mercoledì 29 aprile 2020

alla stupidità dei colti e degli intelligenti, quella di ora e di prima e di domani


La facilità con la quale crediamo a tutto è la miglior prova che non crediamo in niente!
(Orson Welles)

La thoughtlessness, l'assenza di giudizio, è l'incapacità di discernere tra bene e male. Agli occhi della Arendt l'intasamento della coscienza è la strategia della politica del terrore...Il totalitarismo produce l'oscuramento dello spazio pubblico e luminoso, del tra-noi. L'esito è l'estraneazione come espropriazione integrale dell'umano e la 'messa in riga', l'uniformazione che si compie nei tempi bui, quando la tavola dei valori si rovescia: 'L'esperienza dimostra che furono proprio i membri della società rispettabile a cedere per primi. Essi non fecero altro che cambiare un sistema di valori in un altro.'. Peggio, quando questo cedimento accade non ai malvagi, ma agli amici che non intendono perdere il treno della storia...
Ma il sofisma che confonde obbedienza e consenso non è una difesa accettabile. Il bambino obbedisce, ma se lo fa un adulto, in quanto libero, in realtà appoggia, dà il suo consenso sia all'autorità che alla legge che pretendono ubbidienza...
La responsabilità personale quindi non può mai essere elusa.

Nell'Antropologia pragmatica, Kant distingue tra deficienze e malattie della mente. La stupidità è una deficienza, non un disturbo, cioè lo stupido è 'compos sui', è responsabile: 'Si chiama testa ottusa colui che manca di spirito (Witz). Egli può, tuttavia, quando si tratta di intelletto e ragione, essere una testa molto buona. La deficienza di giudizio senza spirito dicesi stupiditas.'
Ecco, Eichmann è perfettamente in grado di pensare, di esercitare il suo intelletto analitico, è un ottimo organizzatore, ma non è in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto. Allora, intelletto e giudizio non necessariamente si trovano nello stesso uomo.
L'intelletto procede analiticamente e deduttivamente dall'universale al particolare, secondo una logica stringente, funziona per così dire 'in automatico'. Uomini che ragionano perfettamente e per lo più proprio per questo hanno grande successo -Eichmann è quasi il prototipo dello yes-man di oggi- eppure così stupidi.

Nell'oscuramento dello spazio pubblico, quanto emerge con forza è esattamente un appello alla responsabilità personale e insieme all'anticonformismo, perchè il pericolo oggi non viene tanto dal crollo dei valori condivisi, ma dal conformismo rispetto ad un tessuto di valori assunto senza riflettere. L'urgenza dunque consiste in definitiva nell'opporsi alla pressione che intende soffocare sul nascere la decisione per il sì o per il no, cioè la propria libertà.

Lo sappiamo per esperienza, la coscienza morale non dorme sonni tranquilli, la sua condizione è l'inquietudine, lo scrupolo il suo pungolo. La situazione morale è costitutivamente paradossale e un'autentica questione etica è sempre dilemmatica. Per definizione il di-lemma si configura come una premessa doppia; un'ingiunzione plurale, che si compone di almeno due leggi contraddittorie che avvertiamo come altrettanto cogenti. Non è mai semplicemente un problema, la cui risposta è valida a priori e consegue dalla considerazione adeguata di tutti gli elementi che lo compongono, dal calcolo corretto. In questo caso, la soluzione è già data ed attende di essere scoperta. In tal senso, gettato innanzi, il problema è anzi una proiezione e una protezione che non contempla né rischio né responsabilità, nessuna esposizione all'alterità. In effetti, una volta ridotto un dilemma etico a problema, quando l'altro non è nient'altro che un problema, esso è perduto; e la risposta sarà certamente sbagliata.
Quanto alla questione morale -quando ne va del bene e del male- essa invece non si presenta mai come un problema ma piuttosto come una sfida. In questo caso, nell'ora grave delle scelte e delle decisioni, quando l'etica si fa seria, una soluzione buona per tutti non esiste!
Ogni volta l'unica sfida, di fronte all'altro nell'istante della scelta morale, veniamo messi alla prova, separati da tutti. Così, senza protezione, siamo faccia a faccia, ormai esposti all'alterità nella separazione. Allora forse, forse sì, attraverso questa separazione, si produrrà lo straordinario incontro tra quegli assoluti plurali che sono gli uomini.

(da Mario Vergani, Separazione e relazione. Prospettive etiche nell'epoca dell'indifferenza, ETS, 2012, pp. 181-206)

se potessi avere...mille corone(virus) svedesi...



L'uomo non fa quasi mai uso delle libertà che ha, come la libertà di pensiero; pretende invece, come compenso, la libertà di parola.
Soren Kierkegaard


Ad Istanbul si intima il coprifuoco e ci si muove ad accentuare la discrezionalità da sceriffi.
A Stoccolma si continua a girare senza obblighi, a sedersi nei bar, a correre nei parchi.
Noi, tra loro: magari il modello turco sarà introdotto in futuro anche qui, per altre emergenze, magari con gradualità impercettibili, per non generare troppe (peraltro, almeno al momento, improbabili) reazioni.
Ma siamo sicuramente più distanti (come tutte le sedicenti democrazie europee) da quello svedese.

La Svezia: quanto poco se ne parla qui da noi.
Ha un sesto dei nostri abitanti, una densità molto più bassa, è vero.
Ma con i suoi metodi non ha ancora raggiunto i 20.000 contagi e non ha superato i 2000 morti, di cui l'87% sopra i 70 anni. Un terzo di contagiati e morti sta poi tutto nella capitale.
Noi, invece, abbiamo praticato l'obbligo del distanziamento (che in Svezia è solo consigliato) ed abbiamo quasi raggiunto i 200.000 contagiati e i 25.000 morti. Di questi l'80% ha contratto il virus all'interno di luoghi chiusi e protetti (case di cura e di riposo, ospedali, famiglie, luoghi di lavoro) ed anche da noi ha più di 70 anni.
Bisogna constatare che, a parità di isolamento individuale praticato con diligenza e disciplina, alcune regioni continuano ad andare molto peggio di altre: non mi pare che sia risultato quindi così importante e per nulla decisivo il distanziamento sociale tra persone, quanto invece l'isolamento o meno dei territori ed altri probabili fattori di riduzione del rischio (tempestività, limitazione di errori tecnici, scarsa densità di popolazione, stato di salute pregresso, grado di inquinamento e presenza di industrie, intensità e frequenza degli scambi di traffico, differenze di età e genere...).
Il confronto tra noi e la Svezia, sinceramente, lascia perplessi: abbiamo sei volte i loro abitanti, ma abbiamo delle cifre almeno dieci volte superiori alle loro, pur avendo compiuto un sacrificio personale, sociale ed economico davvero terribile e ormai insopportabile.

