mercoledì 30 settembre 2015

zizek è oltre...

http://www.doppiozero.com/sites/default/files/allegati/Vivere%20alla%20fine%20dei%20tempi%20-%20Introduzione_0.pdf

leggetevi questo brano di zizek....e poi ne parliamo!

martedì 29 settembre 2015

distorto internazionale

Quel simpatico bambolotto di pezza prodotto dall'industria coreana che fa di nome Ban-Ki-Moon ha dichiarato ieri che 'l'ONU vive una paralisi diplomatica da almeno 4 anni'.
Secondo me gli anni sono di più, e -grazie al cielo- ce n'eravamo già accorti tutti, fuorchè lui.
Dopo i grandi successi in Iraq ,Afghanistan e Libia, gli USA si apprestano ad intervenire in Siria.
Ed anche lì vogliono eliminare Assad, come hanno già fatto con Saddam e Gheddafi.
In Libia, invece, non si interviene perchè si attendono gli accordi con i due governi in carica e un'autorizzazione ONU che non arriva.
Ma la Francia, intanto, anche senza alcuna autorizzazione, sta già bombardando l'Isis in territorio siriano (il cui governo non ha dato alcun assenso, anzi).
Putin, che in pratica governa il governo siriano, ricorda ai francesi che questo è illegittimo.
E agli americani che 'il vuoto di potere genera il terrorismo': cioè che le dittature sono sempre meglio del caos.
Ora il dittatore Assad va bene, almeno a russi, iracheni, iraniani e siriani assadisti (che si sono alleati in funzione anti-Isis, in barba a tutto quel che gli USA pensavano di aver fatto per loro).
Intanto, i curdi, che sono stati i primi ( e spesso gli unici) a guerreggiare davvero contro il califfato, vengono repressi dai turchi, nel silenzio generale.
Traduzione: ognuno fa i cazzi che vuole.
E' finita l'estate, ma il diritto internazionale resta in vacanza.

Anche a casa nostra ci difendiamo bene.
Renzi sta sfracellando Parlamento e Costituzione, mentre le opposizioni si dilettano a presentare decine di milioni di emendamenti, che nessuno voterà mai.
Fa la legge sulla scuola contro milioni di insegnanti e studenti, la legge sulla giustizia contro giudici e magistrati, la legge elettorale contro gli elettori, la legge bavaglio contro i giornalisti.
Ma sa che per metà più uno del paese che si oppone, ci sarà sempre metà più uno del paese che tace o acconsente. E' una guerra civile sommersa quella che già attraversa la nostra società.
Si va a colpi di maggioranze risicate, e così si vince.
Ma dove va a finire un paese ?

E guardiamo anche l'Europa.
L'Unione Europea è già a pezzi: ogni paese, anche qui, fa quel che gli pare, più o meno, sulla gran parte delle questioni più rilevanti.
In Catalogna metà della popolazione vuole staccarsi dalla Spagna, metà no.
In Scozia, uguale.
La Gran Bretagna farà un referendum per andarsene dall'UE nel 2017.
Il Belgio è separato in casa da anni.
In Italia, la sua parte più ricca non sa più che farsene del sud, una vera palla al piede (a meno che a investire al nord non siano mafia e camorra).

Dovunque ci si giri, solo casino e distorsioni, menzogne e ipocrisie.
E, in tutto questo, il Papa: l'unico che parla chiaro, papale papale.
Bravo, simpatico, convincente.
Ma da quale pulpito viene la predica ?









lunedì 28 settembre 2015

panattoni

Ricevo dal mio amico Leo...

Una stanchezza che cura

Nel suo libro La società della stanchezza (Nottetempo, 2012, pp. 81, Traduzione di Federica Buongiorno), il filosofo Byung-Chul Han sostiene che la società del XXI secolo non può più essere intesa come una società di tipo disciplinare, ma una società della prestazione. I soggetti infatti che la compongono non sono più sottoposti, attraverso determinati dispositivi, a forme di obbedienza, come magistralmente ci ha insegnato Michel Foucault, si caratterizzano piuttosto come imprenditori di se stessi.

Le patologie cui tale soggetto incorre non sono più di tipo batterico o virale, a istanza immunologica, quanto di tipo neuronale. La depressione, la sindrome da deficit di attenzione o iperattività, il disturbo borderline di personalità o la sindrome di burnout, derivano da un eccesso di positività. È il terrore di non essere all’altezza delle proprie aspettative, qui ed ora, immediatamente, nella situazione di performance che ogni singolo individuo sente di dover offrire, ma che in effetti pretende prima di tutto da se stesso.

Questo non significa che il cambiamento di paradigma dalla società disciplinare alla società della prestazione sia in perfetta discontinuità, anzi, persiste una profonda continuità. Il soggetto di prestazione rimane a suo modo disciplinato, obbediente, ma la sua capacità produttiva introduce una risorsa in più: il proprio desiderio. Si tratta di una risorsa perché desiderio e prestazione non trovano mai il loro perfetto congiungimento, anzi rimangono semmai l’uno l’alimento della mancanza dell’altro; in modo tale che il sentimento di fondo che permane nel soggetto è la necessità di rispondere positivamente al timore di non riuscire a reggere la pressione. Il permanente stato depressivo latente con cui il soggetto di prestazione si misura non deriva allora da un eccesso di responsabilità e di iniziativa, ma dalla sensazione di non riuscire a corrispondere all’obbligo assunto con se stessi. Nonostante il fondo di insoddisfazione latente da fronteggiare, tale soggetto rimane un individuo che fondamentalmente non fa altro che lavorare, in qualsiasi momento, anche quando è alla ricerca del proprio godimento. È l’animal laborans che sfrutta se stesso in modo del tutto volontario, senza alcuna evidente costrizione esterna, divenendo così al tempo stesso vittima e carnefice della propria autoreferenzialità.

Il lamento interiore di questo soggetto non corrisponde a un “niente è più possibile”, ma alla paura della propria inadeguatezza a fronte del fatto che “niente è impossibile”. Il non riuscire a essere a questa altezza conduce il soggetto a una guerra intestina con se stesso. Libertà e costrizione coincidono, o meglio, si arriva alla paradossale costruzione di una libertà costrittiva, dove risiede il desiderio incolmabile di massimizzare la propria prestazione.  Lo sfruttatore è al tempo stesso lo sfruttato. Le malattie psichiche della società della prestazione sono appunto le manifestazioni patologiche di questa libertà paradossale.

Dunque, che fare? Non si può certo contrapporre a questa iperattività un altro contromovimento, che non farebbe altro che aggiungere altra attività, si tratta piuttosto di fare un buon uso della stanchezza che tutto questo comporta. È sentire la stanchezza come una forma di cura, mantenendo attiva la consapevolezza che al fondo di un’attenzione contemplativa è insita una forma profonda di staticità. Se il sonno infatti è il culmine del riposo fisico, il sentimento di un’immobilità profonda è il culmine del riposo spirituale, tanto è vero che, come ci ricorda Walter Benjamin, è solo l’uccello incantato che può covare l’uovo dell’esperienza. La capacità di posare uno sguardo incantato su ciò che ci circonda, è una capacità di attenzione profonda, contemplativa, a cui l’ego iperattivo non ha più alcuna via d’accesso.

