martedì 28 marzo 2023

due secoli dopo...idem!

 

Il Faceto:

Oh se potessi di posterità

più non udir parlare!

Ammetti che soltanto

degli uomini venturi io mi curassi,

chi mai darebbe a quelli d'oggi, allora,

almeno un po' di svago?

Non voglion altro: e giova contentarli...


Il Direttore:

Ma in primo luogo, non lasciate mai languir l'azione.

Si viene per guardare: e a buon diritto,

molto veder si vuole.

Se dipanate innanzi alla platea

un grosso intreccio,

così che quella resti a bocca aperta,

avrete in lungo e in largo

già vinto la partita. E diverrete

l'idolo della folla. Ché la folla

conquistarla si può, solo ammannendo

cibo abbondante. Nella quantità,

ognuno sceglie ciò che più gradisce.

Chi molto porta, n'ha per tutti i gusti:

e s'esce dal teatro soddisfatti...


Considerate, innanzi tutto, il pubblico

per il quale scrivete.

Se questi si trascina allo spettacolo

sol dalla noia spinto,

quegli vi arriva sazio

dal trasmodar di un lauto banchetto:

e, ciò ch'è peggio, più d'uno vi giunge,

ahimè, dalla lettura dei giornali.

Si accorre qui distratti, proprio come

ad una mascherata...


Ascoltatemi. Al pubblico ammannite

roba a bizzeffe, roba sempre più.

Ne v'accadrà di deviar dal segno.

E procurate di stordire il prossimo.

Accontentarlo, è disperata impresa.

...E adesso, che mai diamine vi piglia?

Estasi o svenimento?


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Un altro borghese:

La domenica e gli altri dì festivi,

io non conosco miglior passatempo

che ragionar di guerra

e di frastuoni bellici.

Mentre laggiù, nella Turchia lontana,

i popoli si accoppano a dovere,

eccoti alla finestra: e centellini,

sino a vederne il fondo, un buon bicchiere.

E guardi giù le barche

variopinte scivolar pel fiume,

seguendo la corrente.

Ma poi ritorni, quando cala il sole,

beatamente a casa; e in cuore esalti

la pace, in cui si vive in santa pace.


Un terzo borghese:

Proprio così, caro signor vicino.

Anch'io la penso giusto come voi.

Si spacchino le teste a lor piacere,

vada colà pur tutto alla malora!

Basta che a casa nostra

l'acqua corra al suo solito mulino...


§§§§§§§§§§§§§§§§§§§


Mefistofele:

Ahimè! Che guaio!

Andiamo, allora, altrove.

Lasciatemi da parte

quelle perenni lotte

di schiavi e di tiranni!

Mi danno noia. Sono finite appena;

ed ecco, ricominciano daccapo...

Combattono, si dice,

per i diritti della libertà:

ed a guardarli bene,

son servi contro servi.



J. W. Goethe, Faust, 1826


lunedì 27 marzo 2023

dove sta, dove va l'apocalisse ?

 

Il titolo del film richiama l'Armageddon, l'Apocalisse finale.

E, alla sua fine, ti chiedi perché.

Sembra -infatti- solo la storia di un bambino ebreo americano che affronta il mondo e le sue storture con uno sguardo etico ed una sensibilità profonda verso l'ingiustizia e le discriminazioni, coperte o palesi.

Nel suo disperato tentativo di riuscirci, la storia racconta delle immani e violente pressioni a conformarsi che gli provengono dalle amorevoli cure di genitori, parenti, insegnanti e amici.

Un'assimilazione a valori ipercompetitivi, votati solo all'ascesa sociale ed al successo sugli altri, al mito eroico della vittoria coltivato da ogni self made man che si rispetti.

Per ottenerli, il ragazzino viene iscritto ad un liceo privato per le èlites, in cui incontra -ragazzino anch'egli- il ciuffetto biondo di un certo Donald Trump.

L'omologazione però non riesce, ma con costi molto alti per il protagonista e soprattutto per il suo amico nero.


Dove sta la catastrofe, oltre che nel titolo (ed in una canzone dei Clash, riferimento musicale del regista) ?

Trump non è un'anomalia nel sistema americano, ma il suo interprete più profondo, coerente e sincero (e così è la Meloni per noi qui).

E Biden segue gli stessi valori e segue gli stessi modelli di Trump, in modo soltanto più graduale e farisaico (così come il PD ed i cosiddetti democratici di sinistra in tutta Europa).

La catastrofe, quella che non vogliamo vedere come tale ma che ci condanna senza scampo, sta proprio nel modello di vita che seguiamo e nei suoi valori fondamentali.

Modelli e valori che -proprio mentre esaltano la guerra tra le persone come unica forma significativa di vita- le conducono ineluttabilmente alla distruzione e alla morte, al vivere nella mortificazione, alla morte in vita.

Questa normalità (normalizzazione) è già da ora catastrofe.