Perchè allora abbiamo insistito tanto sull'obbligo di detenzione, su questo prolungato e invariato sequestro di persona sotto ricatto a cui siamo stati sottoposti ?
Perchè non ci siamo fidati del senso di responsabilità della cittadinanza, a differenza degli svedesi ?
Alcune possibili letture ci rimandano lontano: alla differenza tra luteranesimo e cattolicesimo, ad esempio. O, per stare leggermente più prossimi, alla cultura pubblica ma non statalista dei paesi scandinavi messa a confronto con la nostra, molto statal-familista e sempre poco attenta a ciò che è pubblico.
Una cultura sociale, la nostra, fondata su modelli sfiduciari e che alterna de-responsabilizzazione (premi e punizioni comminati in relazione all'ottemperanza ad obblighi di controllo eteronomo, in assenza presunta di una responsabilità sociale diffusa) e iper-responsabilizzazione (morale del sacrificio quale unica fonte di virtù personale e salvezza collettiva).
In entrambi gli estremi siamo al di fuori di una dimensione educativa ed etica: in essi non vi può essere alcuno sviluppo della responsabilità sociale, ma soltanto la riproposizione di istanze totalitarie e sempre 'calate dall'alto', per imposizione e non per consapevole adesione morale.
Lo stato, d'altronde, ha avuto tutto il suo guadagno a chiuderci in casa tutti in blocco e a non doversi impegnare in un ruolo di sottile discriminazione dei comportamenti punibili da parte di persone comunque libere di uscire (ad es. il reato di assembramento o di spostamento in gruppo immotivato).
Le persone sono state sovraccaricate di responsabilità (con effetti sanitari tutti da dimostrare) per alleggerire le istituzioni e per coprire le mancanze di quest'ultime (che si tratti di ospedali, aziende o questure).

Oltre alla mancata occasione di crescita per l'etica pubblica, quel che sta accadendo lascerà strascichi pericolosissimi che comporteranno -all'opposto, purtroppo- una sua ulteriore degradazione:
  • da un punto di vista relazionale, il dilemma tra 'proteggere gli altri' e 'proteggerci dagli altri' non potrà che risolversi in un aumento del securitarismo; i muri tra gli stati ed i popoli troveranno il loro equivalente interpersonale in muretti e fossati vari (immunizzazione della vita sociale, tra mascherine e guanti; divaricazioni ulteriori tra chi ha/è e chi non ha/non è; il lavoro socio-culturale-assistenziale, che già era alla canna del gas nella fase di ri-animazione precedente, ora si troverà a tappare ancora più falle e a fornire solo delle terapie palliative ad un corpo sociale relazionalmente moribondo e mortificato;
  • da un punto di vista socio-politico, la riduzione ulteriore della vita pubblica, della possibilità di manifestare o anche solo di incontrarsi in gruppo, oltre che il già evidente crescendo del conformismo anti-conflittuale, rappresentano la pietra tombale di qualunque democrazia sostanziale. Forse sorgerà -prima o poi- una nuova resistenza, ma credo che -come già accaduto- dovremo passare necessariamente attraverso le prove dolorose di nuove tirannie (più o meno soft);
  • la privatizzazione e mercatizzazione della dimensione pubblica verrà giustificata a partire da necessità sanitarie: le spiagge libere spariranno di fatto, non si sa per quanto; i marciapiedi e le strade saranno occupate più ampiamente ed ulteriormente gentrificate da ristoranti e spazi turistici lottizzati; lo sport e gli spettacoli saranno sempre più sotto controllo, sempre più in mano alle tv a pagamento, sempre meno godibili in presenza ed in luoghi pubblici;
  • si entrerà ancor più nella dimensione 'onlife': la vita materiale quotidiana (dalla spesa allo studio, dal lavoro allo svago) è destinata a trasferirsi in forme sempre più totalizzanti sulla rete, riducendo ancor più i pochi barlumi ancora esistenti di conversazione ed esperienza sociale diretta; significativa, a questo proposito, la recente reazione dei vescovi (finalmente!);
  • l'esperienza di limitazione creerà un ulteriore corto circuito con la nostra cultura sociale generale che prosegue ad inneggiare al godere e crescere senza limiti; il modello dell'illimite -in presenza di limiti a vivere così evidenti- provocherà ancor più depressione, rabbia, risentimento, frustrazione, senso di impotenza da un lato, e desideri di fuga, evasione, anestesia e/o di vendetta, invidia e desiderio di rivalsa dall'altro.
    Un bel mix di fattori che andrà a tutto vantaggio di una politica d'invocazione ed insediamento del Capo.

Come già scritto, ora iniziano le insubordinazioni: conflitti aperti, ognuno ad esaltare i propri interessi di parte. Altro che comunità, altro che unità, altro che condivisione.
Il tanto sbandierato senso di appartenenza si rivela per quel che era: una mera apparentenza, un'appartenenza solo apparente, gonfiata dalla paura comune e dai media.
Ora si apre la fase più critica per il governo, la luna di miele da coronavirus è finita.
E purtroppo non è il momento di rilassarsi neppure per noi, anzi si apre il momento più critico e delicato.
Dinanzi alla fanatica smania di voler riaprire tutto, non potendo confidare nella conversione degli esseri umani, possiamo solo sperare nella clemenza del virus e che solo per questo i contagi non crescano di nuovo.
E, se questo invece accadesse -come è probabile-, sperare che non si attuino più scelte totalizzanti e generalizzate, ma che ogni area possa da ora regolarsi secondo la propria situazione specifica, i propri contagi e le proprie risorse.
N.B. Nel delirio che riprende permangono come sempre totalmente nascoste (in quanto non portatrici di interessi materiali a breve termine) le due questioni di fondo della catastrofe: la cultura relazionale e sociale (in primis, scuola, università, servizi), rimandata a settembre senza dibattito e senza dubbi; e la questione climatica, che continua a star lì, in mano solo a quattro ragazzetti, gretini e -evidentemente- anche orfani.

sabato 25 aprile 2020

LIBERARCI DA...?




25 aprile con mascherina. La prima domanda è: da e di cosa liberarsi ?

Dall'illusione persistente che se ne possa uscire.
Nonostante la situazione, continuiamo a non trarne le conseguenze: la catastrofe va assunta come dato, e da lì -eventualmente- rinascere. Altrimenti, tanto vale cantare 'Rinascerai' con i Pooh: inutile e ipocrita tirar fuori speranze e rimedi che continuano solo a tappar falle.
La destra ha, a differenza di altri, assunto la catastrofe e sta dimostrando di poterla, seppur catastroficamente, gestire.
L'alternativa non si vede, nessuno la sostiene: eppure la catastrofe, se accolta, poteva (e forse potrebbe ancora) essere gestita e rivoltata-detourneè verso 'sinistra'.