Il soggetto preso da questo sentimento di immobilità profonda può allora passare da un’andatura lineare, retta, incentrata sul passo di corsa, a una danza statica che si sottrae completamente al principio di prestazione. L’atmosfera fondamentale che lo circonda diviene lo stupore per l’essere-così delle cose. Un’attenzione contemplativa posa infatti il proprio sguardo incantato sull’incerto, sull’impalpabile, su ciò che rimane fugace, ma che al tempo stesso è esattamente lì, davanti ai propri occhi. Le forme e gli stati della durata non possono che sottrarsi all’iperattività della comprensione. Nello stato contemplativo ci si ritrae fuori di sé e ci si immerge nelle cose, imparando a guardarle. Questo per Nietzsche significa assuefare l’occhio alla calma, alla pazienza, a lasciar venire le cose a sé. Significa rendere l’occhio abile a un’attenzione profonda e contemplativa, uno sguardo lento e prolungato nel tempo che perde il senso del proprio tempo.

Si tratta di un momento in cui il soggetto introduce, rispetto alla positività del fare, quella particolare forma di negatività espressa dallo scrivano Bartebly di Melville: “preferirei di no”. È grazie a questa interruzione che il soggetto può misurarsi con tutta l’estensione che lo spazio della contingenza comporta e sottrarsi alla dinamica di una pura attività. L’indugiare, l’esitare, il non rispondere immediatamente alle sollecitazioni, è certamente un’attività fattiva e tuttavia non permette che l’agire degeneri necessariamente nel lavoro. Uno dei problemi che il nostro vivere comune comporta è che viviamo in un mondo troppo povero di interruzioni, di spazi intermedi, di intervalli. D’altronde la prima cosa che la frenesia performativa elimina è proprio ogni forma di intervallo.

Esistono allora due forme di potenza: una potenza positiva, quella che ci permette di fare qualcosa e una potenza negativa, quella che ci permette, di fronte a un’immediata realizzazione, di dire di no, grazie. Questa potenza negativa si distingue tuttavia dalla mera impotenza, dall’incapacità di fare qualcosa, è una stanchezza profonda che si aggiunge insieme a una sottrazione di Io. È ciò che fa dischiudere un tra, uno spazio della cortesia in cui niente e nessuno domina o è anche solo predominante. Mentre la stanchezza dell’Io è solitaria, è priva di mondo, questa stanchezza profonda è invece fiduciosa di mondo, rende infatti possibile soffermarsi, indugiare, non tanto su ciò che dobbiamo fare, ma su ciò che ci circonda. Questa stanchezza fondamentale è allora tutt’altro che uno stato di esaurimento, nel quale ci si sente incapaci di fare alcunché, essa diviene piuttosto quella particolare facoltà che è l’ispirazione, un elevarsi dell’anima.

Una stanchezza che ci permette di abbandonarci e che risveglia in noi una particolare capacità di guardare. È ciò che indica Peter Handke quando parla di una “stanchezza dagli occhi limpidi”. Si tratta di accedere a un’attenzione completamente diversa, a forme prolungate e lente che si sottraggono alla tipica iperattenzione breve e veloce della nostra società. Questa stanchezza profonda allenta l’identità dell’Io e lascia che le cose sfavillino, risplendano e tremino oltre i loro margini; lascia che si facciano indefinite, permeabili e perdano qualcosa della loro nettezza, per ritrovare così tutta la loro realtà.

Per questo la stanchezza profonda è disarmante e nel lento sguardo di chi è stanco sorge incantata la risolutezza della quiete.


normalità, questo è quello che io voglio da te...


Inside out, un film che tenevo a vedere.
E' raro che si dia voce alle emozioni e che le si mostrino apertamente.
C'erano tante belle idee nel film: la discarica dei ricordi, il tunnel dell'astrazione, il fidanzato ideale che darebbe la vita per te, la megalopoli colorata e il treno che l'attraversa...
Ma, alla fine, resta la sensazione di trovarci ancora una volta nel solito sogno americano della normalità: le isole della stupidera, dell'onestà, dell'hockey, della famiglia che si sgretolano e si ricreano per magia, unici valori di una società che non cambia.
Ed una Gioia sempre allegra e vitale, quasi indisponente nel suo continuo blaterare e ridefinire in positivo qualunque cosa.
Nessuna sfumatura, solo luce assoluta o buio totale, Bene o Male, disastro (della diversità anormale) o felicità (della norma, della vita di tutti...).

Ritorno alla vita di Wim Wenders.
Film decente, il protagonista è bravissimo, e una storia che potrebbe prendere.
Ma, alla fine, ti chiedi: dov'è finito Wenders ?
Un film normale, che potrebbe fare qualunque regista normale.
Wenders non era questo. Cosa ne è stato di lui ?
Cosa ne è stato dei suoi angeli, dei suoi esploratori del nulla, dei suoi suoni e delle sue visioni ?
Sopravvivere a se stessi, diventare normali: la peggiore delle condanne.

Ieri è morto Pietro Ingrao, il grande patriarca comunista.
Trent'anni fa (lui ne avevo settanta, io ventitrè) ci siamo incontrati nel movimento pacifista.
Non me lo sono mai dimenticato: un poeta, un bambino curioso, un politico non normale.
Un politico che ascoltava, che parlava di emozioni, che sapeva commuoversi e piangere dentro i suoi occhi sempre liquidi, appuntiti e acquosi.
Che sapeva riconoscere i suoi errori, che sapeva lasciare, e dire no.
Una persona non normale.
E davvero, integralmente, umana.

Ho spedito Fare il morto all'editrice.
Non è un libro normale, forse neanche per loro.
Qualcuno che l'ha letto l'ha definito 'dadaista'. Forse anche 'situazionista'.
Quando me lo son visto lì, in pdf, ormai intoccabile, finito, mi è sembrato morto.
E' entrato nella bara di Quiqueg, speriamo che si riprenda e sopravviva, almeno fuori di me.
L'altro pomeriggio, tra uno spo(r)t e l'altro, ho visto la fine del vecchio 'Moby Dick' di John Huston.
Ismaele, alla fine si salva -unico superstite- su un piccolo relitto di legno.
E' proprio la bara che era stata costruita e intagliata per Quiqueg, a galleggiare ancora...
Anche lui, alla fine, è morto tra i flutti, pregando i suoi idoli.
Non era uno normale.
Ma neppure Ismaele, colui che racconta, lo era.
Anzi, lo è.



















giovedì 24 settembre 2015

fichi secchi

Non parlo spesso dell'Università, del mio cosiddetto ambiente di lavoro.
Se devo trattare di tristi argomenti preferisco riferirmi a cose più serie, a me o al grande mondo.
Per il resto, fare il morto.

Ma la discussione di ieri mattina, al Consiglio di Dipartimento, merita un commento.
Abbiamo dibattuto, infatti, per due ore, dei criteri per la distribuzione dei fondi per la ricerca, che quest'anno si chiamano PRID (non chiedetemi cosa voglia dire).
Una roba delle dimensioni di una bazzeccola, alla fine: mille o duemila euro a testa all'anno.
In una situazione generale che vede il nostro Ateneo perdere milioni di euro (6 nel 2014, 10 quest'anno) di finanziamento ordinario, tanto da dover ricorrere sempre più alle risorse della Fondazione Banco di Sardegna, baraccone politico-finanziario che ci eroga da quest'anno -ad esempio- anche i fondi PRID.
In una appassionata discussione per cercare di valutare la diversa qualità delle pubblicazioni e dei progetti, al fine di valutarne i meriti e differenziare così i relativi emolumenti da destinare ai singoli ricercatori, sono emersi ragionamenti puramente quantitativi: quanti sono stati i prodotti del ricercatore negli ultimi 4 anni, in quante pagine consisteva ogni pubblicazione, se la casa editrice fosse piccola o grossa, e su scala locale, nazionale o internazionale; quanti soldi avesse portato al dipartimento il progetto x o y.
Più si discuteva inutilmente (peraltro una querelle che va avanti da anni) e più ci si rendeva conto di due cose: che stabilire dei criteri validi -non opinabili e non discrezionali- era impossibile; e che ci si basava soltanto sulla quantità per valutare una presunta qualità e per definire la quantità dei fondi da destinare alla presunta qualità (cioè, in effetti, quantità).
Insomma, un vero delirio, che testimonia del grado di smarrimento in cui versa l'Università italiana, e non solo.
Non ci si può lamentare se poi gli studenti si lamentano per un libro da studiare in più, o se non c'è un rapporto equilibrato tra crediti e numero delle pagine di un esame.

