sabato 7 ottobre 2023

violenza è guerra

 I curdi -dopo anni in inutile attesa di riconoscimento e considerazione da parte dei potenti del mondo- hanno deciso di riprendere a far guerra e attentati. Hanno dovuto accettare il fatto che possono ancora e sempre essere usati per i nostri interessi, ma che da noi occidentali non avranno nulla in cambio. Troppo forte il peso dei nostri vincoli, debiti e crediti nei confronti di Erdogan, Assad e ayatollah iraniani.Che proseguano quindi a fare i loro comodi contro di loro, mentre noi proseguiamo a fare i nostri affari, a perseguire i nostri interessi a breve termine, economici o mirati al controllo politico e militare del nostro cosiddetto 'ordine mondiale'.

Anche in Iran e verso l'Iran niente da fare. Ci copriamo con la foglia di fico del Nobel per la pace ad una povera resistente in galera, ma -all'interno del paese- possono continuare ad agire impunemente contro i loro stessi cittadini e cittadine, attanagliando le opposizioni di piazza in un contesto di repressione e terrore di stato. D'altronde, anche da noi, si prosegue a picchiare dei ragazzi in corteo, armati solo di uova sode, per proseguire a creare anche qui il clima giusto per un futuro di pace e democrazia.Tanto, se qualcuno passa alle armi, la soluzione è sempre quella e rafforza il gioco della violenza armata e repressiva degli Stati.

Qualunque essere umano ragionante o anche solo senziente si rende conto da tempo che la situazione di violenza in Palestina non poteva reggere a lungo senza una nuova guerra. E ci risiamo, infatti. E tutti i partiti, i media, le istituzioni ad attaccare l'attacco di Hamas, la guerra dei poveri (con deltaplani, pickup, e razzi obsoleti) contro chi la guerra la fa da decenni, impunito e arrogante, sotto le spoglie di una democrazia: lo stato di Israele, fulgido esempio di regime razzista, capace di realizzare apartheid interni, distruzione e morte di popoli interi, scavalcamento di qualunque legge o divieto internazionale, senza che ci sia qualcuno capace di fermarlo o almeno di sanzionarlo.

Nel frattempo, proseguiamo a difendere l'Ucraina con le nostre armi, i nostri soldi pubblici, le nostre istituzioni (tutte) schierate contro il mostro russo. Il doppio standard si realizza così in tutta la sua smaccata evidenza. In una fase in cui si palesa la nostra partecipazione ad una vera e propria guerra, che non ha più neppure la parvenza di essere difensiva e resistenziale, restiamo appesi alle decisioni di Borrell, Stoltenberg e Biden, senza che possa più levarsi non dico un'opposizione, ma neppure un lamento (e povero il Santoro, che ancora ci prova, senza trovare -mi pare- alcuna sponda). Fa impressione dover verificare che l'unico riferimento possibile oggi sia rimasto il Papa (che è diventato tale anche per quel Fregoli movimentista che all'anagrafe si fa ancora chiamare Luca Casarini, ora in mezzo a vescovi e cardinali, passando senza ritegno dalle tute alle tonache bianche).

Quel che fa più male oggi non è quel che stiamo facendo o permettendo che si faccia o non si faccia, ma proprio questi apparenti stupore e meraviglia che sappiamo mostrare ogni volta che -come ora- la violenza si sfoga, rafforza i suoi circuiti di morte e avanza nella guerra aperta.  E' la stessa che fingiamo quando si palesa la violenza sui bambini, sulle donne, in famiglia, contro i neri ed i poveri (e che ci porta a chiedere leggi e pene sempre più severe e violente, indipendentemente dall'assenza di risultati che inevitabilmente esse comportano).

Dovremmo riconoscere che la violenza è già guerra, comunque venga agita, con le buone o con le cattive. Se si mostra buona, crea il vantaggio che possiamo rimuoverla e negarla con più facilità, ma contemporanemente determina lo svantaggio che -avendola rimossa più agevolmente- si presenterà infine in forme ancora più terribili, distruttive ed incontrollabili, come guerra appunto. Dovremmo imparare a vedere e sentire quel che si sta avvicinando: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-su-ci-e-si-avvicina 

Non ci salverà dalla distruzione, ma preserveremo almeno la dignità di aver compreso (e di aver detto, senza negare più) il quando,il come e soprattutto il perchè.

 

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