Dagli amici del popolo. Ad esempio, dal commissario Arcuri, il peggiore dei nemici tra i cattivi buoni che ci assediano ogni sera.
Qualche giorno fa ha comparato la pandemia ai bombardamenti di Milano nell'ultima guerra.
Oggi proclama che non c'è Liberazione possibile, e che la guerra deve continuare.
Non pensiate che parli a caso o a vanvera. Ha un'idea sul nostro futuro e ci sta lavorando su.
Intanto, farebbe meglio a risolvere i problemi delle mascherine e, magari, ad arrivare, dopo tre mesi di emergenza, a renderle reperibili, riciclabili e ad un prezzo imposto.
Dovrebbe essere il suo lavoro, non lo fa, e intanto invece sproloquia da storico della domenica (prossima).

Oppure dei secondini e delatori in erba: di tutti quei cari cittadini che si mettono volentieri a fare i poliziotti senza esserlo, quelli che ti guardano di sbieco se non hai la mascherina, quelli che ti intimano di tenere le distanze, quelli che ti denunciano dal balcone... Il Grande Fratello, si sa, ha bisogno anche di diligentissime comparse.
'Ora è il tempo di accantonare i fardelli e domare le ansie dell'individualità dissolvendosi in un 'insieme più grande' e abbandonandosi gioiosamente al suo dominio, lasciandosi sommergere dalla marea di un'identicità indifferenziata', ci ricordava Bauman, già più di dieci anni fa.
Non servirà a molto, ma vanno mandati a cagare da subito, direttamente, senza remore e senza pietà. Per nostra mera soddisfazione, e per incominciare ad allenarci ed a sistemarli in vista del prossimo futuro.
Sono gli stessi che non vedono l'ora di buttarsi tra le braccia delle app geolocalizzanti (a Milano sono già un milione). Quando i loro dati saranno utilizzati non più soltanto da Facebook, ma dalle questure, dalle aziende, dalle assicurazioni, dai politici e dai sanitari, sapranno dove stanno per andare a finire, a sopravvivere nei loro lager di città. Ma sarà troppo tardi.



Seconda domanda: di e da cosa invece ci libereremo e ci libereranno?

Della democrazia parlamentare e della scuola.
In questi ultimi tempi, i più protetti sono stati proprio docenti e parlamentari...per farli fuori meglio in futuro.
Parlamenti inutilizzabili nell'emergenza, decreti solo da ratificare, governo tecnico di politici tecnici, elezioni rinviate sine die (che si faranno, prima o poi, ma mi spiegate -ancora più di prima- a che cavolo potranno mai servire?)
E in tutto questo la fine di un'illusione, il sogno infranto dei Cinque stelle: la Democrazia a rete, ora totalmente e definitivamente sommersa da un decisionismo da capibastone ancièn regime.
O forse era proprio questo, alla fin fine, il sogno telematico di Casaleggio & C. ?
In una vera democrazia si sarebbe potuti procedere ad esperimenti differenziati (per luoghi, tempi, età, generi...), a trovare soluzioni appropriate e specifiche, locali, autogestite ed autoresponsabilizzanti: ma quasi tutto -nelle comunità sociali- era stato già liquidato e liquidificato da tempo. Ed il dominio disciplinare ha potuto ora impunemente calpestare quel poco che restava.

La scuola (e l'università) fanno oggi un altro salto decisivo verso la loro totale sostituibilità ed irrilevanza: lo sdoganamento delle lezioni online costruirà la nuova e super-infettiva collusione tra studenti svagati, docenti ignavi e incompetenti, burocrazie amministrative e industria informatica dei social.
Qualche giorno fa ho dovuto contestare (ovviamente da solo e per pura disperazione) una tesi che tendeva a dimostrare la necessità di istruire i bambini della scuola primaria allo 'spirito di iniziativa e all'imprenditorialità' ! Anche Berlusconi ha vinto, proprio ora che sta morendo democristiano: le tre I (Informatica, Inglese, Impresa) prendono possesso definitivo e completo anche della vita nostra e dei poveri nativi morticini digitali. L'automazione robotico-sociale farà il resto.


Della nostra vita sul pianeta.
Il nostro mondo e i nostri stili di vita, così spocchiosi e arroganti, sono stati messi a soqquadro da piccole bestioline, agitati invaders da videogame o da B-movies.
La nostra hybris da grandeur dovrebbe restarne irrimediabilmente scossa.
E invece tutti sbraitano per ripartire subito, e soprattutto quelli che -e non a caso- sono stati i più colpiti: i lombardi qui da noi, i soliti statunitensi nel mondo (devono essere parenti).
Bisognerebbe liberarsi di loro, ed invece siamo e resteremo loro ostaggi, anche se volessimo fare altro (cosa che, purtroppo, non è).
Le società industriali, metropolizzate, ipercompetitive e superglobalizzate sul mercato: sono proprio quelle che sono state decimate dal virus (troppo lavoro, troppo stress, troppi scambi e poca cura delle relazioni umane e dei legami sociali, sistemi immunitari e sanità pubblica già a pezzi...)
Società che andranno a diventare neppure più società di un terzo contro due, ma di un quarto (agiati) contro tre (di poveri e scartati).
Società che continuano a dare i numeri, valutando -come in un eccitante game online- i record, fosse anche solo di morti e guariti, e i soldi, che servono e serviranno (ma a cosa ?).
E continuano ad utilizzare termini come Recovery (fund) e Sure, per continuare ad internarci e rassicurarci, come i più avveduti nazisti, mentre simultaneamente fanno piovere bonus di sopravvivenza e vaccini e ci distruggono la vita (ricordate le bombe e gli aiuti che cadevano insieme dal cielo a Kandahar, stampelle incluse ?)
PS: a proposito di vaccini: avete notato la gara già avviata per intestarseli per primi e far una barca di soldi, ognuno per sé e Dio vi salvi per tutti ? L'appello di ONU e OMS (preoccupate per il potenziale numero di morti nei paesi impoveriti -si parla di 3 milioni di morti!) - è solo, a questo proposito, l'ennesima ed inutile foglia di fico sull'orrore di sempre.


giovedì 23 aprile 2020

fare i buoni e fare il bene

Il primo pensierino è questo: quando il virus si mitigherà sarà una cosa buona, ma non sarà un bene; perchè riprenderemo a vivere come e peggio di prima. La carta da pacchi migliore, infatti, per continuare a fare il male e vivere male è quella che sa avvolgerlo nella bontà: curare i malati per non curare la malattia, anzi per accrescerla ancora. Così arriveremo, nonostante tutto, a rimpiangere, solo tra pochi mesi, questo benedetto intervallo (che, per quanto assurdamente, ci fa bene) e che ha separato due deliri di 'normalità' (la vita di prima e quella di dopo, che ci hanno fatto e continueranno a farci sempre più male).