Mi sono alzato solo per ricordare ancora una volta che Socrate, Buddha e Cristo non hanno mai scritto né pubblicato alcunchè.
E che Einstein ha scritto la prima stesura della teoria della relatività ristretta (appunto!) in poche paginette.
E che alcune opere fondamentali della storia dell'umanità sono state inizialmente pubblicate a spese dell'autore, in case editrici sconosciute, o non sono state neppure edite mentre l'autore era in vita.
Nessuno di loro avrebbe ricevuto i fondi PRID, se fosse stato valutato dall'Anvur o dal Cineca.
Forse qualcuno di loro si sarebbe perso tra pin e codici ORCID e VQR, piattaforme Floss Ar, Iris e via andare...

Quanto vuoto dietro a tutto questo, quanta stupidità, quanto inutile blaterare.
Il carrozzone va avanti da sé, per inerzia e codardia, con la mediocrità e il disdoro tipica di quest'epoca triste.



dai raga...!

E insomma fanno sesso, e l'uomo riesce a essere delicato e premuroso, cosa che possiamo tranquillamente intuire non sarebbe riuscito a essere se nei confronti della donna del termos si fosse innamorato come di consueto e cioè disperatamente, a la donna del termos avrebbe voglia di piangere lacrime di gioia davanti a tanta delicatezza e tante premure, e in sostanza riusciamo a sentire l'accelerarsi dei palpiti del suo cuore, e la donna comincia a credere che in fondo sia possibile avere un rapporto con il mondo esterno...
Adesso la donna piange davvero, e l'uomo, a via di baci e coccole, le sfila delicatamente la sciarpa, la lascia cadere a terra, e nella semioscurità della stanza vede sul collo della donna una cosa decisamente bizzarra, e...scopriamo che in un'ansa alla base del collo, sul lato sinistro, la donna ospita una raganella verde chiaro..., la cui gola biancastra si gonfia e si sgonfia ritmicamente...
La raganella nell'ansa del collo è ciò che ha impedito alla donna del termos di mettersi in rapporto con il mondo a lei esterno; è ciò che l'ha costretta a vivere nella tristezza e nel turbamento, vedi anche ombra e oscurità, è ciò che l'ha legata e avvinta, vedi anche infagottamento a mezzo sciarpa, è ciò che le ha impedito di affrontare il mondo esterno, vedi anche perenne occultamento del profilo sinistro. La raganella è il meccanismo dell'alienazione e del distacco, simbolo e insieme causa dell'isolamento della donna del termos; tuttavia dopo un po' comincia a risultare evidente come la donna sia emotivamente attaccatissima alla raganella, e le dedichi più premure e se ne preoccupi più di quanto faccia con se stessa, lì nell'intimità di casa sua...Sicchè proprio la cosa che ha privato la donna di quel rapporto col mondo esterno che ella pur anelava, e che quindi l'ha resa estremamente infelice, è anche il centro della sua vita...

Dunque, tre tizi vanno in campeggio nei boschi, e uno dei tre accetta di occuparsi di far da mangiare per tutti, però dice che se uno degli altri due si lamenterà del suo modo di cucinare dovrà automaticamente prendere il suo posto ai fornelli....Sicchè il cuoco prepara da mangiare, e gli altri due dicono che buono e sono molto contenti. Passano i giorni e a un certo punto il cuoco si stufa di cucinare, e spera che qualcuno di lamenti e quindi sia costretto a prendere il suo posto, ma nessuno si lamenta. Sicchè il cuoco comincia a scuocere apposta le pietanze, o a bruciarle, o a servirle mezze crude. Ma gli altri due campeggiatori mangiano tutto e si sforzano di non lamentarsi...
Sicchè alla fine il cuoco non ce la fa proprio più...e allora va nel bosco e, trovata un'enorme cacca d'alce, la prende, la mette sulla griglia e, quand'è cotta, la porta a tavola, insieme a una cuccuma di caffè al sapone. Gli altri due cominciano a mangiare, e il cuoco li guarda speranzoso, e i due mangiano molto lentamente, e ogni tanto si guardano e fanno le smorfie.
A un certo punto uno dei due mette giù la forchetta dice al cuoco:' Ehi, Joe, mi spiace ma devo proprio dirti che questa roba sa di cacca di alce. Però è ottima.'

Comunque i racconti a matrice depressa dovresti essere in grado di riconoscerli sin dalle prime righe.
E da cosa dovrei riconoscerli ?
Bè, da un'infinità di indizi. Per esempio dal fatto che tendono a essere orribilmente cinici. Causticamente cinici. O quando non causticamente, allora stolidamente naif. E in tutti i casi massicciamente e straordinariamente pretenziosi. Nonché, ovviamente, schifosamente battuti a macchina. Velleitari, ecco il comun denominatore dei racconti da studente depresso. Si avverte un diffuso e persistente vellleitarismo.


(David Forster Wallace, La scopa del sistema, 1987)

mercoledì 23 settembre 2015

volksmaghen

Ho profondo rispetto per il genio tedesco.
D'altra parte, in quanto filosofo, non potrei fare diversamente.
Ma cosa volete che siano Leibniz, Kant o Heidegger dinanzi alla genialità di chi è riuscito ad inventarsi un software per abbattere le emissioni delle Volkswagen solo se sotto esame ?
Le macchine riprendevano poi imperterrite, dopo il clistere meccanico, a inquinare quaranta volte più del consentito. Ma venivano vendute come auto super-ecologiche!
Wunderbar!!

Così viviamo noi.
Ci fanno credere che l'aria sia respirabile, e non è così.
Ci fanno il clistere tutti i giorni, ma ci dicono che è per il nostro bene.
Ci fanno comprare merci dalle pubblicità mirabolanti, ma non è vero niente.
Ci mettono un software televisivo e ci propinano dei fatti senza verità.
Ci filtrano tutto e ci dicono che siamo ben informati.
Ci dicono che siamo liberi di vagare per Internet, ma i motori di ricerca li gestiscono non si sa bene dove.
Ci fanno votare e la chiamano democrazia: purtroppo -quando le elezioni finiscono e viene tolta la sonda di rilevamento- la democrazia è già finita e tutto torna a puzzare.
Sempre che le elezioni non siano truccate, ovviamente (e ci sono molti modi per farlo, si sa...).

Continuiamo, quindi, a mangiare e digerire le schifezze che ci propinano e che chiamano 'riforme', 'il bene del paese', 'la crescita', 'l'uscita dalla crisi', 'la svolta'....
O 'i terroristi', 'i barbari', 'l'uso della forza', 'la lotta agli scafisti'....
Tutto è solo uno spot, o un software ben pensato per fregarci.
Ma l'hardware è ben altro: ci inquina, ci rende impotenti, ci ammazza.


martedì 22 settembre 2015

goffredo parise: il rimedio è la povertà (1974 !!!)






