Da molto tempo non
andavo a sedermi e a leggere al giardinetto.
La situazione è
peggiorata: sporco, abbandono, barboni sempre più chiassosi ed
ubriachi, più numerosi e più giovani, in una miseria del corpo e
dell'animo sempre più evidenti, nude vite che urlano il dolore e la
loro ulteriore mortificazione, in un disincanto senza rimedio.
Si fanno compagnia
così, umani come sono, tra sberleffi e liti, parolacce e sapienti
rivelazioni su se stessi o sul mondo, cartoni di vino e vetri rotti
di bottiglie scolate tra i ricordi e le mense della Caritas.
A Minneapolis, e in
vari slums degli USA, i neri miserabili e bistrattati si ribellano al
grido di 'I can't breathe!'. Sì, anche qui, nella vita borghese che
ancora conduciamo, non si riesce a respirare.
Ma per i poveri, e
i neri di sempre, c'è un ginocchio che preme fatale sul collo.
E per soffocarli
non vogliono neppure più spendere i soldi per cappio e forca.
In tutta risposta,
i potenti ed i riccastri di turno si assidono sul trono e tornano
sprezzanti alla conquista dello spazio, lanciando in aria i loro
dispendiosissimi dragoni celesti.
Che la terra resti
irrespirabile... Loro vanno a respirare in cielo, per vivere lì,
come dei che si oppongono alla vita degli uomini con il loro sogno
mortifero di immortalità (ed immoralità).
Come
il capitalismo e a differenza del cristianesimo, la religione medica
non offre prospettive di salvezza e di redenzione. Al contrario, la
guarigione cui mira non può essere che provvisoria, dal momento che
il Dio malvagio, il virus, non può essere eliminato una volta per
tutte, anzi muta continuamente e assume sempre nuove forme,
presumibilmente più rischiose. L’epidemia, come l’etimologia
del termine suggerisce (demos è
in greco il popolo come corpo politico e polemos
epidemios è
in Omero il nome della guerra civile) è innanzi tutto un concetto
politico, che si appresta a diventare il nuovo terreno della
politica – o della non-politica – mondiale. È possibile, anzi,
che l’epidemia che stiamo vivendo sia la realizzazione della
guerra civile mondiale che secondo i politologi più attenti ha
preso il posto delle guerre mondiali tradizionali. Tutte le nazioni
e tutti i popoli sono ora durevolmente in guerra con sé stessi,
perché il nemico invisibile e inafferrabile con cui sono in lotta è
dentro di noi. (da
https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-la-medicina-come-religione
)
Non ci basta più
di vivere al centro, non ci basta più di scacciare via da lì le
mille periferie del mondo. Perchè quel che è accaduto mette in
angoscia la città, le metropoli, i centri. E mostra di nuovo la
salute e la potenza dello star fuori, dell'isolarsi, del distare.
E' anche qui che si
sta giocando il conflitto tra Nord e Sud Italia: quelli che sono in
vantaggio nel mondo (economico) si rivelano non esserlo nel vivere e
nel morire.
La quantità non
corrisponde alla qualità, anzi pare proprio che valga l'inverso.
Le zone
extraurbane, le isole, le realtà pastorali ed agricole non
industriali, le aree non metropolitane hanno superato questa crisi
sanitaria molto meglio delle città e dei centri globalizzati.
Sono sistemi che
resistono meglio alle catastrofi epidemiche: più distanza, meno
stress, aria più pulita, difese immunitarie sveglie, sonni più
profondi e silenziosi, scorrere del tempo senza corse.
Lo so che la vita
rurale non è per nulla tutto rose e fiori, anzi.
Lo so che da lì
viene e verrà gran parte dei voti all'estrema destra populista: ed
anche da qui si intravede la sconfitta progressiva della città, e
dei suoi cittadini più colti ed agiati, anche nella dimensione della
politica 'democratica'.
Ma è da lì che
sta arrivando l'odore (il profumo, la puzza) di nuove rivolte.
I nuovi feudatari
post-moderni difenderanno allo stremo e con ogni mezzo la loro
ricchezza ed i loro crescenti privilegi contro la massa crescente di
impoveriti, disperati, nuovi perdenti alla roulette del mercato
globale.
Anche se dovessero
finire nel bunker della Casa Bianca, assediati da Joker impazziti,
arrabbiati e in rivolta, come sta accadendo alla famiglia Trump in
questi giorni.
Sapranno come
reagire, hanno i loro eserciti e le loro polizie, e le useranno
contro il popolo, come sempre.
I media ed i
politici, i negozianti e i banchieri blaterano di ripartenza e
rinascita. Noi stessi, desiderosi sempre di vivere, riprendiamo a
respirare e a camminare.
Ma il nostro
futuro, che era già soltanto anteriore , ora si fa remoto: un futuro
remoto ed in remoto.
Remoto perchè
assomiglierà sempre più ad una modernità regressiva, arretrante,
pre-moderna, contro-democratica, feudale. Un ritorno al futuro che
ritorna indietro per tentare di andare avanti.
Al proposito, il
prof. Zan-grillo parlante l'ha finalmente detto: 'il pericolo clinico
è finito, ma qualcuno vuole continuare a terrorizzare il paese'.
Parte certamente da premesse ed intenzioni opposte alle mie (lì è
il capitalismo intensivista a ruggire, che quel che doveva avere in
pasto l'ha avuto, ma che ora è come un leone che non vuole più
stare in gabbia; non è un caso che sia il medico personale di
Berlu); ma dice la verità.
Quel che sta
accadendo da almeno un mese a questa parte non ha più nulla a che
vedere con il virus e con i rischi di contagio
(
https://www.valigiablu.it/nuovo-coronavirus-svezia/)
, ma è totalmente all'interno della sola dinamica bio-politica e
delle sole istanze di controllo territoriale degli stati.
Il che si dimostra
col fatto che le decisioni non si basino più sui contagi e sui
fattori di rischio, come avevano ipocritamente annunciato all'inizio
della fase 2; ma si basino sulle divisioni territoriali (regionali) e
sui diversi rapporti di potere intercorrenti tra loro e nei confronti
dello stato nazionale, a partire da statistiche economiche e non
sanitarie (oltre che da calcoli elettorali feudali, ovviamente).
Il modello
detentivo prolungato, mutuato dal nostro medioevo feudale passato e
dalla dittatura cinese, modello feudale del nostro prossimo futuro
remoto, resterà nell'aria, come il virus stesso.
E ci ripiomberà
addosso, ogni volta che servirà e molto prima di quel che speriamo
nel nostro illusorio tirare un sospiro di questi giorni.
Dico sospiro e non
respiro, perchè -chi sa guardare il futuro- non può che restare in
apnea, in attesa del futuro remoto che bussa alle porte.
Non si sta aprendo
la porta, ma solo una piccola finestra. E, nel frattempo, i cancelli
si sprangano e si rifiniscono i dettagli delle gabbie in cui
proveranno ancora a farci vivere.