lunedì 16 ottobre 2023

nulla osta, semper obsides

 

Centocinquantacinque cittadini israeliani sono stati presi in ostaggio da Hamas e sopravvivono, terrorizzati e inermi, in qualche bunker sotto Gaza.

In quella stessa metropoli, milioni di palestinesi sono stati per decenni ostaggi di Israele: dei suoi ricatti economici, dei suoi patti non mantenuti, delle sue continue aggressioni e rappresaglie.

Per lottare contro queste ingiustizie quelle stesse persone sono divenute ostaggi di Hamas.

E quando Hamas ha deciso che era giunto il momento di attaccare e terrorizzare il nemico, tutti i palestinesi di Gaza – almeno per la maggior parte di noi occidentali e per la maggior parte degli israeliani- sono diventati Hamas.

Ma Israele conosce la lingua del terrore e della guerra come nessun altro, da sempre.

Ecco perché sta divenendo, è divenuto, un modello per i tutti i governi e gli stati del mondo.

E ha proseguito a parlare la sua lingua, l'unica che conosce (con il beneplacito del mondo).

Gli abitanti di Gaza sono divenuti così ancor più ostaggi, sia di Hamas che di Israele.

E continuano ad esserlo anche tutti gli israeliani, ostaggi della paranoia e dei governi che votano per trovarne insieme sollievo e conferma.


I palestinesi di Gaza – a questo punto- avevano, da ostaggi quali erano e sono, due possibilità: restare o fuggire.

1. Restare ostaggi di Hamas e stare a Gaza, in attesa di bombardamenti, distruzioni, eccidi casa per casa, o anche a resistere e contrastare l'invasore, con i mezzi a loro disposizione contro un esercito superorganizzato.

Se fosse mai esistito il diritto internazionale, se contassero davvero l'ONU e le convenzioni di guerra, anche in un'ottica nonviolenta, avrebbe avuto un senso restare a Gaza: gli Israeliani avrebbero avuto certo più remore ad attaccare milioni di persone inermi di fronte a quel che resta dell'opinione pubblica mondiale.

Ma la situazione non è questa: la guerra ed il terrore degli Stati oggi non conosce più limite o diritti, usa la guerra al terrorismo come alibi, quale strumento di pulizia etnica e sterminio (come è stato già ampiamente dimostrato da eserciti di qualunque parte, sia in Jugoslavia, sia in Iraq ed Afghanistan, sia in Ucraina).

2. L'ultimatum terroristico di Israele ha quindi in gran parte funzionato e moltissimi palestinesi, presi dal panico e spinti dall'ansia di sopravvivere, (ir)ragionevolmente, sono fuggiti.

Il terrore e la paura funzionano sempre: ti rendono ostaggio o, se lo sei già, rafforzano la tua condizione di sudditanza e obbedienza


Non l'abbiamo sperimentato anche noi, si parva licet, durante la pandemia?

Sappiamo tutti che il lockdown subìto due anni fa rappresenta un precedente inquietante di quel che ci aspetta.

Perchè anche noi, milioni di italiani ed europei, siamo stati e siamo ostaggi.

Dei nostri governi, dei nostri Stati.

Che -a loro volta- sono ostaggi degli Stati Uniti.

Che -a loro volta- sono ostaggi delle multinazionali finanziarie, delle industrie d'armi, dei grandi inquinatori, dei Big Data.

La condizione di ostaggi è quindi generalizzata.

Possiamo dire che rappresenta oggi l'unica realtà davvero globalizzata.

E quando si è in gabbia, e ci si sente tali, senza prospettive di fuga (la neurobiologia e la storia lo insegnano), esistono solo due possibilità: la depressione inerte o autodistruttiva oppure la lotta aggressiva contro chi sta in gabbia insieme a te.

Stanno avvenendo inevitabilmente entrambe le cose, ovunque.

E non solo nei crateri, alla sommità dei vulcani sempre attivi della storia e della geografia.

Ma in profondità, nella vita quotidiana di ciascuno di noi, nelle nostre relazioni, dentro i sentimenti e le emozioni, le paure e le angosce di ognuno di noi.

La nonviolenza politica ci inviterebbe ancora a guardare oltre la gabbia, a non stare nella falsa alternativa appena descritta.

Solo quella strada ci avvierebbe verso la fine del nostro status di ostaggi della violenza ad oltranza.

Ma ce ne stiamo sempre più, irreversibilmente, allontanando.



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