Il secondo pensierino è ancora una volta dedicato agli operatori sanitari: diciamo che sono eroi buoni e che gli vogliamo bene, ma abbiamo dimostrato di non volere il loro bene. Siamo stati buoni con loro, come da tempo non accadeva (pensiamo a tutta la pur recente diffidenza no-vax); ma non ci è interessato il loro bene, non li abbiamo protetti, non li abbiamo trattati da persone.
Prendersi cura di chi si prende cura ? Solo retorica televisiva.
Le istituzioni, ancora una volta, hanno dimostrato di prendersi cura soltanto di se stesse, e di dare in sacrificio soprattutto quelli al cui servizio dicono di esistere e di agire.

Il terzo è questo: certamente, soprattutto nei primi tempi, abbiamo preferito essere buoni verso gli anziani nelle case di riposo; gli siamo stati vicini, gli abbiamo preso la manina, abbiamo permesso le visite, non abbiamo usato le mascherine per non disumanizzarci. Ma, in questo modo, non abbiamo fatto il loro bene, li abbiamo contagiati e li abbiamo portati a morire (per poi nasconderli anche da morti). I nostri buoni nonnini, che ci fanno tanto tenerezza e sentire più buoni: sì, proprio quelli, li abbiamo uccisi. Noi, sì, proprio noi, quelli buoni.

Il quarto è: abbiamo voluto essere buoni con noi stessi e con l'economia, non chiudendo tutto immediatamente e permettendoci di vivere ancora per un pò come sempre, facendo finta (quasi) di niente; il processo è stato quello solito: iniziale rimozione e negazione, eccessiva sottovalutazione, per poi procedere con eccesso di allarmismo emergenziale, gestito autoritariamente. Ma così non ci siamo fatti del bene, perchè non possiamo crescere: possiamo solo alternare le due facce estreme della stupidità: l'infantilismo ipocritamente ingenuo e il paternalismo falsamente competente e protettivo. Che, finito l'allarme, riprenderanno imperterriti il ciclo di nuovi dinieghi.

Il quinto: tra qualche mese le industrie farmaceutiche, le organizzazioni sanitarie e le istituzioni statali ci assedieranno per geolocalizzarci, sierologizzarci e vaccinarci. L'immunizzazione di massa globale obbligatoria sarà presentata come una cosa buona e giusta e chi non ci starà si trasformerà in un reietto sociale, in un nemico del mondo e della vita. Questo non ci farà bene.
A questo proposito: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/04/21/quella-nomina-di-rezza-iss-nel-consorzio-di-mister-vaccino/5776621/

Il sesto dice: quasi tutti rivendicano il mettersi mascherine e guanti ed obbedire perinde ac cadaver agli ordini dello stato come un sentirsi parte della comunità, un collaborare insieme e come cittadini ad un obiettivo comune, in un rinunciare collettivo e condiviso che ci rende simili e uniti. Tutto buono, ma -in prospettiva- sarà l'inverso del bene per noi. Questa è soltanto la prova generale della fine definitiva delle nostre democrazie parlamentari,  peraltro presunte e già defunte da tempo.
La tecnica si è ormai definitivamente impadronita della politica, e la politica tecnocratica si è ormai totalmente impadronita di noi.
A questo proposito: https://www.unionesarda.it/articolo/news/italia/2020/04/21/il-piano-segreto-per-l-italia-esiste-da-gennaio-troppo-drammatico-137-1010872.html
e il fantastico https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-nuove-riflessioni

Il settimo e ultimo pensierino è: ieri mattina, per varie ore, non mi ha funzionato la connessione a casa. La cosa (a me, che pur non sono tanto digital-dipendente) mi ha innervosito. Mi sono chiesto, allora: ma non è che proprio il fatto di poter essere sempre connessi dalle buone reti e dai buoni server ci rende così passivi e così poco reattivi e protestatari rispetto alla vita che ci stanno imponendo ? Proviamo a fare un esperimento mentale, ancora una volta, e chiediamoci cosa succederebbe se per tre giorni ci fosse un black out informatico totale: credo che la gente scenderebbe in strada a urlare, a protestare, o impazzirebbe di rabbia o di depressione.
Quel che ci tiene a casa, quasi tranquilli, e che ci fa protestare (si fa per dire) solo su internet, è internet.. Che è una cosa buona, ci rilassa e ci fa sentire meno soli e impotenti, ma che -proprio per questo- non ci fa e non ci farà bene.
Proprio per nulla. 

domenica 19 aprile 2020

IN SUB ORDINE




Un nano che porta con sé un metro per misurare la sua statura, -credete a me- è nano in più di un senso... (Tristram Shandy)

E' soprattutto in momenti come questi che una cultura sociale si manifesta nei suoi ordini del discorso. Il dis-ordine emergenziale rivela l'ordine sottostante, implicito e coperto, della vita normale e, in primo luogo, delle sue gerarchie e dei suoi sub-ordini, che appaiono -nell'emergenza-ancor più senza alternative. Il che non è mai vero, ma funziona bene.

Che cosa è più importante per la vita di ciascuno di noi ? E' più forte la paura di ammalarsi o quella di non essere liberi di socializzare ? Preferiamo sopravvivere anche a costo di non vivere veramente più una vita degna di essere chiamata tale ? Abbiamo più voglia di vivere che paura di morire ?
Mi pare che la nostra società stia dando le sue risposte e purtroppo non sono confortanti.
Su queste basi, qualunque potere dispotico può e potrà stanziarsi sopra e dentro di noi ed espandersi senza limiti.

In alto, nella piramide dei valori, resta la produzione di merci e denaro.
Essa definisce anche il valore delle persone, chi può anche morire e chi è meglio di no.
Ecco perchè non ci si cura degli anziani e dei barboni, dei poveri che non hanno e non fanno soldi e lavoro.
Perchè è la tua produttività, cinicamente, a decidere quanto vali e se vale la pena di curarsi di te o abbandonarti, sulla strada o negli ospizi, come oggetti.
Gli scarti vanno scartati, sempre, e ancor più ora, come è stato.

Nella sanità, stanno in alto ospedali e prestazioni specialistiche, mai la prevenzione e la presa in carico sul territorio. Ne abbiamo pagato tutte le conseguenze in questi ultimi due mesi. Ma, a farsi carico della massima parte di stress nella situazione data, in assenza di sostegni sanitari e sociali di base, stanno le persone comuni, in particolare le donne, che devono gestire quasi tutto, soprattutto in famiglia (e soprattutto se hanno dovuto conciliare figli, magari anche disabili, e casalinghitudini varie con il lavoro, più o meno smart).