«Questa volta non risponderò ad personam, parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: «I poveri hanno sempre ragione», scritta alcuni mesi fa, e quest'altra: «il rimedio è la povertà. Tornare indietro? Sì, tornare indietro», scritta nel mio ultimo articolo.
Per la prima volta hanno scritto che sono "un comunista", per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di "consumare".
Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c'è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall'altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d'accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.
Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di "classe". Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra "ideologia" nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell'acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.
Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è "comunismo", come credono i miei rozzi obiettori di destra.
Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l'automobile, le motociclette, le famose e cretinissime "barche".
Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.
Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l'olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l'uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.
Il nostro paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello(vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostra paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l'illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.
Il nostro paese è un'enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli "etichettati" che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo.
I giovani "comprano" ideologia al mercato degli stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l'hanno voluta disprezzare nell'euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro "qualità", la loro necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c'è di tutto, vedi l'estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l'élite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all'opposizione. L'obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita delgrand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo.
La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.
Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più "corretta", come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell'Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l'enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro paese».

lunedì 21 settembre 2015

senza una donna

Insomma, prendere la laurea, trovare un lavoro, sposare Erika, diventare con la benedizione di tutti una coppia ben assortita, fare un paio di bambini, mandarli alla scuola elementare di Dennenchofu che conosciamo come le nostre tasche, la domenica andare tutti insieme a divertirci sulle rive del fiume Tana, e obladì obladà...certo non si può dire che sarebbe uno schifo di esistenza. Eppure, non so, ho il dubbio che passare una vita così -una vita facile, piacevole, senza intoppi- non sia proprio il massimo.
Cioè, il problema sarebbe questo ? Passare una vita facile e senza intoppi ? E' questo che vuoi dire ?
Sì, più o meno.
Di nuovo non capivo: quali problemi avrebbe comportato una vita del genere ? Ma per evitare che il discorso andasse per le lunghe, evitai di approfondire.

Ma quando cerco di rievocare i miei vent'anni, l'unica cosa che mi torni in mente è la mia sconfinata solitudine. Non avevo un amore che mi scaldasse il corpo e il cuore, né un amico cui poter confidare senza remore i miei sentimenti. Non sapevo cosa fare delle mie giornate, non riuscivo a immaginare il mio futuro. Me ne stavo quasi sempre chiuso in me stesso, al punto da non parlare con nessuno anche per una settimana intera. Ho vissuto così per un anno. Un anno lunghissimo. Quel periodo è stato per me un duro inverno, ma non saprei giudicare se abbia formato dentro di me anelli preziosi. Era come se a quell'epoca anch'io ogni sera vedessi, al di là di un oblò, una luna di ghiaccio...
(Yesterday)

Separarsi dalle sue amanti era un evento periodico. La maggior parte delle donne fidanzate, a un certo punto gli dicevano: 'Sono desolata, ma non mi sarà più possibile vederci. Fra poco mi sposo.'... Di solito, Tokai accoglieva quegli annunci con un sorriso tranquillo in cui metteva una giusta dose di tristezza. Come a dire che era davvero desolato, ma si doveva rassegnare. L'istituzione del matrimonio non faceva per lui, però era sacra. Andava rispettata.
Quelle ragazze gli avevano dato dei momenti meravigliosi, gli avevano dedicato...un periodo prezioso della loro vita. Era un motivo sufficiente per essere a loro grato. Cos'altro poteva desiderare, lui ?
Tuttavia, circa un terzo delle sue amanti che convolavano a giuste e liete nozze, passati alcuni anni, un bel giorno gli telefonavano...E tornavano a stringere con lui un piacevole legame che non aveva nulla di sacro...
I restanti due terzi... non lo cercavano più. Probabilmente conducevano una vita matrimoniale serena e soddisfacente. Erano diventate ottime padrone di casa, e avevano messo al mondo dei bambini. I loro splendidi seni che un tempo lui aveva accarezzato, adesso forse allattavano dei neonati. Contente loro, contenti tutti.
(Organo indipendente)

Il sesso con Shahrazad non si poteva certo dire che fosse appassionato, ma nemmeno una cosa soltanto tecnica...L'atto sessuale e le storie che lei gli raccontava formavano una cosa sola: sesso e storie erano legati al punto che non riusciva più a separarli. Isolare l'uno o l'altro elemento gli era semplicemente impossibile. Essere coinvolto in modo così profondo, diciamo pure essere legato mani e piedi, a una donna di cui non era innamorato, per la quale non nutriva una particolare passione, era una condizione per lui del tutto nuova che lo confondeva un po'...
(Shahrazad)

I rami del salice continuavano a oscillare alla brezza della prima estate. In una piccola stanza in fondo all'anima di Kino, qualcuno tendeva una mano verso la sua e cercava di posarvela sopra. Sempre a occhi chiusi, lui la sentiva calda e morbida...Era qualcosa che aveva a lungo dimenticato.
Per tanto tempo ne era stato separato. Sì, sono stato ferito, e molto profondamente, disse Kino rivolto a se stesso. E così le lacrime arrivarono. In quella piccola stanza buia. Nel frattempo la pioggia continuava a bagnare il mondo senza fermarsi.
(Kino)

Non potendo sopportare oltre quel dolore, Samsa puntò i gomiti contro il materasso e a poco a poco si tirò su...Quanto tempo era rimasto sdraiato su quel letto ? Ogni parte del suo corpo, di fronte alla necessità di alzarsi, di cambiare posizione, alzava grida di protesta...
Samsa riuscì a mettersi seduto sul letto. Quant'era brutto! Guardando il suo corpo nudo, toccando le parti che non vedeva, non potè fare a meno di trovarsi orrendo. E, come se non bastasse, era sprovvisto di qualunque mezzo di difesa...
Sono davvero io questo qui ?, non potè fare a meno di chiedersi Samsa. Dovrei sopravvivere con questo corpo così irrazionale, assurdo, così vulnerabile ? Perchè non sono diventato un pesce ? Perchè non sono diventato un girasole ? Un pesce o un girasole avrebbero avuto un senso. Più senso di Gregor Samsa, perlomeno.
(Samsa innamorato)

dai racconti di Uomini senza donne, Haruki Murakami, 2015)












l'autunno dei medioevi


Primo giorno d'autunno, dicono gli astri.

Tsipras rivince le elezioni.
Nel senso che governerà con ANEL, destra nazionalista, per realizzare il programma imposto dalla troika, dopo aver barato ad un referendum, dilaniato Syriza ed aver portato all'astensione metà degli elettori greci.
Qualcuno, anche qui da noi, lo prenderà ad esempio e parlerà ancora di Possibile.
Contento lui, di sinistra tutti.

Bergoglio e Castro si incontrano a Cuba, dopo che il primo ha fatto l'ennesima messa oceanica circondato dalle immagini di Josè Martì e del Che.
Due vecchietti, uno in auge ed uno in crisi nera, che parlottano sulle scale della storia.
Sconfitti entrambi dal liberismo economico, vivono pateticamente l'autunno di una chiesa che -al di là degli inviti papali- resta fatta di curia e borghesissimi fedeli; e di un regime che, fallito nei suoi intenti, si sta per gettare anch'esso nelle accoglienti braccia dello zio Sam.
Sulle dittature comuniste e sull'oscurantismo cattolico si è già detto e scritto a sufficienza.
L'ultimo film di Bellocchio (Sangue su sangue, veramente fantastico, real-allucinatorio, in una Bobbio tinta alla Tiepolo o El Greco) ci racconta la barbarie del nostro mondo,la raffronta a quella del Santo uffizio, e quasi ci fa sorridere per l'ingenuità degli inquisitori di allora.