É da questa che poi derivano e deriveranno cataclismi e disastri, le emergenze e guerre permanenti ed i fallimenti di ogni soluzione ad esse.

Ma, anziché assumerci la responsabilità del nostro modo di vivere, una parte di americani preferisce (come abbiamo già fatto per decenni con Berlusconi) accusare e condannare Trump per aver pagato in nero una pornostar!

Scelte del genere (oltre a risultare inutili o addirittura controproducenti in sede elettorale) occultano il vero problema, servono solo ad insistere a coprire la catastrofe di un mondo che prosegue ad avanzare e ad investire violentemente e crudelmente le nostre vite (e, soprattutto, quelle dei più poveri ed indifesi).




martedì 21 marzo 2023

dove va, dove sta l'amore?

Per evitare che la relatività post-moderna ci dia alla testa, DFW si affretta a ricordarci che nove volte su dieci adoriamo soltanto noi stessi. 

(Zadie Smith, Il dono, in premessa a D. Foster Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi)

 

 

Ci sono dei giorni in cui -seppur con dispiacere- sono costretto a sentirmi (quasi) di destra.

Chiarisco: sono favorevole alle famiglie arcobaleno, se proprio non si riesce a trovare niente di meglio di una famiglia nucleare per stare insieme.

Sono anche favorevole alle unioni civili riconosciute ed anche ai matrimoni omosessuali, se proprio non riescono ad inventarsi -neppure loro, di solito così creativi nel costume e nei costumi- niente di più originale.

Sono favorevole all'adozione da parte di coppie omogenitoriali.

Ma non sono favorevole al fatto che si possano avere figli biologici in provetta, tramite maternità o paternità surrogate, uteri in affitto ed altre mirabilia tecnologiche.

Sono contrario, per qualunque coppia (che sia omo o etero).

Non sono d'accordo che avere figli biologici (se non si possono avere per motivi biologici) sia un diritto.


I sostenitori di questa moderna teoria si rifanno -come sempre fa la tecnica- alla necessità del fatto compiuto da risolvere -a questo punto...è sempre questa la parola magica..!- pragmaticamente. Qualunque riferimento a valori, connotazioni culturali o religiose, scelte politiche di fondo, è tacciato di ideologismo.

Come se il solving problem tecnologico non sia un'ideologia.

Lo è, ed anzi oggi è la più potente delle ideologie, proprio perché ci appare come avalutativa e concretamente operativa, scevra da retropensieri e assunti pregiudiziali.

Un'ideologia che proclama: c'è il problema e va risolto (tecnicamente).

Cioè così, semplicemente, da persone ragionevoli, moderne, progressiste, laiche.

Come è stato risolto d'altronde il -ben più grande- problema che due persone dello stesso sesso non possano far figli, se non artificialmente e pragmaticamente, e solo e proprio mediante la tecnica.

E che ci vuole! Basta mettere insieme soltanto una mega-ricerca superfinanziata, un enorme apparato operativo ultra-sofisticato ed un mercato onerosissimo per chi vuole avere figli ad ogni costo.


Un'ideologia che proclama: chi si oppone al riconoscimento automatico non vuole tutelare -ma anzi discriminare- i bimbi e le bimbe (queste sono le parole -sentimentalmente oscene- utilizzate dai sostenitori della giusta causa, scelte apposta per colpire populisticamente alla pancia chi ascolta e cerca inutilmente di capire).

Chi non ha tutelato i bambini, invece, è in primo luogo proprio chi ha deciso di fare dei figli in un altro paese, ben sapendo a quali rischi sottoponeva i bimbi e le bimbe così prodotti (perché di questo si tratta: di una nuova, ennesima produzione del mercato e del capitale), inseguendo soltanto un proprio egoistico bisogno di maternità/paternità che non poteva e voleva accettare i limiti imposti dalla nostra limitata, umana biologia.

Sapevano tutto e l'hanno fatto comunque.

Ma quando si vuole qualcosa a tutti i costi amiamo solo noi stessi e non gli altri (bambini e figli inclusi).

Per ottenerlo allora si aggira una legge dello stato e poi si chiede allo stesso stato gabbato di riconoscere legalmente quel che è avvenuto illegalmente altrove.

Si è cittadini italiani, insomma, solo e se questo conviene. É la tipica logica opportunistica ed individualistica, sfacciatamente di destra.

Si vuole invece aprire una lotta per cambiare la legge? Benissimo, da nonviolento sarei molto d'accordo.

Ma non accetto che si finga di non vederne i risvolti morali, civici, politici e religiosi, riducendolo ad un mero 'condono' per degli ignari bambinelli e dei genitori che vogliono soltanto amare ed amarli come tutti.


I movimenti progressisti hanno discusso e lottato a lungo per sganciare il sesso dalla procreazione.

Oggi, ci vogliono far credere che progresso significhi anche dividere la procreazione dal sesso.