Nella cultura, le scuole e le università ripartiranno per ultime, magari in autunno.
E non perchè vogliono tutelare noi e gli studenti. Ma perchè non produciamo nulla che conti veramente, perchè non produciamo denaro a breve termine.
Infatti, quel che si aprirà prima, nel settore culturale, sarà solo quel che produce denaro (musei, mostre, spettacoli, librerie...). La scuola può attendere, anche se i giovani e i bambini sono molto meno colpiti dal virus e,, potrebbero riprendere a incontrarsi prima di molti altri.
Se si può produrre insieme perchè, con i dovuti accorgimenti, non si può studiare ?

Nei prossimi giorni crescerà l'in-sub-ordinazione. Ma purtroppo non quella delle persone comuni. Quella del capitale, quella che vuole riprendere a produrre subito, prima possibile, seguendo il fulgido esempio dei Trump (che non vede l'ora di liberarsi del malcapitato prof. Fauci) e Bolsonaro (che si è appena liberato del suo Ministro della salute, troppo incline a salvaguardare la salute e meno gli interessi del mercato).
Proprio lì , anche qui da noi, sta iniziando ad instaurarsi ed esprimersi apertamente il conflitto spietato sui tempi e i modi per effettuare il passaggio tra fase 1 e fase 2, e tra Nord e Sud del paese.
Temo che lo scontro tra capitale e stato e tra capitale e sanità sarà vinto presto dal capitale, con tutte le promesse di precauzione, più o meno da marinaio, e con l'ausilio di tecniche sempre più sopraffine, capillari e controllanti (che sono solo la faccia più nuova e trendy del capitale stesso).
Tra poco la protezione civile, gli esperti sanitari, i politici, ritorneranno ad essere quello che erano sempre stati: dei fantocci al suo servizio, messi nell'angolo dalla furia di ripartire, con tante nuove cicatrici e con qualche costosissimo cerotto in più, ma esattamente come prima.

Esattamente come prima, forse ancor di più, se sarà possibile.
Ma, inevitabilmente e proprio per questa nostra testardissima scelta, ci troveremo sempre più spesso e sempre più pesantemente di fronte all'insubordinazione del cosmo, del pianeta e dei cieli: tra virus, inquinamenti e riscaldamenti vari, carestie e alluvioni, ci troveremo continuamente in emergenza e, spero, ad un certo punto, ci arrenderemo, esausti, sconfitti nella nostra stupida arroganza di giganteschi nani quali siamo.

sabato 18 aprile 2020

l'insubordinazione di una brava bambina



prendiamo esempio...


17 APRILE 2020 11:07

Cagliari, bimba scrive: "Andrà tutto bene", ma dopo un mese ci ripensa e "rettifica"

Ha fatto un altro cartello che recita: "Non credo che andrà tutto bene, lʼho fatto solo perché lo volevano le mie maestre e i miei genitori"



giovedì 16 aprile 2020

altre letturine di conforto sullo sconforto

sacrifismo amorale


Al di là della sua apparenza filantropica e compassionevole, l'idolatria del mondo si nutre di amoralità assoluta anche rispetto ai propri sedicenti e tanto sbandierati principi:
-la libertà e indipendenza del mercato, valore assoluto del liberismo, viene subito messa da parte appena c'è bisogno di rimettersi a succhiare dalle mammelle del debito pubblico; ma il mercato non si sosteneva da solo, non sosteneva tutto con il suo stesso sviluppo, non era capace di risolvere da sé le sue crisi ? Tutto dimenticato.
-esiste solo l'individuo, la società è solo una parola vuota, dicevano convinti della loro a-morale; se gli individui fanno il bene e producono tanto, questo andrà a favorire tutti e a creare un futuro radioso per la società intera; ma appena arriva la crisi ecco che tornano i valori della comunità, i vantaggi del legame sociale, l'utilità del cooperare e del solidarizzare contro il mostro. Ma è solo una finzione.
-la razionalizzazione economico-finanziaria va applicata a tutto, non c'è nessun valore che la superi, tutto deve essere dimensionato alle sue esigenze; ma ora ci si accorge di cosa significhi aver tagliato le spese sanitarie, educative e sociali, per le persone normali e per i poveri. Ora lo dicono, tra qualche tempo riprenderanno a tagliare (e ad arricchirsi) come prima.
-il consumo e la produzione sono valori centrali, inarrivabili ed insuperabili; ma, nell'emergenza igienico-sanitaria, vanno in secondo piano, almeno temporaneamente: primum vivere, deinde consumari. In attesa di riprendere a produrre e consumare come forsennati, chi potrà ovviamente.
-non vogliamo immigrati e poveracci nel nostro territorio, urlano in campagna elettorale; ma ora che servirebbero 700.000 negri nei campi da sfruttare per raccogliere frutta e pomodori o da sfruttare nell'industria, chiedono di regolarizzarli tutti di corsa e li farebbero piegare volentieri al sole sotto i caporali.
Lo stato-capitalismo è una banderuola a-morale, opportunista o, come amerebbe dire lui, flessibile.
E' così che va avanti, sempre capace di riadattarsi a quel che accade, e riadattando continuamente tutto a sé.
Funziona proprio come un virus: parassita la nostra vita, ci succhia sino all'osso, e ci ammazza.

Ma qui -in questo dolore ed in queste sofferenze così tanto biasimate e così tanto ricercate- cogliamo soprattutto qualcosa di più profondo e di più antico rispetto al solo e stanco procedere di errori e decisioni tecno-politiche a-morali ed opportunistiche.
L'unica morale conosciuta dallo stato, dal capitalismo, dalle religioni è sempre e solo quella del sacrificio. E' proprio questa seconda ideologia dell'a-moralità, fondata sul sacrificio dell'homo sacer, ci insegue e ci perseguita da millenni, perlomeno dalla fondazione delle civiltà agricole e delle città.
Il sacrificio di chi soffre (ma solo simbolicamente attenzione!) al servizio della società (i nostri governanti, i leader, i funzionari, i sacerdoti...) e si offre per gestire i nostri problemi e mettersi di buzzo buono a risolverli, e a cui proseguiamo ad affidarci, volenti o nolenti.
Il sacrificio di chi presta la sua opera in prima linea, mandato al fronte da quelli di cui sopra, spesso senza tutele, come i fanti in Russia, per trasformarsi mitologicamente in eroi e martiri della patria nei riti che i capi si inventeranno 'quando tutto sarà passato', ad eterna memoria della loro e nostra immolazione.
Il sacrificio di chi subisce tutto questo, sia la malattia che i dispositivi della cura, e che deve obbedire coscienziosamente e disciplinatamente, per il suo bene e perchè altri facciano il suo bene ed il bene della Causa.
Quanto sarebbe bello vivere le città sgombre, un cielo terso, un tempo senza lavoro, se non lo facessimo per sacrificio, ma per scelta e per piacere!
Ma non possiamo. Possiamo solo obbedire passivamente, nell'acquiescenza più totale.
Anche il piacere deve essere intriso di sacrificio.
E, in futuro, ci sentiremo già contenti se potremo andare in ristorante o fare una passeggiata oltre i 200 metri da casa. Passo dopo passo, saremo contenti di poco, di sempre meno, di quasi nulla.
Sino a quando anche questo poco, questo quasi nulla, sparirà.

