giovedì 9 marzo 2023

dizionario di traduzione italiano-accademichese

 

Scorro gli altri nomi in lista. Li conosco quasi tutti; dieci anni passati all'Università, del resto, qualcosa dovranno pur lasciare. Tolto Giacomo Mattei, che non ha speranze per definizione, gli altri sono tutti fior di studenti. Gente che si è laureata in tempo, che ha collezionato trenta e lode, ha approfondito, letto molto e fatto l'Erasmus alla Sorbona o a Tubinga.

Gente a cui trent'anni fa avrebbero tenuto un posto in caldo all'Università prima ancora che discutessero la tesi di laurea, e oggi invece te li ritrovi a battersi per le briciole, e tra qualche anno se va bene a insegnare italiano e storia nella Bassa padana all'Istituto professionale 'Germano Mosconi', dove si parla in dialetto, si intercala a bestemmie e i professori sono il gradino più basso della gerarchia sociale e umana. E magari andranno a scuola col kalashnikov il giorno che scopriranno che anche il preside scrive 'po'' con l'accento...


Mi bastano cinque minuti per capire che sono tutti e tre di un altro pianeta rispetto a me, e non mi riferisco soltanto alle nozioni che sciorinano in fatto di letteratura e critica letteraria, ma anche alla conoscenza approfondita della geopolitica accademica...

Pier Paolo snocciola con mirabile competenza trame e sottotrame dell'accademia letteraria italiana: chi ha studiato con chi, chi non sopporta chi, chi ha rubato la moglie a chi, chi ha copiato chi, chi non va ai convegni di chi, chi va ai convegni di chi ma poi ne parla male in privato, chi ha piazzato chi, chi deve un favore a chi, chi non può vedere chi ma se la deve mettere via perché è troppo più potente di lui, chi non ha speranze di avere un posto da chi a meno che non si imponga chi, chi ha stroncato la carriera a chi, chi è dovuto andare all'estero per sfuggire ai veti di chi, chi dall'estero sta facendo la guerra a chi, chi ha riportato il cervello in Italia per farselo maciullare dalle logiche di palazzo, chi scrive un articolo per la rivista diretta da chi al fine di far sdebitare chi e aprire una posizione per chi mettendo i bastoni tra le ruote a chi.

Quando i sistemi di equazioni hanno raggiunto le cinque incognite, ho smesso di seguirlo...


'Però, quante note...', dico.

'Ne ho tagliate un sacco'.

'Maddai'.

'Bè'. Lui mi soppesa un attimo. Sta cercando di capire chi ha di fronte:se uno sprovveduto da istruire e al contempo umiliare o un rivale accademico. Se prima poteva aver avuto un dubbio, adesso sceglie la prima ipotesi, e mi impartisce una lezione introduttiva intitolata 'Come si scrive (e soprattutto cos'è in realtà) un articolo accademico.

'Non si tratta tanto di cultura, quanto di politica. Diciamo 20 per cento cultura e 80 per cento PR. Ora, nel migliore degli scenari scrivi un articolo perché hai una cosa da dire, o comunque vuoi dare un contributo a una discussione su un tema che conosci.

Ma nella maggior parte dei casi gli articoli si scrivono per motivi extraculturali, ovvero semplicemente per fare massa, aggiungere una voce al curriculum, entrare in un volume in onore di qualcuno, creare una relazione con la cordata che dirige una rivista, dare un senso a un assegno di ricerca, produrre un corrispettivo concreto di un lavoro altrimenti inquantificabile, avere punti per ottenere l'abilitazione nazionale o, in un numero non irrilevante di casi, per mera vanità.

Ma poniamo pure che il ricercatore x, o il dottorando y, abbia effettivamente qualcosa da dire: allora pubblica un articolo. La cosa che ha da dire potrebbe ragionevolmente essere detta in mezza pagina, ma pure qualcosa meno, diciamo dieci righe. E allora come si arriva da dieci righe a venticinque pagine? Una parte delle venticinque pagine serve ad accreditarsi:dire cose intelligenti, usare parole che indicano che si è studiato, mostrare che si conosce la dovuta bibliografia, ripercorrere le tappe del dibattito in cui ci si inserisce: insomma far capire che si è titolati per parlare. Un'altra parte serve a far spessore, ovvero a ripetere la cosa che si vuol dire declinandola in svariati modi diversi: se un'idea non la ripeti almeno trenta volte è come non averla detta.

E poi c'è la parte decisiva:le note.

Nelle note si tessono le trame politiche, ovvero si inserisce il proprio scritto nella complessa rete della geopolitica accademica.

Tutti ti diranno che è inelegante citare il proprio mentore:non dargli retta, citalo, citalo sempre,in ogni circostanza, più del dovuto, e sperticati in lodi e ringraziamenti...Ricordati: il tuo mentore è l'univa via che hai per la carriera accademica, e come tale lo devi venerare e riverire.

Dopodichè devi posizionare il tuo lavoro rispetto a tutti quelli che esso lambisce, ovvero a tutti coloro, dotati di un minimo di potere, che hanno trattato -anche tangenzialmente, anche vent'anni fa- il tuo stesso argomento. Ovvero, anzitutto devi citare con aggettivazione le persone potenti, quelle che sono molto vicine al tuo prof e quelle che per qualche motivo ti interessano. Con aggettivazione significa dire cose come 'Mi rifaccio qui al fondamentale contributo di Tizio', 'Non posso non rimandare all'imprescindibile definizione di Caio', 'Muovo ovviamente dall'illuminante saggio di Sempronio'...