Francesi e Inglesi insistono perchè l'ONU si sputtani ancora una volta con una coalizione di guerra internazionale sotto la sua egida, questa volta contro l'Isis.
L'Europa e gli Usa non si rassegneranno facilmente al loro autunno.
Proseguiranno a bombardare e ad uccidere, tentando di salvare se stessi.
A produrre devastazione, fame, morte,. E profughi, a bizzeffe.
E' già accaduto in Afghanistan ed Iraq, in Libia e Siria.
Per non parlare, in tempi meno recenti, di Somalia, Eritrea e Jugoslavia.
Ma sappiamo di partire già sconfitti, come è stato con Al Qaeda.
Possiamo anche sterminarli tutti, far andare i loro eserciti in rotta, vincere le guerre in cielo e in terra. Ma abbiamo già perso, qualunque cosa accada, come in un ferale doppio vincolo.
E' ormai troppo tardi per smettere e cambiare strada, i nemici sono troppi ormai e troppo aggressivi, anch'essi conoscono soltanto il linguaggio delle armi.
Ma -andando avanti con muri e guerre, tornando ancora una volta sull'unica strada che pur ben conosciamo- siamo comunque perduti.
Non lasciamoci abbindolare dalla calma apparente, dalla normalità del vivere quotidiano.
Gli uomini e le donne hanno sempre provato a vivere così, sino all'ultimo istante, prima di trovarsi nel terrore assoluto, nella distruzione insensata, nella violenza eclatante e nell'orrore.
Come per la catastrofe, la guerra è già in corso, ma a rate, e questo facilita i nostri infantili automatismi di rimozione.

Ma quando ce le troveremo davanti, ruggenti, inguardabili e innegabili, sarà troppo tardi.

sabato 19 settembre 2015

tra cechi e orban


Il maestro improvvisa.
I poveracci di mezzo mondo si aggirano, a piedi, in treno, in pullman (e continuano a pagare il pizzo), da una frontiera chiusa ad una aperta, che sarà chiusa, che poi riaprirà altrove, e così via...
Cattiveria di cechi e orban, soltanto ?
E perchè lo fanno ? Solo per un po' di voti in più alle prossime elezioni ?
Sembra strano.
No, c'è qualcosa di più profondo.
L'umanesimo è perduto, restano gli ultimi afflati di gente in buona fede, mescolata alla finta retorica degli stati e delle Unioni europee di turno.
Il liberismo economico e la sua crisi sta spazzando via tutto, con i suoi ultimi colpi di coda, che vanno a sferzare definitivamente quel poco che già era rimasto di democrazia e diritti.
I fantomatici, ma ben concretamente presenti, Mercati hanno deciso da tempo: hanno utilizzato la libertà per farsi strada, ma ora la vivono come una palla al piede, come un limite da valicare, un'apertura insensata.
Da tempo assistevamo ad una globalizzazione della finanza e delle merci, ma non delle persone.
Ora le cose procedono ancora e, a medio termine, l'avranno vinta loro, i cechi e gli orban, ovunque.
Le destre e le ultradestre stanno riprendendosi il potere ovunque, in modo scoperto o coperto, nella variante leghista-lepenista (fra un po') o in quella attuale (da sempre) demo-pluto-cristiana (Renzi-Merkel,,,).
I temporanei invaghimenti popolari per leader di sinistra (Tsipras, Corbyn, Podemos...) non scalfiranno il processo in corso, come abbiamo già visto in Grecia.
Siamo già da tempo dentro regimi postdemocratici di fatto, ma -neppur troppo gradualmente- si andrà, anche in Europa, verso forme politiche antidemocratiche, dispotiche, militari.
Per non parlare del resto del mondo, già in gran parte in guerra guerreggiata.
Questo ci annunciavano i muri di Genova, 14 estati fa.
Questo ci dicono i muri di cechi e orban oggi.
Loro, che lo si voglia o no, rappresentano il nostro futuro, e l'avvenire dell'Europa.
E lo sanno.
Per questo se ne fregano dei summit, delle conferenze, dei proclami, delle Nazioni Unite e delle Unioni Europee. Sanno che i processi storici e materiali vanno dalla loro parte, che hanno il vento della storia con loro. Ci portano verso lidi mefitici, verso nuove barbarie.
Sono ciechi e orbi, non vedono oltre il loro naso, ma ci guidano perchè le loro premesse, in fondo, sono le nostre, sono quelle di tutti.
Il tanto vituperato Marx aveva ragione: è la struttura economica, sono i rapporti materiali, a decidere la storia.
Il resto è solo retorica delle fedi, delle utopie, dei miracoli, e dei sogni...


mercoledì 16 settembre 2015

il buon vicinato

Ieri sono arrivato sotto casa e, tra via dei Pisani e Sant'Eulalia, era pieno di gente in lutto, con corone e lacrime. Tutto abbastanza composto, ma in molti stavano addossati alla porta di una casa.
Ho visto le facce note dei miei dirimpettai, ma anche altre sconosciute, accomunate soltanto dai loro trucchi e vestimenti pop, da poveracci ben trassati.
Non ho chiesto chi fosse morto, e sono rientrato in silenzio.
So, che -in una delle mie numerose e prolungate assenze- deve essere morta anche la vecchia signora I., che stava sul balconcino di fronte a parlare con me del tempo e della vecchiaia, e non usciva ormai da anni.
L'ultima volta l'ho vista sul divanetto, sdraiata e con la flebo: mi aveva tenuto un pacco postale con dei libri, come spesso faceva al posto mio, quando il postino non mi trovava.
Ero affezionato a lei, ma non la vedo più e non ho chiesto nulla ai parenti.
La figlia, la signora A., bionda ossigenata con grandi, desiderabilissime tette che sporgono quando stende, non mi saluta più come prima, ed ha ragione.

Lei esce ogni mattina con la moglie di D., che sta al piano di sotto della loro palazzina.
Fanno la spesa, chiacchierano, si vestono e si truccano come sedicenni.
D. ha una figlia, che è stata bella, ma ora ha avuto un figlio, è ingrassata, il padre del bambino l'ha lasciata e lei- senza soldi- vive con i suoi.
Un anno fa, D. -che mi chiama professore- si è fermato per strada, per darmi un passaggio verso casa con la sua Multipla amaranto. Mi ha raccontato della sua vita di lavoro, in mare e all'estero.
Dice tante cose razziste sui negri e sugli altri. Ma mi è simpatico.
L'altro giorno, mattina presto, mi ha fatto entrare nel sottano in cui lo vedo star spesso ultimamente, mentre prima lo occupava la moglie, che faceva lì dei lavori tessili clandestini.
Mi fa entrare, dicevo, e mi mostra con orgoglio i velieri e le navi che costruisce alla perfezione, in miniatura.
Nessuno glieli compra, ci perde, ma a lui piace passare il tempo così, gli evita di buttarsi sempre al bar a bere.
Mi spiega che con la moglie si sono lasciati, ecco perchè lei non lavora più li sotto come prima, ma che vivono ancora insieme, separati in casa, per motivi economici.
Il suo invito ad entrare mi ha commosso, sembrava un bambino fiero dei suoi giocattoli.
Da quel giorno, ci salutiamo e parliamo un pò di più, all'incrocio, dove lui va a fumare (a casa non può, c'è il nipote, e la moglie non vuole sentire la puzza di fumo...).

La mia vicina di sotto è di Seui. Fa la donna delle pulizie, da anni, presso due famiglie di insigni universitari. Esce ogni mattina alle 8, qualche volta ci incrociamo sul 5 verso viale Merello, dove lei puntualmente scende. Ha una figlia adolescente, che spesso la fa disperare, urlano tanto, poi si rimettono insieme. Mai visto il padre.
E' una donna sola, sempre. Fuma sul davanzale, ha la voce roca.
Qualche volta mi chiama perchè mi è caduta una mutanda dal filo, o c'è qualche perdita che filtra dai muri.
Ci salutiamo per le scale, e parliamo un pò qualche volta, delle nostre solitudini condominiali.
Quando parto e resto a lungo in viaggio, si preoccupano se non le avverto prima.
Soprattutto la figlia, mi dice C.: vorrebbe chiamare la polizia, teme per la mia sorte.
Ma quando mi incrocia per le scale, tiene gli occhi bassi, e mi saluta molto piano.