Perchè quel che sta accadendo, e soprattutto questo nostro obbedire ed adattarci senza scampo e senza alternative, ci sta preparando al prossimo sacrificio di cui questa emergenza rappresenta soltanto la metafora preventiva, peraltro già ampiamente esplicitata di questi tempi: la guerra.
La a-morale del sacrificio ha sempre trovato nella guerra la sua realizzazione necessaria e completa.
E sta per tornare, è inutile chiudere gli occhi e girare la faccia, non andrà tutto bene, per nulla.
La guerra prossima ventura non avverrà, ad es. tra Cina e Stati Uniti, solo per motivi di competizione o rilancio economico, che pure esistono e ci saranno, come sempre, sotto gli alibi 'difensivi' di copertura che sempre sono serviti per dichiararla e per farla (d'altra parte, anche questa 'guerra al virus' ha trovato i suoi agganci autodifensivi e giustificatori in un batter d'occhio).
La guerra è e sarà a breve il passaggio ulteriore inevitabile: ci faranno stare chiusi in casa, ad attendere che, secondo tradizione, ci bombardino dal cielo, come nei rifugi di un tempo.
Magari con le bombe N, quelle che ammazzavano le persone e lasciavano intatte le case e le banche.
E/o, più creativamente e con maggiore innovatività, spargendo tra noi l'effetto di armi batteriologiche, terrorizzandoci con i virus che da tempo sperimentiamo nei nostri laboratori; immagino che anche l'Isis possa trarre ispirazioni di questo tipo dagli eventi in corso.


Una bambina di sette anni ieri ha chiesto a sua madre: 'Mamma, ma noi siamo nel mondo ?'.




lunedì 13 aprile 2020

ecchecazzo!

Sul funerale di Salvatore Ricciardi. Salutare un amico e un compagno, tornare a occupare lo spazio pubblico

L’ultimo saluto a Salvo, al canto di Su, comunisti della capitale! «Questa città ribelle e mai domata / dalle rovine e dai bombardamenti…»
di Wu Ming
Tra le misure prese durante quest’emergenza, il divieto di assistere ai funerali è una delle più disumanizzanti.
In nome di quale idea di «vita» si sono prese queste misure? Nella retorica dominante in queste settimane, la vita è ridotta quasi interamente alla sopravvivenza del corpo, a scapito di ogni altra sua dimensione. In questo c’è un fortissimo connotato tanatofobico (dal greco Thanatos, morte), di paura morbosa del morire.
La tanatofobia permea la nostra società da decenni. Già nel 1975 lo storico Philippe Ariès, nel suo caposaldo Storia della morte in occidente, constavava che la morte, nelle società capitalistiche, era stata «addomesticata», burocratizzata, in parte deritualizzata e separata il più possibile dal novero dei vivi, per «evitare […] alla società il turbamento e l’emozione troppo forte» del morire, e mantenere l’idea che la vita «è sempre felice o deve averne sempre l’aria».
Nell’arrivare a ciò, proseguiva, era stato strategico «lo spostamento del luogo in cui si muore. Non si muore più in casa, in mezzo ai familiari, si muore all’ospedale, da soli […] perché è divenuto sconveniente morire a casa». La società, sosteneva, deve «accorgersi il meno possibile che la morte è passata». Ecco perché molti rituali legati al morire erano ormai ritenuti imbarazzanti e in fase di dismissione.
Già prima dello stato d’emergenza che stiamo vivendo, la ritualità legata al morire era stata ridotta al minimo. Per questo ci hanno sempre colpito così tanto le manifestazioni di un suo riemergere. Si pensi al successo mondiale di un film come Le invasioni barbariche di Denys Arcand.
Quarantacinque anni fa Ariès scriveva: «nessuno ha più la forza o la pazienza di attendere per settimane un momento [la morte, NdR] che ha perduto parte del suo significato». E di cosa racconta il film canadese del 2003 se non di un gruppo di persone che attende per settimane – in un contesto di convivialità e riemergente, laica ritualità – la morte di un amico?
Otto anni fa ci impegnammo, insieme a molte altre persone, a costruire un ambito di convivialità e laica ritualità intorno a un caro amico e compagno, Stefano Tassinarinelle settimane che precedettero e nella cerimonia che seguì la sua morte. Molto del nostro interrogarci su questo tema risale ad allora.
Se la ritualità legata al morire era già ridotta al minimo, col divieto di assistere al funerale di un proprio caro è stata annichilita.
Già il 25 marzo scorso linkammo la bella lettera di un parroco del reggiano, don Paolo Tondelli, sgomento per le scene a cui gli toccava assistere:
«Così mi trovo davanti al cimitero, con tre figli di una madre vedova morta da sola all’ospedale perché la situazione attuale non permette l’assistenza dei malati. Loro non possono entrare al cimitero, i provvedimenti presi non lo permettono. Così piangono: non hanno potuto salutare la madre quando ha smesso di vivere, non possono salutarla neanche ora mentre viene sepolta. Ci fermiamo al cancello del cimitero, per strada, dentro di me sono amareggiato e arrabbiato, mi viene un pensiero forte: neanche un cane viene portato così alla sepoltura. Credo si sia un attimo esagerato nell’applicare le norme in questo modo, stiamo assistendo a una disumanizzazione di momenti imprescindibili della vita di ogni persona, come cristiano, come cittadino non posso tacere […]
Mi dico: stiamo cercando di difendere la vita, ma stiamo rischiando di non salvaguardare il mistero che ad essa è legato.»
«Mistero» che non è prerogativa della fede cristiana o di una sensibilità religiosa, che non coincide per forza con il credere nell’anima immortale o che altro, e sul quale ci interroghiamo tutte e tutti: cosa significa vivere? E, aggiungiamo, cosa distingue il vivere dal semplice tirare avanti o dal semplice non-morire?
Detto questo, chi è credente e osservante ha vissuto la sospensione delle cerimonie legate al culto – messe funebri comprese – come un attacco alla propria forma di vita. Non a caso, tra gli esempi di organizzazione clandestina di cui abbiamo reso conto nelle discussioni di questi giorni, c’è la prosecuzione catacombale della vita pubblica cristiana.
Abbiamo testimonianze dirette sul fatto che in molte parrocchie i fedeli hanno continuato a seguire la messa, nonostante i cartelli sui portoni dicessero che erano sospese. Il “nocciolo duro” dei parrocchiani si ritrova lo stesso, nel refettorio del convento, o nella canonica, o in sagrestia e in alcuni casi proprio in chiesa. Venti, trenta persone, richiamate per passaparola. In particolare giovedì scorso, per la Missa in coena Domini.
Lo stesso si può dire per i funerali. Anche in questo caso abbiamo testimonianze dirette di preti che hanno officiato comunque piccoli riti, coi familiari stretti, senza pubblicità.
Nei giorni scorsi, abbiamo raccolto tre tipologie di disobbedienza agli addentellati più stupidi e disumani del lockdown.

