giovedì 13 giugno 2024

a chi vuole sperare ancora

 

C'è infinita speranza, ma nessuna per noi (Lettera di Franz Kafka a Max Brod)

Gli amici di Comune.info mi chiedono di aderire alla loro nuova campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.

Ho risposto che -da buon catastrofista militante- non posso aderire

Ricordo ancora una volta che la Speranza (che è sempre l'ultima a morire) usciva per ultima dal vaso dei mali. Era un antidoto ad essi, ma perché stava nel vaso con loro?

É il tempo di chiederselo e di risponderci.

Penso che il principio-speranza non possa più esserci d'aiuto, anzi sia un ostacolo -da tempo- per qualsiasi ipotesi di cambiamento. Un male, insomma.

Nuove possibilità potranno emergere infatti-lo sostengo ormai da quasi due decenni- soltanto dall'assunzione della catastrofe come dato di fatto irreversibile ed irrimediabile.

Proseguire a rimuoverla o a rinviarla, fingendo di poter sperare ancora in soluzioni politiche o tecnologiche, è il nostro (vostro) problema.

E' proprio il fatto di non aver assunto la catastrofe da una prospettiva rivoluzionaria che ha generato quel che vediamo oggi: una sua assunzione e gestione a partire da una prospettiva reazionaria.

Proseguire a sperare (nella democrazia, nei partiti, nelle elezioni, in Ilaria Salis o in Michele Santoro, nei movimenti, nelle presunte alternative, negli auspici di progresso...) non ha più senso e ci allontana inevitabilmente da una prospettiva che -come già accade in Occidente- non ci lasci in mano al neofashismo capitalista imperante (ben più pericoloso, attivo e attuale del neofascismo contro cui qualcuno continua ad accanirsi retoricamente e invano...).

Inutile auspicare o sperare altro: il neofashismo non può -né tanto meno potrà- gestire la catastrofe se non in modo ulteriormente catastrofizzante: la sua gestione catastrofica della catastrofe non conosce alternative alle sue eterne e false soluzioni: la crescita, lo sviluppo, il consumo e, se questi non funzionano, la violenza diretta e la guerra.

Ci siamo già, in quasi tutto il mondo, e inizia a toccare anche a noi qui (da qui, la paura).


Nient'altro che la disperazione può salvarci (Theodor W. Adorno)

Se un movimento dovesse nascere ora dovrebbe essere quindi un movimento per la disperazione, come già qualcuno (Tommaso Pellizzari) ha provato saggiamente (e inascoltatamente) a scrivere qualche anno fa.

Quel che possiamo oggi è infatti deprimerci con coraggio, avere il coraggio di ammettere il fallimento e di deprimerci attivamente (fare il morto).

O disperare gioiosamente, insieme, illudeticamente.

Devo constatare invece che si preferisce -anche tra gli amici come voi- continuare a sperare.

Il che assume per me le caratteristiche di un mantra neo-religioso: potrebbe valere per Papa Francesco e una sua omelia e risultare comprensibile solo per chi crede ancora in un Dio (che è morto). Peraltro, anche in quell'ambito, mi pare che le teologie negative o apocalittiche non manchino. Non potremo risorgere mai, se non siamo disposti a morire.

Ma non sono qui per parlare di teologia ecclesiale.

Vorrei dire solo che -se si voleva stare nella dimensione della speranza, della solidarietà filantropica o della fede in altri mondi possibili- avremmo fatto meglio a restare cattolici.

Oppure perché -a quel punto- non aderire agli squallidi e speranzosi green-washing della pubblicità?

Ora tocca a noi. La speranza si diffonde nei mari e negli oceani del nostro pianeta...L'esploratrice e biologa Sylvia Earle, con la sua inestimabile esperienza, contribuisce al raggiungimento di questo obiettivo attraverso la sua organizzazione Mission Blue, con la quale ha creato oltre 130 Hope Spot, ed è solo l'inizio. Quest'iniziativa trasmette un messaggio di speranza alle generazioni future ed è un esempio dell'impegno necessario per garantire al pianeta un avvenire perpetuo. Ora e sempre. Rolex sostiene Mission Blue nel suo impegno a proteggere il 30% degli oceani entro il 2030. #Perpetual Planet Initiative/Oyster Perpetual Sea-Dweller


Lasciamo perdere, almeno noi, per favore, grazie.

Basta con i miraggi. Basta con le false luci che ormai sono solo lumini dei nostri immensi cimiteri.

É giunto il momento di andare oltre la paura della fine, di entrare nell'oscurità, interpretarne i segni,  imparare ad amarla.

Abbiamo tutti paura del buio. Costruisci dieci lampioni e avrai fatto un villaggio. Siamo come falene. Quando il buio incombe ci precipitiamo verso la luce. Così la maggior parte di noi si accontenta delle lampadine. Dimentichiamo l'oscurità. Per questo non conosciamo il desiderio. (grazie a Chiara P.)