la
libertà di insegnamento e di ricerca ?
Siamo
circondati ormai da gente che non vuole neppure più salvarsi
l'anima.
L'ha
già venduta, o l'ha uccisa da sé ancor prima che glielo
chiedessero.