Si possono far figli, cioè, senza fare l'amore.

E se, per vari motivi (genetici, biologici, psichici...), si fa l'amore, ma quell'atto non può o non riesce ad essere fecondo, si vuole far ritenere eticamente accettabile, culturalmente moderno e politicamente progressista, la scelta di ricorrere ad artifizi tecnologici per concepire e partorire un figlio che non potrebbe nascere altrimenti.

É qui che la dominante ideologia del genere si scontra frontalmente con la dura realtà della divisione sessuale. Ed è per questo che non la può e non la vuole accettare.

Ma è proprio la possibilità di fare sesso (con simulazioni virtuali aumentate ed inarrivabili- e di fare figli attraverso la tecnica -tramite ambitissime provette e complicate procedure operative di laboratorio), sta alla base di quel declino del desiderio che oggi riscontriamo in terapia e nelle nostre vite sballottate.

Non ci stiamo soltanto allontanando, infatti, da una procreazione come natura comanda.

Ci stiamo ineluttabilmente allontanando anche da un desiderio sessuale non virtualizzato, non manipolato, non mercificato.

Ci stiamo privando dei corpi, delle emozioni, dei sentimenti, di quel che avvolgeva da millenni la sessualità umana.

Ci troviamo già in deficit di desiderio, di fecondità, di natalità.

Ci siamo già, in pieno. E le giovani generazioni sono messe ancora peggio delle nostre.

Per quanto ancora vogliamo continuare a correre verso il baratro e proseguire a chiamarlo progresso?





mercoledì 15 marzo 2023

la libertà di mentire

 

'Stalin e i suoi sottoposti mentono sempre, in ogni istante, in ogni circostanza,; e poiché mentono sempre, non sanno nemmeno più di mentire. E quando ognuno mente, nessuno più mente mentendo'. Vorrei riflettere su questa frase di Boris Souvarine del suo libro su Stalin, perché ci riguarda da vicino.

Menzogne da parte dei governi e dei loro media e collaboratori ci sono sempre state, ma decisiva mi pare la considerazione che Souvarine aggiunge alla sua diagnosi: la menzogna può raggiungere un grado così estremo, che i mentitori non sanno più di mentire e, pur continuando a mentire, nessuno più mente.

É questo che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo negli ultimi tre anni ed è questo che rende la situazione presente in Italia non soltanto grave e oppressiva,ma tale che è è possibile che sfugga a ogni controllo e finisca in un disastro senza precedenti.

Nulla è infatti più pericoloso di un mentitore che non sa di mentire, perché le sue azioni perdono ogni contatto con la realtà...

Una società che perde ogni coscienza della soglia che separa il vero dal falso diventa letteralmente capace di tutto, anche di distruggersi. É quanto sta avvenendo con la guerra in Ucraina, rispetto alla quale vengono diffuse soltanto notizie false.

Il rischio è qui che i governi che mentono non sapendo più di mentire possono scatenare una guerra atomica che credevano di non volere, ma che le loro stesse menzogne li obbligano ora a credere di volere.

G. Agamben, 22.2.23


Siamo partiti dalla Cina trasformata in untore del Covid in tutto il mondo.

Ora proclamiamo che è la Russia a pompare l'immigrazione in Europa per destabilizzarla.

E tutto questo mentre Zelenski continua ad apostrofare i nemici come Regno del Male.

Nel frattempo, i buoni dell'AUKUS rafforzano le loro alleanze con sommergibili nucleari nel Pacifico e Biden chiede al suo congresso di elevare il budget per armamenti ad 866 miliardi di dollari.

E i dirigenti cinesi, sollevando il pugno chiuso, dichiarano in risposta che 'la sicurezza è la base dello sviluppo' e che il loro esercito si ergerà a garantirla contro i nemici 'come una muraglia d'acciaio'.

La psicanalisi ci ricorda che -quando ci si vuole liberare della coscienza dei propri errori e proseguire a commetterli come se non lo fossero- l'unica strada è quella di attivare la proiezione paranoica. La paranoia di massa ci sta avviluppando e colpisce quanto più si sta in alto (alimentando la paranoia identificativa ed entusiasta di chi li vota e sta in basso e che, a sua volta, nutre il delirio d'onnipotenza dei potenti).

Lo sappiamo già, perché è già più volte accaduto: che quando la ruota della storia inizia a girare in questo verso, non si può più fermare.


Un giorno, quando la storia del mondo costituirà un ciclo chiuso (così come oggi la storia della Grecia e quella di Roma), tutto il secolare travaglio che noi appunto chiamiamo storia apparirà come il miserabile risultato della perpetua e costante volontà di vivere dell'uomo tradizionale...

Allora i fatti stessi perderanno ogni interesse (nel qual senso è profonda l'intuizione dei rivoluzionari russi, che bandirono dalle loro scuole lo studio della storia): e i giorni che noi abbiamo vissuto si trasmetteranno nel ricordo delle generazioni come quelli di un altro e più giusto diluvio, che sommerse per sempre il vecchio uomo e l'arca dove egli aveva tentato di rifugiarsi.