Sono ormai sedici anni in questa casa.
Mi piace, ci sto bene, ci passo molto tempo, da qualche tempo.
Ed anche il quartiere è bello, non potrei stare altrove.
Ma chissà cosa pensano i vicini di me, ed io stesso so così poco di loro.
Anni ed anni, e non ci si conosce quasi, se non per dettagli, incroci occasionali, coincidenze ed eventi straordinari. Resto un totale sradicato, così come ero da bambino, e sarò sempre.
Incapace come sono di vivere il quotidiano, di appassionarmi delle persone vere e vicine.
Mi lascio appena sfiorare, e fuggo.
Mi lascio avvicinare, dico qualcosa anche, ma il mio corpo dà segni di ritrosia, di distanza.
Sorrido, quasi per scusarmi del mio continuo sottrarmi al mondo.
E sento così poco.







martedì 15 settembre 2015

sottratti e (in)felici

Quando si è invitati in società, si entra semplicemente in casa, si sale la scala e quasi non lo si nota, tanto si è immersi nei pensieri. Soltanto così si agisce giustamente verso di sé e verso la società. (19.2.1911)

Donde l'improvvisa fiducia ? Oh, mi rimanesse! Potessi entrare e uscire da tutte le porte come un uomo relativamente impavido! Salvo che non so se lo voglio. (6.11.1913)

Allievo di Elieser era il rabbi Meir, la cui devozione era così grande che l'insegnamento del libero pensatore non gli recò nessun danno. Mangiava (così diceva) il gheriglio, buttava via il guscio.
(28.11.1911)

Se, per esempio M. arrivasse qua all'improvviso, sarebbe una cosa spaventevole. All'esterno la mia posizione sarebbe subito relativamente brillante, io sarei onorato come uomo tra gli uomini, otterrei più che parole formali, siederei al desco della compagnia di attori, esteriormente sarei dal punto di vista sociale quasi pari al dott.H. - ma sarei precipitato in un mondo nel quale non posso vivere. (29.1.1922)

Questi brani dal Diario di Franz Kafka li ho trovati nell' Arte di scomparire. Vivere con discrezione di Pierre Zaoui.
Da questo libro scelgo anche un brano finale, quello sulla 'felicità per sottrazione':
Sottrarsi ai vani giochi delle immagini di sé e delle ambizioni personali; sottrarsi alle cose che si posseggono come a quelle che non si posseggono; sottrarsi alla paura di perdere come alla paura di non aver più nulla da perdere -di essere senza mancanza, senza vuoto, senza movimento, morti.
Perchè, certo, una simile felicità istintivamente fa un po' paura, sembra del tutto prossima al fantasma dell'abbandono o alla grande rinuncia nichilista. Ma è perfettamente possibile e persino facile superare questa paura non appena ci rendiamo conto che questa sottrazione non è che un momento, felice da vivere, ma anche felice da veder passare, per reimbarcarsi nella vita con la sua ruota perpetua di impegni e delusioni, di speranze e disillusioni. Vale a dire, dal momento in cui ci ricordiamo ancora una volta del carattere intrinsecamente discontinuo della discrezione. Non è la libertà a rendere felici, ma la continua liberazione, il distacco, l'affrancamento, l'uscita dall'alienazione. Ma per distaccarsi e liberarsi, bisogna pur essersi inizialmente attaccati o fatti prendere, e per distaccarsi ancora bisogna ben accettare di attaccarsi ancora, senza fine...





nulla di fatto, fatto da nulla

Ennesimo nulla di fatto all'ennesima riunione di quel che resta di un'Unione Europea fatta di nulla.
Anzi, fatta di Stati, che sono fatti di soldi.
Stati che non controllano il clima, le mafie, la finanza.
Ma che fanno le guerre, producono disastri e controllano noi e  i poveri.
Stati che, mentre dicono che cambieranno gli accordi di Dublino, di fatto cambiano quelli di Schengen.
L'Ungheria fa da avanguardia sfacciata, reinnalzando muri e proclamando lo stato di emergenza, militarizzando di fatto la frontiera e aprendo la strada per interventi feroci verso i profughi.
Ma, come tutte le violenze scoperte, questa appare meno pericolosa di quella coperta, che alterna pronunciamenti d'apertura alla discrezionale chiusura dei valichi, come stanno facendo ora Germania, Austria, Olanda...
Promettono di accogliere 500.000 persone un giorno, poi davanti all'afflusso di 20.000 disperati al giorno non sanno più che cosa fare e si tirano indietro.
In modo tale che non sai più cosa dire o pensare, se hai davanti dei santi o dei criminali, degli umanisti o dei nazisti.
E soprattutto, al di là delle nostre masturbazioni intellettuali in poltrona, insistono a prolungare il delirante esodo di migliaia di persone, già duramente provate e punite dall'esistenza, ben prima di essere tartassate e torturate da noi.

Decine di profughi, poi, continuano a morire ogni giorno in mare.
L'assuefazione cresce, e non sentiamo quasi più nulla, in coscienza.
Guardo quei paesetti dell'Appennino o della Liguria che ogni anno ormai attendono l'alluvione, e spalano, e dicono che è assurdo, e dicono che non hanno mai visto nulla di simile, e si aggirano tra case devastate, trombe d'aria e fiumi amici, ora divenuti nemici e cattivi.
O le nostre città, che mettono argini alla potenza del cosmo, invano.
Invano, come fare muro contro i poveri e i disperati.
Loro resteranno schiacciati dal nostro denaro, nel tentativo di acchiapparne le briciole.
Noi, finiremo sepolti dalle macerie crollate dei nostri stessi, spessi e fessi muri.






lunedì 14 settembre 2015

cos'altro dire ?

In Egitto dei turisti messicani sono stati presi per guerriglieri dell'Isis e bombardati dal cielo.
Cameron ha dichiarato che l'elezione di Corbyn a segretario dei laburisti è una minaccia alla sicurezza nazionale.
Flavia Pennetta si dimette dal tennis nel momento del suo massimo trionfo.
Un ponte di Bobbio è crollato e i paesi che ho visto ad agosto sono alluvionati niente male.

Io sto per licenziare  'Fare il morto'.
L'estate non finisce, afa e vento.
Leggo Kafka, racconti brevi, non ho le forze per quelli lunghi.
Leggo 'L'arte di scomparire' di Zaoui, e parla di Kafka.
Leggo 'Uomini senza donne' di Murakami, e sotto c'è sempre Kafka.
Ma cosa ci ha fatto quest uomo ?

Giardinetto nel suo massimo fulgore.
Sono rifiorite le jacaranda.
Attendo una serata o una notte di puro piacere, da tempo.
Come il messaggio dell'imperatore o l'apertura della porta della Legge...


venerdì 11 settembre 2015

siam tre piccoli pensierin...

Primo pensierin: la Confcommercio è contenta perchè stanno risalendo i consumi.
Ci si compiace perchè si riprende a comprare automobili, cellulari ed elettrodomestici.
Quelli vecchi funzionavano ancora e bene, ma bisognava cambiarli.
La stupidità, di chi compra e di chi si compiace, non ha limiti.

Secondo pensierin: Scattone ha rinunciato alla cattedra. La sig.ra Russo, madre di Marta, se ne compiace.
Ma la pena non estingue il reato ?
Cos'altro deve fare questo ragazzo, che ha già perso il suo ruolo all'Università ?
E nessuno che faccia rispettare le leggi e la cultura civile di un paese.
Ci si rifà ai sentimenti contro la legge, e alla legge contro i sentimenti.