Disobbedienze individuali

Clicca per vedere il video.
Il gesto individuale è spesso invisibile ma a volte è vistoso, come nel caso del podista sulla spiaggia deserta di Pescara, braccato dalle guardie per nessun motivo che abbia il minimo fondamento epidemiologico. Un video divenuto virale, con l’effetto di mostrare l’assurdità di certe norme e della loro ottusa applicazione.
Continuare a correre è stato, oggettivamente e nel suo esito, una performance molto efficace, un’azione di resistenza e “teatro conflittuale”. L’aver continuato a correre distingue qualitativamente quell’episodio dai molti altri che abbiamo riportato su Giap, che sono “solo” testimonianze di repressione. Come ha scritto Luigi Chiarella «Yamunin», il video fa tornare alla mente
«un passaggio di Massa e Potere di Elias Canetti sull’afferrare, che è sì un gesto della mano ma anche e soprattutto è “l’atto decisivo del potere là dove esso si manifesta nel modo più evidente, dai tempi più remoti, fra gli animali e fra gli uomini”. Più avanti dice ancora – e qui arriva la parte pertinente all’episodio del runner – che “vi è tuttavia un secondo atto di potere, certo non meno essenziale anche se non così fulgido. A volte si dimentica, sotto la grandiosa impressione suscitata dall’afferrare, l’esistenza di un’azione parallela e pressoché altrettanto importante: il non lasciarsi afferrare.” Il video […] mi ha ricordato quanto potente e liberatorio sia non lasciarsi afferrare. Poi non dimentico che se si fugge lo si fa per tornare con nuove armi, però intanto c’è da non lasciarsi afferrare.»

Disobbedienze di gruppo clandestine

Sono quelle praticate, appunto, dai parrocchiani che si organizzano per andare a messa di nascosto, dai familiari di un caro estinto che si mettono d’accordo col parroco per officiare comunque un rito funebre… ma anche dai collettivi che continuano in un modo o nell’altro a fare riunioni, dalle band che continuano a fare le prove, e dai genitori che si organizzano insieme a un’insegnante per recuperare i libri di scuola dei figli. È un episodio accaduto in una città emiliana, che abbiamo raccontato qualche giorno fa.
Per recuperare i libri di una prima elementare rimasti a scuola per tutto l’ultimo mese, una maestra ha raggiunto l’istituto, portato fuori i libri nascosti in un carrellino della spesa, e li ha affidati a due genitori che vivono rispettivamente nei pressi di un fornaio e di un minimarket, così che gli altri genitori potessero recarsi a prenderli con la “copertura” dell’acquisto di generi alimentari, scongiurando eventuali multe. I libri sono stati consegnati ai singoli genitori calandoli con una corda da un balconcino e ficcati nelle buste della spesa o tra i filoni di pane, come fossero bombe a mano per la Resistenza. Così quei bambini potranno almeno seguire il programma sul libro con la maestra in telelezione e i genitori potranno avere un supporto all’inevitabile homeschooling.
Dopo una fase di shock in cui prevalevano obbedienza incondizionata e colpevolizzazione reciproca, settori di società civile – e addirittura “interzone” tra istituzioni e società civile – si stanno riorganizzando «in clandestinità». In questo riorganizzarsi è implicito che certe restrizioni siano ritenute incongrue, irrazionali, indiscriminatamente punitive.
Inoltre: all’inizio dell’emergenza le chat di genitori erano, in generale, tra i peggiori focolai di panico, cultura del sospetto, messaggi vocali tossici, inviti alla delazione. Il fatto che adesso alcune di esse siano usate per aggirare divieti deliranti – perché mai una maestra non dovrebbe poter recuperare i libri di testo rimasti in classe? perché per prelevare quei libri un papà o una mamma devono ricorrere a sotterfugi, taroccare l’autocertificazione ecc.? – è l’ennesima riprova che il “mood” è cambiato.
Clicca per ingrandire.

Disobbedienze di gruppo provocatorie

Rientra in questa casistica, per il momento rarefatta, la performance del terzetto riminese – un uomo e due donne – che faceva sesso in luoghi pubblici e metteva on line i video, conditi da insulti alle forze dell’ordine.
Queste ultime se la sono legata al dito, tanto da additare il caso come esemplarmente esecrando sui propri canali social ufficiali.
Cosa mancava, in questa catalogazione? Mancava…

…la disobbedienza di gruppo rivendicata

Una disobbedienza collettiva visibile, non più soltanto clandestina.
Per un momento abbiamo temuto che i primi a metterla in campo fossero i fascisti. Proprio sullo sgomento dei credenti di fronte alla prospettiva di una Pasqua “a porte chiuse” e senza Via Crucis cerca di fare leva Forza Nuova, che a Roma ha diffuso volantini convocando per domani, domenica 12, una processione con meta San Pietro. Il tutto accompagnato da motti come «In hoc signo vinces» e «Roma non conoscerà una Pasqua senza Cristo».
Ma non sono stati i fascisti a fare quella mossa. Sono state le compagne e i compagni di Radio Onda Rossa e del movimento romano in genere che stamattina, a S. Lorenzo, hanno salutato Salvatore Ricciardi con quella che, di fatto, è la prima manifestazione politica in strada dall’inizio dell’emergenza.
San Lorenzo, Roma, 11 aprile 2020. Un enorme schieramento di forze dell’ordine blocca le vie per identificare i partecipanti al funerale di Salvatore Ricciardi. Clicca per ingrandire.
Salvatore Ricciardi, 80 anni, era un pilastro della sinistra antagonista romana. Ex-detenuto politico, per moltissimi anni si è occupato di carcere, lotte nelle carceri e condizioni dei carcerati. Lo ha fatto in alcuni libri e in innumerevoli trasmissioni su Radio Onda Rossa, che ieri gli ha dedicato un commovente speciale in diretta di quattro ore, e ha continuato a farlo fino a pochi giorni fa, sul suo blog Contromaelstrom, scrivendo di prigionia e coronavirus.
Salvatore Ricciardi
Salvatore Ricciardi
Sugli eventi di stamattina si leggono già titoli di condanna sulla stampa mainstream. Una cronaca precisa, accompagnata da importanti valutazioni, si può ascoltare in questa telefonata di una redattrice di Radio Onda Rossa:
Vm
P
d