Ma poiché e finchè noi, purtroppo, siamo fuori del mito, è inevitabile che le vicende ci appaiano come un gioco di azioni e reazioni, e le azioni e le reazioni distinguiamo secondo un criterio che può chiamarsi di libertà, e cioè in ragione dell'eterno conflitto tra chi comanda e vuol comandare, e chi ubbidisce e non vuole ubbidire...

Senonchè in sede di indagine storica, e cioè astraendo dalle lacrime e dalle sofferenze che alle vittime innocenti apporta il servaggio, non bisogna dimenticare che la schiavitù che succede alla libertà contiene implicito il giudizio negativo di questa, perché non è vera libertà quella che pone le condizioni e contiene in sé i germi della futura schiavitù.

S. Satta, De profundis, 1945






lunedì 13 marzo 2023

il milite noto

 

In Europa: Francia, Gran Bretagna, Italia, Moldavia, Georgia, Kosovo

In America: Stati Uniti, Argentina, Brasile

In Asia: Israele, Iran, Turchia, Birmania, Afghanistan, Siria

In Africa: Somalia, Etiopia, Tunisia, Egitto, Sud Sudan, Mali

In Oceania: non se ne sa molto.

Questi sono i paesi, per quel che so e sento, più a rischio interno: che presentano cioè divisioni laceranti tra i loro cittadini, polarizzazione tra schieramenti e/o guerre civili in atto o in progress, più o meno palesi o soffocate.

Non esistono più i margini (e i leader) per una risposta politica.

Le istituzioni che dovrebbero risponderne sono mute, impotenti, corrotte, colluse.

Come si sa rispondere, come si sta rispondendo a tutto questo? Con la militarizzazione dei conflitti in atto.


Lo stesso sta avvenendo sempre più nella gestione dell'emigrazione.

L'obbligo di soccorso viene sostituito con il controllo di polizia.

L'accoglienza viene malvolentieri e malamente offerta solo a coloro che non si riesce a fermare, che non affoga tra le onde o stramazza a riva.

Dopo averci assuefatto alle morti invisibili in fondo al mare, ora stiamo per abituarci anche a centinaia di persone asfissiate, spiaggiate come delfini, non più abbastanza umani.

Guerra agli umani, quindi.

Non più soltanto al nemico bellicoso, che ci invade o ci ammazza a sua volta.

Ma allo straniero inerme, ai poveri del pianeta, a famiglie intere di nostri simili, resi infelici e disperati dai loro e dai nostri governi.


Paradossalmente,davanti a tutto questo, la guerra in Ucraina potrebbe iniziare ad apparirci piccola, marginale, anacronistica, vecchia.

Se non fosse che essa rappresenta il nocciolo di una guerra mondiale già in corso, tra le potenze militari del mondo, che si svolge su quella terra martoriata solo per fare le prove e per saggiare le forze in vista di ben altro che -inesorabilmente ed inerzialmente- si avvicina a grandi passi.






giovedì 9 marzo 2023

dizionario di traduzione italiano-accademichese

 

Scorro gli altri nomi in lista. Li conosco quasi tutti; dieci anni passati all'Università, del resto, qualcosa dovranno pur lasciare. Tolto Giacomo Mattei, che non ha speranze per definizione, gli altri sono tutti fior di studenti. Gente che si è laureata in tempo, che ha collezionato trenta e lode, ha approfondito, letto molto e fatto l'Erasmus alla Sorbona o a Tubinga.

Gente a cui trent'anni fa avrebbero tenuto un posto in caldo all'Università prima ancora che discutessero la tesi di laurea, e oggi invece te li ritrovi a battersi per le briciole, e tra qualche anno se va bene a insegnare italiano e storia nella Bassa padana all'Istituto professionale 'Germano Mosconi', dove si parla in dialetto, si intercala a bestemmie e i professori sono il gradino più basso della gerarchia sociale e umana. E magari andranno a scuola col kalashnikov il giorno che scopriranno che anche il preside scrive 'po'' con l'accento...


Mi bastano cinque minuti per capire che sono tutti e tre di un altro pianeta rispetto a me, e non mi riferisco soltanto alle nozioni che sciorinano in fatto di letteratura e critica letteraria, ma anche alla conoscenza approfondita della geopolitica accademica...