Terzo pensierin: hanno trovato anche l'uomo di Nadeli, dentro un dirupo, ben nascosto e sepolto da migliaia di anni. Forse pensava già, forse parlava già, ma sapeva ancora salire sugli alberi.
Una fase perfetta dell'umanità.
Pensare e parlare così così, camminare così così, ma sapersi muovere ancora bene tra le liane...
Che invidia!


giovedì 10 settembre 2015

progressi e regressi

Che fare dunque ? Darle ancora una volta ragione ? Accettare che essere adulti è smettere di mostrarsi, è imparare a nascondersi fino a svanire ?

Ma lui fu la vera sorpresa della serata. Fece discorsi sulla fine imminente di una stagione che era stata oggettivamente -usò l'avverbio con sarcasmo- rivoluzionaria, ma che adesso, disse, tramontando, si stava portando via tutte le categorie che erano servite da bussola.
'Non mi pare, obiettai, ma solo per provocarlo, in Italia la situazione è molto vivace e combattiva'.
'Non ti pare perchè sei contenta di te'.
'Tutt'altro, sono depressa'.
'I depressi non scrivono libri. Li scrivono le persone contente, che viaggiano, sono innamorate, e parlano e parlano nella convinzione che le parole vadano sempre in un modo o nell'altro al posto giusto'.
'Non è così ?'
'No, le parole vanno raramente al posto giusto, e solo per un tempo brevissimo. Per il resto servono a parlare a vanvera, come adesso. O a fingere che sia tutto sotto controllo.'
'Fingere ? Tu che hai sempre tenuto tutto sotto controllo, fingevi ?'
'Perchè no ? E' fisiologico fingere un poco. Noi che volevamo fare la rivoluzione siamo stati quelli che anche in mezzo al caos si inventavano sempre un ordine e facevano finta di sapere esattamente come stavano andando le cose.'
'Ti stai autodenunciando ?'
'Ma sì. Buona grammatica, buona sintassi. Una spiegazione pronta per tutto. E tanta arte della consequenzialità: questo deriva da questo e porta necessariamente a questo. Il gioco è fatto.'
'Non va più bene ?'
'Oh, va benissimo. E' così confortevole non smarrirsi mai davanti a niente. Nessuna piaga che si infetti, nessuna ferita che non abbia i suoi punti di sutura, nessuna stanza buia che ti faccia paura. Solo che a un certo punto il trucco non funziona più'.
'Cioè ?'
'Blablabla, Lena, blablabla. Dalle parole il significato se ne sta andando'...

Da lì diventò più semplice riflettere su Napoli, scriverne e farne scrivere con lucidità,.
Amavo la mia città, ma mi strappai dal petto ogni sua difesa d'ufficio. Mi convinsi anzi che lo sconforto in cui finiva presto o tardi l'amore fosse una lente per guardare l'intero Occidente.
Napoli era la grande metropoli europea dove con maggior chiarezza la fiducia nelle tecniche, nella scienza, nello sviluppo economico, nella bontà della natura, nella storia che porta necessariamente verso il meglio, nella democrazia, si era rivelata con largo anticipo del tutto priva di fondamento.
Essere nati in questa città...serve a una sola cosa: sapere da sempre, quasi per istinto, ciò che oggi tra mille distinguo cominciano a sostenere tutti: il sogno di progresso senza limiti è in realtà un incubo pieno di ferocia e di morte.


(da Storia della bambina perduta, ultimo volume de 'L'amica geniale' di Elena Ferrante) 

lunedì 7 settembre 2015

commozioni cerebrali

Ci si commuove a vedere tutta quella gente arrivare alle frontiere e alle stazioni d'Europa, distrutti, abbattuti, sorridenti, speranzosi.
Ci si commuove a vedere la solidarietà e l'accoglienza di tante persone che le riceve e le soccorre.
Si sente, in certi momenti, che l'umanità non è del tutto perduta.
Che non vale solo la logica del denaro e dell'utilità.
Che c'è altro per cui vale la pena vivere.
Impossibile non farsi prendere dalla bontà e dalla generosità d'animo.

Eppure...
Tutti questi salmoni, che risalgono il fiume e cercano di andare controcorrente, lo sono veramente ?
Non collaborano anche loro al grande spettacolo dell'immigrazione ?
Non sono gli stessi che continuano a votare, a sostenere i loro governi e i loro stati, i loro sistemi produttivi, il colonialismo economico tedesco, la loro ricchezza ?
Sì, va bene, danno il superfluo, danno perchè hanno.
Sempre meglio che avere e non dare, direte voi.
Ma questa logica cosa ha a che vedere con la politica ?
Non sarebbe stato meglio allora dirsi cristiani o cattolici, farsi missionari in Africa, fare la beneficenza per i lebbrosi ?
Come dice e fa ancora il Papa: che ogni parrocchia ospiti una famiglia di rifugiati.
Ma se questa è l'unica strada, perchè fare politica ?
E' il segno che la politica non c'è più e resta soltanto l'assistenza ed il soccorso, che lo stato non c'è più e che restano solo i volontari, utilizzati gratis dallo stato ?

E poi, dopo che li prendiamo, che fine farà questa gente ?
Quando saranno lì, abbandonati nelle nostre città, dimenticati da noi e dalle tv ?
Molti saranno respinti, se non riusciranno a scappare o a diventare clandestini.
Cinicamente, possono solo sperare che anche le loro terre diventino scenari di guerra, per poter restare ed essere accolti. I soliti volenterosi stanno per fare al caso loro, e già pensano a nuovi attacchi dal cielo, contro l'Isis e per riconquistare i pozzi perduti.
Comunque, se restano sicuri lì, non saranno presi qui. Bel casino.
I tunisini o i marocchini che invidiano siriani e afghani, solo perchè potranno avere il permesso e loro no. Hanno solo fame, e non basta.
Intanto, l'Europol ha ammesso che ci sono 30000 trafficanti che vivono illegalmente di immigrati, una rete immensa che attraversa il mondo, in franchising.
Un mercato che attualmente è più redditizio di quello delle armi e della droga.
Per non parlare di quelli che ci vivono legalmente (le cooperative sociali, le ONG, più o meno in mano ai vari Buzzi o mafiosi locali).

La commozione resta, quindi, ma anche i dubbi, tanti.
Soprattutto su di noi, i buoni.


sabato 5 settembre 2015

macht frei !

Dalle rotaie di Budapest, peraltro sbarrate da giorni, si alza un grido inatteso di libertà: Germania, Germania!
Vedo che oggi, stanchi d'attendere i treni, i profughi si sono messi in marcia, a piedi o senza piedi, bambini e vecchi, povera gente che spera nella bontà dei crucchi.Il Reich torna di moda: infatti anche in Repubblica Ceca si riprende a marchiare i nuovi ebrei afghani e siriani.
Imparare dalla storia ? Non se ne parla.

Ora la Merkel si erge a paladina dell'accoglienza di massa, e tutti si accalcano, e tutti l'acclamano.
Dublino continua a valere, ma non vale più.
I siriani possono procedere, ma non possono partire.
Gli italiani devono registrarli, ma i profughi non vogliono stare da noi, e non si fanno schedare.
Sembra un gioco dell'oca impazzita.
Europa unita ? Sotto il vestito, niente.
E chi ne parla ancora, mente.

Ora che la Germania ha deciso di cambiare strada, visto che anche quelli che sbarcano in Italia o in Grecia vogliono giungere al Reno o al Tamigi, e non certo fermarsi a sud, vedrete che tutta l'Europa si muoverà nella sua stessa direzione.
La chiameranno Europa, e sarà ancora Germania, seppur in un altro verso.
Costretta dagli eventi, come sempre, la Germania si rivelerà efficiente e pragmatica.
La sua economia, in fondo, ha bisogno di manodopera a basso costo, di rinvigorire le nascite e la nazionale di calcio.
Sensibilità umanitaria ? Se ne parla, a vanvera.