Testimonianza rilasciata poche ore fa a Radio Onda d’Urto di Brescia.
Tra le altre cose, la compagna fa notare: «qui ci stanno file chilometriche davanti ai macellai, da giorni e giorni, e manco i morti si possono salutare? […] Siamo all’aria aperta, a Roma non c’è l’obbligo della mascherina e molti avevano la mascherina, erano poche persone»… eppure la polizia ha minacciato l’uso del cannone ad acqua per disperdere un rito funebre. La parte del rione in cui si è svolta la sediziosa adunata è stata chiusa e i presenti sono stati identificati.
Di scene surreali, durante quest’emergenza, ne abbiamo viste molte – oggi, per fare solo un esempio, un elicottero si è alzato in volo, sprecando palate di soldi pubblici, per cacciare da una spiaggia siciliana un singolo cittadino che passeggiava – ma l’apice di stamattina non si era ancora toccato.
Da parte nostra, chapeau e solidarietà a coloro che hanno corso e stanno correndo grossi rischi pur di rivendicare il proprio diritto di vivere insieme – nello spazio pubblico che hanno sempre attraversato coi loro corpi e riempito con le loro vite – il dolore e il lutto per la perdita di Salvo, ma anche la felicità di averlo avuto come amico e compagno.
«Perché i corpi torneranno a occupare le strade.
Perché senza i corpi non c’è Liberazione.»
Così scrivevamo ieri, pubblicando il Canto del campo di el-‘Aqila. Ribadiamo la nostra convinzione: succederà. E lo teme anche il governo: sarà un caso che proprio oggi la ministra Lamorgese metta in guardia contro «focolai di espressione estremistica»?
Nella sua telefonata, la redattrice di ROR dice che l’attuale situazione, in buona sostanza, potrebbe durare un anno e mezzo. Chi sta al potere vorrebbe fosse un anno e mezzo senza la possibilità di protestare. Sono pronti a usare strumentalmente le norme sanitarie per impedire proteste e lotte collettive. Gestire la recessione con i diritti civili sub iudice è l’ideale per chi governa.

Disobbedire a norme assurde è giusto

Facciamo notare ancora una volta che, mentre si tiene una popolazione agli arresti domiciliari, si impediscono funerali, si vieta de iure o de facto di prendere una boccata d’aria – quasi un unicum in tutto l’occidente, su questo ci segue solo la Spagna – e si colpevolizzano singole condotte come correre, uscire «senza motivo», fare «troppe volte» la spesa… Mentre si tiene in piedi questo spettacolino, l’Italia è il paese europeo con più alto tasso di mortalità da Covid-19. Con buona pace di chi ha straparlato di un «modello Italia» che gli altri paesi vorrebbero imitare.
Chi è responsabile di un tale sfascio? Rispondere non è così difficile: chi non ha stabilito per tempo un cordone sanitario intorno ad Alzano e Nembro perché il padronato non voleva; chi ha infettato gli ospedali con una serie impressionante di errori; chi ha trasformato RSA e case di riposo in luoghi di morte di massa per coronavirus. E anche chi, mentre accadeva tutto questo, ha dirottato l’attenzione su autentiche scemenze e comportamenti innocui, additando capri espiatori. Queste sì, sono state condotte colpevoli, criminali.
Ovunque nel mondo l’emergenza coronavirus è un’occasione d’oro per restringere gli spazi di libertà, regolare conti con movimenti sociali sgraditi, trarre profitti dai comportamenti a cui la popolazione è costretta, operare ristrutturazioni a danno dei più deboli ecc.
In Italia, come sovente accade, a tutto questo si aggiunge un surplus di vaneggiamenti.
L’eccezionalità del nostro “modello” di gestione dell’emergenza sta nel completo ribaltamento della stessa logica scientifica. Perché un conto è imporre – con le buone (Svezia) o con le cattive (un altro paese a caso) – il distanziamento fisico, necessario a ridurre le possibilità di contagio; un altro è blindare la popolazione nelle proprie abitazioni e impedirle di uscire se non per motivi comprovabili al cospetto delle autorità di polizia. Il salto da una cosa all’altra si è imposto insieme all’idea – infondata – che “al chiuso” si sia al sicuro dal virus, mentre “all’aperto” si sia minacciati.
Tutto quel che sappiamo di questo virus ci dice esattamente l’opposto, ovvero che le probabilità di contrarlo all’aperto sono inferiori, e se si mantiene il distanziamento addirittura quasi nulle, rispetto agli ambienti chiusi. In base a quest’ovvietà, la stragrande maggioranza dei paesi coinvolti dalla pandemia non solo non ha ritenuto necessario impedire alle persone di uscire all’aria aperta – tuttalpiù ha limitato il raggio di tale possibilità, come in Francia –, ma in certi casi lo consiglia proprio.
In Italia il suddetto raggio è, nella migliore delle ipotesi, di duecento metri dalla propria abitazione, ma ci sono comuni e regioni che lo hanno ridotto a zero metri. Per chi vive in città, un raggio del genere equivale facilmente a mezzo isolato di strade d’asfalto, per altro molto più affollabili di uno spazio aperto fuori città, se fosse dato raggiungerlo. Per chi vive in campagna, invece, o in aree scarsamente popolate, un raggio di duecento metri è altrettanto assurdo, dato che la probabilità di incontrare qualcuno e doverlo avvicinare è infinitamente più bassa che in un centro urbano.
Non solo: abbiamo visto che pochissimi paesi hanno introdotto l’obbligo di giustificare tramite autocertificazione, esibizione di scontrini della spesa, calcolo della distanza da casa tramite Google Maps, la propria presenza all’aperto. Anche questo è un passaggio importante: significa mettere la cittadinanza alla mercé delle forze dell’ordine.
Abbiamo registrato casi di persone ipertese, con tanto di prescrizione medica che raccomandava il moto quotidiano per motivi di salute, multate per €500; oppure di persone multate perché passeggiavano con la compagna incinta, alla quale il medico aveva raccomandato di camminare. L’elenco di abusi e idiozie sarebbe lungo, qui su Giap ne abbiamo collezionati davvero tanti.
L’incertezza giuridica, l’arbitrio delle forze dell’ordine, la limitazione illogica di comportamenti nient’affatto pericolosi, sono tutti elementi essenziali dello stato di polizia.
Dover rispettare una norma illogica, irrazionale, è l’esercizio d’obbedienza e sottomissione per antonomasia.
Non sarà mai «troppo presto» per ribellarsi a quest’obbligo.
Bisogna farlo, perché dopo non sia troppo tardi.