Riserva invece le citazioni vaghe tipo 'Confronta il lavoro di de Tizis' o 'Su questo tema si veda anche de Caiis' a personaggi che non puoi non citare ma a cui non intendi tributare alcun merito,e che anzi vuoi in qualche modo sminuire. Assicurati prima che siano professori emeriti, battitori liberi o outsider, ovvero che non contino un cazzo. Infine, e questo è decisivo, non citare mai i nemici del tuo prof o della sua cordata, e fai in modo che l'assenza rifulga, che non passi inosservata...Non citare è un'arte assai più sottile e delicata che citare, ma non meno importante.

In questo sistema differenziale tu dici sì la cosetta che vuoi dire sul sonetto 24 di Petrarca, ma nel frattempo fai delle dichiarazioni di guerra, stringi alleanze, ti inserisci nei rapporti di forza.

Quasi nessuno legge gli articoli che gli mandano, per quello hanno inventato gli abstract, ma quasi sempre si scorrono le note e si legge la bibliografia: lì c'è tutto quello che serve a capire. Anzi, ti dirò di più: da lì si può comodamente dedurre tutto l'articolo. L'articolo è una trascurabile appendice delle sue note: solo gli sprovveduti credono il contrario...


 

'Marcello, non vorrei dirtelo, ma tu hai appena assistito alla madre di tutte le schermaglie accademiche'

'Ma va''.

'Senza esclusione di colpi, proprio'.

'Ma scusa: quello gli ha detto che era colto, quell'altro che era affascinante. Era tutto un 'Sei più bravo tu', 'No, sei più bravo tu'.'

Lui mi guarda con uno sguardo vacuo, come se ancora una volta si chiedesse se ci sono o ci faccio...

'Quando tu in una circostanza del genere dici a qualcuno che è colto è come dirgli che è insignificante, tutto fumo culturale e niente arrosto intellettuale. Capisci? Altro che se è un attacco! ...Che poi, a dirla tutta, Sacrosanti ha fatto di peggio: non gli ha detto colto, ma dotto, che è il gradino inferiore...Dotto significa sostanzialmente 'una palla mortale,per quanto erudita'.

'Allora poteva dirgli erudito', azzardo.

'Bè, non esageriamo: erudito è l'ultimo gradino di questa scala dell'abiezione. Se ti dico erudito significa ' Non solo sei una palla mortale, ma sei pure gratuitamente saccente'. Certo, saccente sarebbe peggio,ma in un contesto del genere non puoi dare del saccente a qualcuno, perchè sarebbe un'offesa esplicita, e qui il gioco sta tutto nell'usare termini positivi per attaccare. Se uno insulta direttamente, ha perso. Non sta nemmeno giocando allo stesso gioco.'

'E affascinante? Morelli gli ha detto affascinante, no?'

'Bè, affascinante si capisce da solo. É un commento che puoi fare a una donna, e pure a una che non è una gran bellezza, che sennò diresti bella. Ma applicato a una lezione -o a un libro- di un professore universitario è evidentemente un insulto...Inconsistente, ecco: affascinante sta per inconsistente. A un certo punto ti sarai accorto che Morelli ha lasciato scivolare anche un agile, riferendosi al modo in cui Sacrosanti spaziava da un autore all'altro. 'Sa spaziare con agilità',ha detto di Sacrosanti. In quel caso agile significa 'superficiale al limite del risibile'...

'E se io dico interessante?'

'Bè, è un termine piuttosto neutro...per cui dipende dal contesto'.

'In che senso?'

'Se commento un articolo o una conferenza di una persona x con una persona y e dico che è interessante vuol dire che sostanzialmente non l'ho ascoltata, ma non mi sbilancio a parlarne male...Diverso però se io dico interessante direttamente all'autore dell'articolo o della conferenza. In quel caso vuol dire: 'Scusa caro, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovare nessun pregio in quello che hai fatto'...D'altro canto, se dicessi interessantissimo lo potremmo tradurre con: 'La conferenza era irrilevante, ma riconosco che tu che l'hai tenuta sei una persona importante'.

'Ma scusa, se uno vuole dire qualcosa di positivo, come fa?'...

'Abbastanza positivo potrebbe essere stimolante. Vuol dire qualcosa come 'infondato ma gradevole'. Altrimenti uno che io amo molto è decisivo: di solito si usa per uno della tua stessa parrocchia, o per uno che dice qualcosa che ti piace sentir dire. Rivoluzionario è molto positivo, ma non si usa praticamente mai, se non per qualcuno che è morto...Illuminante lo userei solo per il mio padrino accademico, o per qualcuno che vorrei lo diventasse. Pionieristico va bene per un professore emerito, a patto che non conti più un cazzo.'

'E se vuoi parlar bene di qualcun altro?'

'Intendi di qualcuno che non è dei tuoi?'

'Sì'.

Lui ci pensa un attimo. 'Non lo so, se si può fare'.


Dario Ferrari, La ricreazione è finita, Sellerio, 2023

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