Io: me ne sto parcheggiato, pancheggiato al giardinetto.
Ma sono messo un pò meglio di loro.
Ho potuto prendere liberamente un trenino per Iglesias, nei due giorni scorsi, e sono stato bene in quel piccolo paradiso di Barega.
Amici accoglienti, ottimo cibo, tanto verde, silenzio, buone parole, verità quanto basta a vivere.
Il resto ? Meglio non parlarne.


mercoledì 2 settembre 2015

donne da romanzo



Ogni cosa del mondo era in bilico, puro rischio, e chi non accettava di rischiare deperiva in un angolo, senza confidenza con la vita. Capii all'improvviso perchè non avevo avuto Nino, perchè lo aveva avuto Lila. Non ero capace di affidarmi a sentimenti veri. Non sapevo farmi trascinare oltre i limiti. Non possedevo quella potenza emotiva che aveva spinto Lila a fare di tutto per godersi quella giornata e quella nottata. Restavo indietro, in attesa. Lei invece si prendeva le cose, le voleva davvero, se ne appassionava, giocava al tutto e niente, e non temeva il disprezzo, lo scherno, gli sputi, le mazzate. Lei, insomma, s'era meritata Nino perchè riteneva che amarlo significasse provare ad averlo, non sperare che lui la volesse.

'Ritiene davvero che nulla sia destinato a durare, nemmeno la poesia ?'
'Così pensa Leopardi'.
'Ne è sicura ?'
'Sì'
'E lei cosa pensa ?'
'Penso che la bellezza sia un inganno'
'Come il giardino leopardiano ?'
Non sapevo niente di giardini leopardiani, ma risposi:
'Sì. Come il mare in un giorno sereno. O come un tramonto. O come un cielo di notte. E' cipria passata sopra l'orrore. Se la si toglie, restiamo soli col nostro spavento'.

(Elena Ferrante, Storia del nuovo cognome, in L'amica geniale, vol.2, 2012)


Non avevamo capito dove stessimo andando quando abbiamo preso il traghetto per Capri. Era l'inizio di aprile. Una pioggerellina fredda ammantava la superficie del mare. Avevamo preso la funicolare dal porto e scoperto di essere gli unici turisti. Siete in anticipo, ci aveva detto l'autista, con un'alzata di spalle. Le strade profumavano di lavanda e per un bel pezzo nessuno dei due aveva notato che non c'erano auto. Alloggiavamo in un albergo economico con il panorama più bello che avessi mai visto. L'acqua era di un blu struggente. Una scogliera di roccia scura a picco sul mare. Volevo piangere perchè ero sicura che non mi sarebbe mai più capitato di trovarmi in un posto del genere.
Partiamo in esplorazione, avevi detto. Lo dicevi sempre quando cominciavo a fare quella faccia. Avevamo camminato lungo la strada panoramica fino a quando non eravamo arrivati a una fermata dell'autobus. Lì avevamo aspettato, mano nella mano, senza parlare. Io stavo pensando a come sarebbe stato vivere in un posto così bello. La mia testa sarebbe andata a posto ? Era arrivato l'autobus. A bordo lavoravano in tre: uno vendeva i biglietti, l'altro li ritirava, e il terzo guidava. Ci aveva messo allegria. Eravamo scesi dall'altra parte dell'isola dove la gente ci guardava ancora più curiosa. In un supermercato avevo visto un pacchetto di chewing gum che si chiamavano Brooklyn, e tu me li avevi comprati.

(Jenny Offill, Sembrava una felicità, 2014)

ma chi se ne import-(export) e di varie deportazioni



Non è colpa nostra se c'è la guerra nei loro paesi e scappano...'.
Merkel dixit. Ma ha torto, e mente: è colpa nostra, eccome.
Siamo noi a portare la guerra nella loro vita (e nella nostra).
Ed anche quando sono loro a combattere tra loro, le armi sono nostre.
Noi le abbiamo prodotte e vendute, noi abbiamo lavorato e ci siamo arricchiti sulla loro pelle.

'La distruzione di Palmira è un crimine di guerra, un crimine contro l'umanità. Andranno processati...'.
Unesco dixit. Ma non mi risulta che ci siano stati processi per chi ha bombardato Dresda o Hiroshima.E mentre a Palmira, tra le rovine, sono state uccisi solo gli spiriti dei babilonesi defunti da tempo, nelle nostre guerre mondiali -oltre ai monumenti- abbiamo fatto fuori migliaia di 'nemici'.
Eppure, dopo Norimberga e Gerusalemme, nessun giudice ha emesso condanne.

'E' necessario registrarli all'arrivo, e distinguere chiaramente tra migranti economici e chi ha diritto all'asilo politico...'
Unione Europea dixit. I ricchi, gli agiati, i benestanti -che non sopportano disoccupazione e fame neppure per un giorno- si dedicano al lavoro degli azzeccagarbugli. La verità è che a gran maggioranza di chi vive oggi nella merda laggiù non ha neppure i soldi per muoversi e trovar posto su un barcone o su un treno. Quelli neanche si muovono, a milioni, e restano nelle loro terre a vivacchiare e a morire (a migliaia, ogni santo giorno, ma non sotto i nostri delicatissimi occhi).
Noi siamo costretti a vedere la sorte, sempre grama e spesso tragica, solo di quelli che riescono a trovare i soldi e la forza per partire, magari a piedi, e a camminare per mesi o anche anni.
Qualche centinaio di migliaia di persone soltanto arriva da noi, un'esiguissima minoranza; a milioni invece si rifugiano nei campi di frontiera, ospitati da paesi che stanno certo peggio di noi.
La chiamiamo 'emergenza' perchè continuiamo a far finta di non capire quel che abbiamo combinato e quel che sta accadendo.
Continuiamo a cavillare sui nomi e a stupirci di un esodo che non si ferma.
Meritiamo tutto quello che ci arriverà addosso.

'I colpevoli sono gli scafisti e quelli che gestiscono la tratta. Vanno arrestati e condannati....'.
Iustitia dixit. Ma non sarebbe meglio legalizzare i passaggi, gestirli noi con le nostre navi, far pagare un biglietto decente, accoglierli in modo civile ?
Se noi non facciamo questo, lo faranno gli scafisti. Siamo noi a creare il mercato clandestino e illegale, come già avremmo dovuto imparare dal traffico di droga.
La colpa non è di chi ne approfitta, la colpa è di chi potrebbe fare diversamente ma non lo fa.
I carnefici degli immigrati siamo noi, ma li facciamo maltrattare ed ammazzare da altri.
Gli scafisti lavorano per noi, fanno le nostre veci. E ci lamentiamo anche...!

Per inciso, e in breve: gli insegnanti precari oggi sapranno di che morte devono morire, e in quale sede dovranno stabilizzarsi. L'hanno chiamata 'deportazione'.
Si potevano trovare altre soluzioni, è vero. Lo stato se ne frega delle persone e degli affetti, si sa.
La burocrazia va avanti, come un Moloch senza cuore.
Ma le deportazioni sono un'altra cosa.
C'è ancora qualche differenza tra un insegnante che va in ruolo, anche se a mille km da dove è nato, e gli immigrati che vivono nei CIE o stanno buttati alla stazione di Budapest, o i bambini siriani che procedono sui binari, con i piedi e il cuore a pezzi. Se saranno fortunati, troveranno un insegnante ad aspettarli in una qualche scuola dell'Impero...
Se no, arriveranno in Germania o in Svezia, per vendersi al miglior peggior acquirente.