Pier Paolo snocciola con mirabile competenza trame e sottotrame dell'accademia letteraria italiana: chi ha studiato con chi, chi non sopporta chi, chi ha rubato la moglie a chi, chi ha copiato chi, chi non va ai convegni di chi, chi va ai convegni di chi ma poi ne parla male in privato, chi ha piazzato chi, chi deve un favore a chi, chi non può vedere chi ma se la deve mettere via perché è troppo più potente di lui, chi non ha speranze di avere un posto da chi a meno che non si imponga chi, chi ha stroncato la carriera a chi, chi è dovuto andare all'estero per sfuggire ai veti di chi, chi dall'estero sta facendo la guerra a chi, chi ha riportato il cervello in Italia per farselo maciullare dalle logiche di palazzo, chi scrive un articolo per la rivista diretta da chi al fine di far sdebitare chi e aprire una posizione per chi mettendo i bastoni tra le ruote a chi.

Quando i sistemi di equazioni hanno raggiunto le cinque incognite, ho smesso di seguirlo...


'Però, quante note...', dico.

'Ne ho tagliate un sacco'.

'Maddai'.

'Bè'. Lui mi soppesa un attimo. Sta cercando di capire chi ha di fronte:se uno sprovveduto da istruire e al contempo umiliare o un rivale accademico. Se prima poteva aver avuto un dubbio, adesso sceglie la prima ipotesi, e mi impartisce una lezione introduttiva intitolata 'Come si scrive (e soprattutto cos'è in realtà) un articolo accademico.

'Non si tratta tanto di cultura, quanto di politica. Diciamo 20 per cento cultura e 80 per cento PR. Ora, nel migliore degli scenari scrivi un articolo perché hai una cosa da dire, o comunque vuoi dare un contributo a una discussione su un tema che conosci.

Ma nella maggior parte dei casi gli articoli si scrivono per motivi extraculturali, ovvero semplicemente per fare massa, aggiungere una voce al curriculum, entrare in un volume in onore di qualcuno, creare una relazione con la cordata che dirige una rivista, dare un senso a un assegno di ricerca, produrre un corrispettivo concreto di un lavoro altrimenti inquantificabile, avere punti per ottenere l'abilitazione nazionale o, in un numero non irrilevante di casi, per mera vanità.

Ma poniamo pure che il ricercatore x, o il dottorando y, abbia effettivamente qualcosa da dire: allora pubblica un articolo. La cosa che ha da dire potrebbe ragionevolmente essere detta in mezza pagina, ma pure qualcosa meno, diciamo dieci righe. E allora come si arriva da dieci righe a venticinque pagine? Una parte delle venticinque pagine serve ad accreditarsi:dire cose intelligenti, usare parole che indicano che si è studiato, mostrare che si conosce la dovuta bibliografia, ripercorrere le tappe del dibattito in cui ci si inserisce: insomma far capire che si è titolati per parlare. Un'altra parte serve a far spessore, ovvero a ripetere la cosa che si vuol dire declinandola in svariati modi diversi: se un'idea non la ripeti almeno trenta volte è come non averla detta.

E poi c'è la parte decisiva:le note.

Nelle note si tessono le trame politiche, ovvero si inserisce il proprio scritto nella complessa rete della geopolitica accademica.

Tutti ti diranno che è inelegante citare il proprio mentore:non dargli retta, citalo, citalo sempre,in ogni circostanza, più del dovuto, e sperticati in lodi e ringraziamenti...Ricordati: il tuo mentore è l'univa via che hai per la carriera accademica, e come tale lo devi venerare e riverire.

Dopodichè devi posizionare il tuo lavoro rispetto a tutti quelli che esso lambisce, ovvero a tutti coloro, dotati di un minimo di potere, che hanno trattato -anche tangenzialmente, anche vent'anni fa- il tuo stesso argomento. Ovvero, anzitutto devi citare con aggettivazione le persone potenti, quelle che sono molto vicine al tuo prof e quelle che per qualche motivo ti interessano. Con aggettivazione significa dire cose come 'Mi rifaccio qui al fondamentale contributo di Tizio', 'Non posso non rimandare all'imprescindibile definizione di Caio', 'Muovo ovviamente dall'illuminante saggio di Sempronio'...

Riserva invece le citazioni vaghe tipo 'Confronta il lavoro di de Tizis' o 'Su questo tema si veda anche de Caiis' a personaggi che non puoi non citare ma a cui non intendi tributare alcun merito,e che anzi vuoi in qualche modo sminuire. Assicurati prima che siano professori emeriti, battitori liberi o outsider, ovvero che non contino un cazzo. Infine, e questo è decisivo, non citare mai i nemici del tuo prof o della sua cordata, e fai in modo che l'assenza rifulga, che non passi inosservata...Non citare è un'arte assai più sottile e delicata che citare, ma non meno importante.

In questo sistema differenziale tu dici sì la cosetta che vuoi dire sul sonetto 24 di Petrarca, ma nel frattempo fai delle dichiarazioni di guerra, stringi alleanze, ti inserisci nei rapporti di forza.

Quasi nessuno legge gli articoli che gli mandano, per quello hanno inventato gli abstract, ma quasi sempre si scorrono le note e si legge la bibliografia: lì c'è tutto quello che serve a capire. Anzi, ti dirò di più: da lì si può comodamente dedurre tutto l'articolo. L'articolo è una trascurabile appendice delle sue note: solo gli sprovveduti credono il contrario...


