lunedì 1 agosto 2022

tra anarchia e nonviolenza

GHILARZA 29.7.22

TRA NONVIOLENZA ED ANARCHIA: DISOBBEDIRE ALLE LEGGI DELLO STATO


Il racconto 'La supplica respinta' (F.Kafka, 1920) ha aperto il mio intervento.

In essa, un impaurito rappresentante del popolo si presenta di fronte al rappresentante del governo per chiedere qualcosa che, come sempre, gli verrà da lui rifiutato.

Il rito però si ripete, sempre uguale, nonostante si conosca già la conclusione.


In che rapporto stanno libertà e regola (legge) ?

SCHEMA 1



Nonviolenza e anarchia si muovono tra A e B, favorendo tutti i processi di (auto) regolazione (co-costruzione di organizzazione secondo il principio dell'ordine spontaneo e/o processo stocastico) e di (auto)regolamentazione (co-costruzione di regole comuni, condivise e sottoposte a frequente revisione consensuale).

Entrambe si oppongono a C, contrastano l'eteronomia della regola e l'istanza normativa e normalizzante, le considerano omologanti, autoritarie e discriminanti.

'La libertà è madre, non figlia, della legge e dell'ordine', scrive infatti Proudhon.

Tutta la tradizione libertaria americana (Tucker, Thoreau...) riparte da qui e da tre assunti fondamentali:

  1. La libertà di coscienza, di pensiero e d'azione ha un valore superiore a qualunque legge

  2. Il diritto di resistenza (e disobbedienza) è sempre legittimo, qualunque sia il regime a cui ci ci oppone (autocratico o democratico, monarchico o repubbblicano)

  3. Il miglior governo è quello che governa meno ed i migliori cittadini sono quelli che praticano meglio l'arte di non essere governati.

C'è chi trae questi convincimenti da fonti religiose (Tolstoj e Gandhi), c'è chi invece da matrici filosofiche laiche (giusnaturalismo, liberalismo...), ma -in ogni caso- quel che si riconosce è la possibilità per individui e gruppi sociali di resistere alle leggi ingiuste e di poter-dover sempre sanzionare lo stato, quando si ritiene che esso compia atti ingiusti -seppur coperti legalmente- o non compia atti che si ritengano giusti e doverosi per la coscienza di chi vi si oppone e/o propone nuovi atteggiamenti sociali e politici.

Il rapporto tra legale e legale, legittimo ed illegittimo va quindi a riconfigurarsi -per la nonviolenza e per l'anarchia- in questi termini  (vedi sopra SCHEMA 2)


La seconda parte dell'intervento è stata introdotta da un brano tratto da 'La scuola cattolica' (E. Albinati, 2016), in cui l'autore evidenzia quanto ed in quante circostanze -consapevolmente e soprattutto non consapevolmente- obbediamo quotidianamente e continuativamente: a regole, a consuetudini, a vincoli sociali, a leggi.


Lo SCHEMA 3, tratto da un articolo di N.Bobbio degli anni 60 che a sua volta riprende un testo di Passerin d'Entreves, descrive i possibili stadi di questa nostra ascesa dalla consueta obbedienza ad una sempre più radicale e rischiosa tendenza a resistere e disobbedire.

Ci si è chiesti, quindi: com'è e cos'è che rende così difficile e raro per ciascuno di noi il passaggio di soglia (la linea rossa) tra il livello 4 ed i livelli superiori ?

Tre ipotesi (SCHEMA 4):

  1. I dispositivi psico-socio-pedagogici (scolarizzazione, paternalismo-maternalismo, anticonflittualismo-conformismo, gerarchia sociale e lavorativa....)

  2. La collusione di interessi e profitti (sistema di gratificazione premiale parzialmente redistributivo)

  3. Se questi -tipici del soft power- non bastano, si passa anche a quelli dell'hard power: paura, terrore, mortificazione, esclusione, oppressione-repressione diretta, guerra.

In un tale contesto, molto simile ad una gabbia senza uscita, caratterizzata da un altissimo grado di violenza strutturale e culturale (e, quando necessario, di aggressione violenta diretta) , non c'è da stupirsi quindi che le maggioranze obbediscano quasi sempre e che solo piccole minoranze (nonviolente e/o anarchiche) riescano a resistere e disobbedire.


La terza parte dell'intervento si è rivolta allora a definire il rapporto tra i modelli storicamente dati nelle azioni di disobbedienza civile nonviolenta a confronto con le forme di azione più tipicamente anarchiche:

SCHEMA 5




In esso si chiarisce la profonda differenza tra questo tipo di azioni e le forme di protesta e contestazione tipiche della tradizione riformista, socialista e pacifista.

Nonviolenza ed anarchia agiscono proprio laddove le forme tradizionali mostrano la corda e smettono di funzionare in vista dei loro fini dichiarati (o per inadeguatezza di chi agisce in esse o per la verificata impermeabilità di chi è oggetto della contestazione stessa).

I punti di maggiore differenza tra azioni nonviolente ed anarchiche appaiono qui evidenti.

Nel dibattito sono emersi in particolare il diverso atteggiamento verso lo stato e le leggi (i nonviolenti agiscono su obiettivi specifici e credono al potere ri-costituente della disobbedienza nei confronti della legge ingiusta, che può e deve essere trasformata in meglio) e verso l'uso della violenza (che è rifiutato per principio dai nonviolenti e solo tatticamente dagli anarchici).


L'ultima parte (che non è stata presentata per limiti di tempo) riguarda lo SCHEMA 6.

A partire dall'aquilone, si vuole evidenziare un processo di trasformazione in corso che differenzia il modo in cui violenza e nonviolenza si sono presentate e si presentano oggi sulla scena del mondo.

Nella prima variante la violenza è caratterizzata da aggressività e passività (triangolo basso), mentre la nonviolenza si muove tra assertività ed empatia (triangolo alto).

Nella seconda, più forte a partire dalla fine del secolo scorso, la violenza si è mossa molto più sulla diagonale 'aggressività-empatia' (soft-power).

A questo proposito, ho significativamente citato un brano di M.Foucault, tratto da Medicina e biopolitica, in cui lo Stato controlla e governa i suoi cittadini attraverso il sì ai loro desideri, prendendosene cura e proteggendoli dal male (vedi la recente esperienza pandemica).

Ma, all'interno di questa strategia, realizza così la sua politica di morte (necropolitica).

Come possono reagire (e potranno farlo?) non violenza ed anarchismo dentro ad un sistema di dominio sempre più onnipervasivo e potente, che manipola e mistifica le parole stesse delle nostre trascorse opposizioni (anarcocapitalismo, transizione ecologica, pace...) per realizzare la catastrofe planetaria e la nostra estinzione (sociale, politica e fisica) ?

Da qui parte la proposta controparadossale di 'fare il morto', in senso collettivo e pubblico: 'agire il non agire' quale forma di sviluppo contemporaneo della non collaborazione attiva, della resistenza passiva e della disobbedienza civile (per saperne di più, vedi i miei ultimi libri: 'Fare il morto', 2016 e 'Homo homini ludus' (2021)).













1 commento:

  1. Ciao. Molto interessante (come sempre, del resto). Segnalo però che gli schemi 3&4 sono ripetuti e lo schema 5 (a differenza del successivo 6) è del tutto assente.
    Potresti aggiungerlo?

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