Chi inizia una guerra ha già fatto i suoi calcoli: crede che, comunque vada a finire, avrebbe comunque perso qualcosa a non farla e avrà comunque qualcosa da guadagnare nel farla (fosse anche soltanto un superiore orgoglio di sé, anche se sconfitto).
Chi aggredisce con le armi ritiene già, a torto o a ragione, di non aver più nulla da perdere e di non aver più nulla da vivere, se non iniziasse ad agire contro l'altro.
Omicidio e suicidio si assomigliano in questo, eccettuato l'oggetto su cui la violenza agisce.
Ed ecco perché ogni omicidio è anche un suicidio, ed ogni vittoria è anche una sconfitta.
Perchè ogni violenza rompe la trama, lacera il tessuto ecologico delle interdipendenze in cui e di cui i viventi, essenzialmente ma inconsapevolmente, vivono.
Chi inizia una guerra sa già che non finirà presto e che non finirà più.
Sa che deve fare di tutto perché non si arrivi ad una conclusione e neppure ad una tregua, se non per convenienza. Se non per farla proseguire, sotto mentite spoglie.
Perchè sa che, anche dopo aver sottoscritto la 'pace', la guerra proseguirà nei cuori e nei corpi di chi resta.
Perchè sa che la guerra deve restare lì: infissa nella memoria, gonfia d'odio, sempre pronta a tornare, angosciosa e terrifica.
Perchè una guerra può finire, ma la guerra deve restare, fino ad apparire come esistente da sempre, primordiale ed inestirpabile, della stessa età dell'uomo, come se fosse cresciuta con lui.
E proprio come se, senza di lei, non si potesse crescere.
Chi inizia una guerra sa che la guerra non potrà frenare, ma dovrà -per sua natura- accelerare, aggravarsi, espandersi.
Il circuito delle rivalse e delle ritorsioni, delle vendette e delle rivendicazioni sa sempre avvitarsi su se stesso, avvolgendo gli esseri come in un gorgo di ingovernabili fatalità.
La guerra giustifica sé stessa e più avanza nel suo distruggere vite e sacrificare a sé morali e ragionamenti più appare impossibile da fermare, più si nutre della nostra impotenza a fare qualunque altra cosa, che non sia giustificarla ancora, pur di vederla proseguire.
Ammutoliamo, senza possibilità alcuna di ammutinamento.
La guerra -come ogni violenza ben fatta e come ogni vero amore- lascia attoniti.
Ma una guerra inizia? E quando?
Quando la si dichiara? Quando si invade un territorio? Quando ci si arma? Quando si inizia ad uccidere?
Lì, quando la si vede e la si proclama, è già troppo tardi.
La guerra è già tra noi, da tempo.
Come la catastrofe, che proseguiamo a chiamare emergenza, crisi, criticità, pur di non vederla, ma che sta per sommergerci.
Come il conflitto, che preferiamo nascondere o rivoltare su altri lontani, o proiettare sullo schermo di un cinema, sentendoci al sicuro sulle nostre poltrone reclinabili che invitano al sonno.
Ci stiamo già adattando anche a questo spettacolo.
Tra poco anche questa guerra sarà solo un trafiletto in cronaca della nostra coscienza.
Ma la guerra, quella che non passa, resterà.
E ci avvolgerà nel suo manto che non conosce compassione.
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