 

'Marcello, non vorrei dirtelo, ma tu hai appena assistito alla madre di tutte le schermaglie accademiche'

'Ma va''.

'Senza esclusione di colpi, proprio'.

'Ma scusa: quello gli ha detto che era colto, quell'altro che era affascinante. Era tutto un 'Sei più bravo tu', 'No, sei più bravo tu'.'

Lui mi guarda con uno sguardo vacuo, come se ancora una volta si chiedesse se ci sono o ci faccio...

'Quando tu in una circostanza del genere dici a qualcuno che è colto è come dirgli che è insignificante, tutto fumo culturale e niente arrosto intellettuale. Capisci? Altro che se è un attacco! ...Che poi, a dirla tutta, Sacrosanti ha fatto di peggio: non gli ha detto colto, ma dotto, che è il gradino inferiore...Dotto significa sostanzialmente 'una palla mortale,per quanto erudita'.

'Allora poteva dirgli erudito', azzardo.

'Bè, non esageriamo: erudito è l'ultimo gradino di questa scala dell'abiezione. Se ti dico erudito significa ' Non solo sei una palla mortale, ma sei pure gratuitamente saccente'. Certo, saccente sarebbe peggio,ma in un contesto del genere non puoi dare del saccente a qualcuno, perchè sarebbe un'offesa esplicita, e qui il gioco sta tutto nell'usare termini positivi per attaccare. Se uno insulta direttamente, ha perso. Non sta nemmeno giocando allo stesso gioco.'

'E affascinante? Morelli gli ha detto affascinante, no?'

'Bè, affascinante si capisce da solo. É un commento che puoi fare a una donna, e pure a una che non è una gran bellezza, che sennò diresti bella. Ma applicato a una lezione -o a un libro- di un professore universitario è evidentemente un insulto...Inconsistente, ecco: affascinante sta per inconsistente. A un certo punto ti sarai accorto che Morelli ha lasciato scivolare anche un agile, riferendosi al modo in cui Sacrosanti spaziava da un autore all'altro. 'Sa spaziare con agilità',ha detto di Sacrosanti. In quel caso agile significa 'superficiale al limite del risibile'...

'E se io dico interessante?'

'Bè, è un termine piuttosto neutro...per cui dipende dal contesto'.

'In che senso?'

'Se commento un articolo o una conferenza di una persona x con una persona y e dico che è interessante vuol dire che sostanzialmente non l'ho ascoltata, ma non mi sbilancio a parlarne male...Diverso però se io dico interessante direttamente all'autore dell'articolo o della conferenza. In quel caso vuol dire: 'Scusa caro, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovare nessun pregio in quello che hai fatto'...D'altro canto, se dicessi interessantissimo lo potremmo tradurre con: 'La conferenza era irrilevante, ma riconosco che tu che l'hai tenuta sei una persona importante'.

'Ma scusa, se uno vuole dire qualcosa di positivo, come fa?'...

'Abbastanza positivo potrebbe essere stimolante. Vuol dire qualcosa come 'infondato ma gradevole'. Altrimenti uno che io amo molto è decisivo: di solito si usa per uno della tua stessa parrocchia, o per uno che dice qualcosa che ti piace sentir dire. Rivoluzionario è molto positivo, ma non si usa praticamente mai, se non per qualcuno che è morto...Illuminante lo userei solo per il mio padrino accademico, o per qualcuno che vorrei lo diventasse. Pionieristico va bene per un professore emerito, a patto che non conti più un cazzo.'

'E se vuoi parlar bene di qualcun altro?'

'Intendi di qualcuno che non è dei tuoi?'

'Sì'.

Lui ci pensa un attimo. 'Non lo so, se si può fare'.


Dario Ferrari, La ricreazione è finita, Sellerio, 2023

mercoledì 8 marzo 2023

schifare scafisti

 



Prima inducono a matrimoni, monogamie coatte, sessualità represse e in clandestinità, per costruire e preservare l'ordine sociale attraverso la famiglia tradizionale.

Per tenere in vita quel baraccone, allestiscono da secoli un secondo baraccone, quello della prostituzione. E la legge, a quel punto, stabilisce che quelli che sono da colpire sono i protettori, i magnaccia insomma. Ha poco da dire su chi si prostituisce, né tanto meno sugli allupati clienti.

Anche perché, nel frattempo, i ricchi hanno trasformato le pornè in etère, le donnacce in escort, rendendole un bene di lusso.


Prima ci fanno vivere una vita di merda, tra alienazione da lavoro e disoccupazione coatta, tra isolamento sociale e consumismo indotto.

Quando poi -per resistere al vuoto, placare il dolore o anche solo per distrarsi da essi- in molti ricorrono alle droghe, si allestisce un altro baraccone, un enorme mercato che, a vari livelli a seconda della tipologia di droghe e di clienti, invade il mondo di poveri e ricchi.

Anche su questo la legge interviene, colpendo i produttori (di rado) e (molto più spesso) gli spacciatori, creati a loro volta dal divieto di legalizzarne l'uso ed il consumo da parte dei tossicodipendenti di turno.


Prima guadagnano producendo armi, vendendole legalmente, trafficandole sotto banco.

Poi -non sapendo che farsene- allestiscono quel baraccone che si chiama guerra.

Lì le fanno usare a profusione a generali e soldati, orientati da politici, a loro volta telecomandati da produttori e mercanti d'armi, che proseguono a fare i loro affari e a riempire nuovamente gli arsenali svuotati dai fervidi e patriottici combattimenti.

Dopo la guerra, interviene la legge a comminare pene (se ci riesce) solo contro qualche governante, generale o soldato che si è macchiato di crimini contro l'umanità e non ha rispettato le convenzioni internazionali. Come se si potesse fare la guerra senza crimini e come se chi l'ha preparata non fosse un criminale così come chi la fa.


Prima gli interessi economici inducono i politici a non seguire i precetti sanitari e a non salvaguardare i territori in cui si va diffondendo un virus mortale.

Poi, quando si incomincia a morire a migliaia, si allestisce un baraccone generalizzato ed insensato che si chiama 'lockdown' e che va di pari passo con l'obbligo vaccinale e la discriminazione sociale tramite 'green pass'.

A pandemia finita, la legge interviene ma accusa solo i mediatori (politici e sanitari), senza far parola di chi li ha indotti a non chiudere il bergamasco.

E non dice una parola su quel che è accaduto nei mesi successivi e che rappresenta un terribile precedente di quel che ci aspetta.


Prima distruggono i contesti di vita di intere popolazioni con lo sfruttamento coloniale e le guerre.

Poi negano la possibilità a milioni di persone, affamate e disperate, di migrare legalmente verso di loro. Allora, vari personaggi organizzano un altro baraccone per farli partire comunque, facendosi pagare profumatamente le loro carcasse del mare o i passaggi di frontiera clandestini.

A quel punto interviene la legge e incolpa di tutto questo ambaradan i soli, veri, unici colpevoli: gli scafisti. Sono loro che portano a morire quei poveracci, e nessun altro.


Credo che nessuna persona onesta potrebbe negare, per tutt'e cinque i casi citati, che le cose stiano così.

Eppure, tutti collaboriamo a rimuovere le cause a monte e proseguiamo a fare di tutto per non intervenire su di esse.

Preferiamo proseguire a non voler vedere: a spostare prostitute e tossici in periferia, a scandalizzarci per i morti in guerra o per il Covid.

A cercare di non far partire i migranti o a relegarli in centri di detenzione e campi profughi.

O, se proprio scelgono di partire e di morire, che lo facciano in alto mare, che i loro corpi e le loro urla non arrivino sulle nostre spiagge, a turbare i nostri irresponsabili sonni.






lunedì 6 marzo 2023

cosa ci siamo meritati

 

'Ma quale merito, la vostra è solo violenza'.

Questo il testo di uno striscione apposto ieri sopra i muri di un liceo milanese da gruppi anarchici.

A fianco, le immagini di Meloni e Valditara impiccati per i piedi.

Come passare dalla ragione (almeno per me) al torto (per quasi tutti, esclusi loro stessi) in un attimo.

Il preside condanna la violenza (dello striscione, non dell'istituzione scolastica) ed il Ministro ha buon gioco a complimentarsi con lui.

Tutti gli attori svolgono il solito copione, con merito, ed il gioco è fatto!


Anarchici sfilano a Torino in appoggio ad un Cospito moribondo.

Distruggono vetrine, automobili, selciati, come dei neri black bloc.

Come partecipare ad un rito insensato, perdendo di vista ancora una volta l'oggetto del contendere: arte in cui certi anarchici (e non solo) eccellono da sempre.

'Studio aperto', intanto, gode, proseguendo a farne spettacolo per i borghesi inorriditi.

Che possono così proseguire a dormire sonni tranquilli e a sognarsi democratici e liberali.

Se lo meritano.


Ho letto sui giornali che Renato Curcio è di nuovo indagato per la sparatoria in cui morirono sua moglie ed un poliziotto e dopo la quale fu arrestato.

Immagino che vogliano imputargli finalmente anche un reato di sangue.

Ricordo che si è già fatto 28 anni di carcere speciale, che ha estinto la pena e che, nonostante questo, non gode -insieme a molti altri- di vari diritti civili (di voto, di lasciare il paese liberamente, ad es.). 

Non se lo è meritato: deve sapere che la vendetta dello stato (soprattutto se uno non si pente), quella che viene chiamata 'giustizia',  non conosce tregua, soluzione o limiti.


Piantedosi e Meloni espongono apertamente la loro soluzione a monte: 'E' molto semplice: non partite!'.

Ed in moltissimi sono d'accordo, anche tra coloro che non lo dicono (ancora), o fingono ancora di essere antirazzisti e filantropi e poi affidano i negri e i musi gialli (oops, scusate, non si può dire...!) ai gentili trattamenti di turchi e libici, da noi stessi molto solidalmente sovvenzionati.

Il premier Sunak guarda oltre i nostri prodi: sta per proporre al Parlamento inglese di abolire il diritto d'asilo per coloro che arrivano sulle coste britanniche con mezzi illegali, indipendentemente dal loro status di partenza.

Non se lo meritano.


Qualche giorno fa, alle Giornate universitarie dell'orientamento, ho dovuto presentare il mio corso a dei liceali trovandomi a fianco un banchetto dell'Esercito che orientava gli studenti verso l'arruolamento e le Accademie militari.

Ho denunciato la cosa presso tutti i miei colleghi di facoltà (umanistiche).

Silenzio totale da parte loro -salvo alcuni soliti idealisti facinorosi- come sempre accade, da un bel po'. Non me la merito, una risposta.


























mercoledì 1 marzo 2023

Dammi un crollino...meglio un crodino!

  

L'altra sera ho visto un film palestinese.

Una famiglia è stata sterminata dai bombardamenti israeliani e quel che ne resta ora non può ricongiungersi: una parte sta in Germania e l'altra nella striscia di Gaza.

Si parlano e si incontrano ogni tanto online.

Ad un certo punto una ragazza dice: 'E' colpa di Israele se non possiamo incontrarci'.

E lo zio risponde: 'No, non è colpa loro. É colpa del mondo'.

Una frase che mi ha colpito come un missile, lì al buio.

Una frase che colpisce ancor più nel primo anniversario della guerra ucraina.

Cosa abbiamo fatto per i palestinesi, e per la loro guerra infinita?

Indifferenza e ipocrisia, sudditanza ai diktat americani, retorica resistenziale: nient'altro.

Non mandiamo inviati a Nablus o a Gerico, non gli dedichiamo trasmissioni ad ogni ora e ad ogni tg, non interveniamo nel conflitto se non come finti mediatori, ripieni soltanto di sensi di colpa e di interessi di parte.

Li abbiamo abbandonati a se stessi: come in Siria, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Libano.

Li distruggiamo con le guerre, ci proclamiamo vincitori, deprediamo le loro vite, e poi scappiamo, quando la situazione si rivela disperata e irresolubile anche per gente come noi.

O facciamo loro la morale: è da irresponsabili prendere i barconi e far morire i propri figli in mare.

Come se potessero fare altro, come se glielo permettessimo.

 

 

Metto in parallelo questa foto: 


Credo sia una buona metafora di quel che siamo, di come viviamo qui e altrove.

Nel mio quartiere hanno iniziato a manifestarsi delle grandi crepe in alcune palazzine antiche.

Case sgomberate, negozi chiusi, strade sbarrate.

Nel giro di un decennio la Marina si è trasformata in un quartiere turistico, gentrificato, invaso da ristoranti, pub, negozietti di gadget, localini da sballo e da spritz.

Molti vecchi locali sono stati trasformati, pesantemente ristrutturati: molte pareti sono state buttate giù e non sempre rimesse su, moltissimi mezzi pesanti caricano e scaricano merci per ore ed ore, un'invasione di gambe, piedi e bocche circola continuamente sulle sue piccole e fragili vie.

Ma tutto questo deve procedere, non si può correggere o ridimensionare, porta tanto denaro.

Poco importa se il quartiere degrada, diventa inabitabile, crolla.

Le soluzioni ci sono: in primo luogo la tecnologia.

Nell'emergenza, piantonare le pareti con impalcature, piloni e pilastri, iniettare cemento liquido, tappare buchi, ricucire crepe, ed altro che avverrà e che non so: una situazione che durerà a lungo, sino a quando non si analizzerà la situazione e non si apporteranno i giusti rimedi per poter proseguire a sfruttare quei luoghi come prima e come se niente fosse accaduto.

Nel frattempo, le persone la risolvono già così, come vedete nella foto: adattandosi alla nuova situazione, come se niente fosse.

Si bevono il loro spritz, serenamente a fianco alle rovine.

Continuano a far la fila, a gustarsi i loro taglieri, a chiacchierare tra amichetti.

Nella nostra comfort zone, sino a quando ci saranno anche solo un briciolo di comfort e un angolo di zone.

Tutti noi -pur circondati, assediati dal disastro- proseguiamo a vivacchiare sino a quando si potrà.

Sino a quando -in un attimo- non ci troveremo asserragliati in casa o in tenda, senza luce e senz'acqua, come sta già accadendo a tanti altri esseri umani, nella nostra indifferenza, in questo freddo inverno.