Da qualche tempo, ogni mattina poco dopo le 8, sento risuonare dal letto l'inno di Mameli, non so se proveniente dal Comando Militare che sta su o dal Palazzo della regione che sta giù.
Dopo aver temuto, criticato e dileggiato il sovranismo-populismo dell'anti-politica, lo Stato si mostra nel suo feroce e gentile sovranismo-populismo di Stato.
Almeno l'altro era più originale, meno istituzionalizzato, più folkloristico.
Questo è il solito refrain del nazional-popolare nostrano: quella strana musichetta che, almeno dal secondo dopoguerra, mette insieme Bella ciao e Fratelli d'Italia, strade ancora intitolate ai Savoia, motti fascisti sui muri dei palazzi insieme ai funerali di Berlinguer e Napolitano che segue a Pertini.
E non che gli altri paesi siano messi meglio di noi: a vedere Biden non ci viene da scordare Trump, a sentire Johnson non sfigura con la Thatcher, assistendo al confronto tra Macron e la Le Pen senti facilmente quel che li lega.
La guerra è soltanto l'ultimo, definitivo collante di un'èlite che si è ormai impossessata degli Stati, non sa più cosa farsene della democrazia, ma ha ancora bisogno di allestire il suo teatro (talk show, elezioni, parlamenti...) per stare in piedi.
La crisi della globalizzazione è causa ed effetto del neo-patriottismo nazionalista.
La tentazione autoreferenziale ed autarchica non va certo insieme con l'interconnessione dei mercati e dell'informazione.
La pandemia endemica ed ora la guerra permanente rendono impossibile il loro precedente intreccio e molto più complicata la loro stessa compatibilità.
Quando, agli inizi del XXI secolo, i cosiddetti 'no-global' avevano posto le basi per una critica ecologica e pro-sociale della mondializzazione sfrenata a cui eravamo sottoposti, sono stati militarmente repressi, politicamente marginalizzati, culturalmente omessi.
L'uscita dal mito 'global' ora avverrà, ma per mano di quello stesso G8 (Russia inclusa) che faceva trincee intorno ad esso, barricandosi allora in zone rosse e reticolati di guerra contro di noi ed oggi attraverso un conflitto armato che li separa tra loro e devasta le società ed i sistemi viventi.
La guerra globalizzata sta prendendo quindi il posto della globalizzazione economica?
Forse si tratta solo della sua ultima, estrema variante.
In tutto questo, che ne è del politico ? E delle ideologie morali o religiose?
Il dominio borghese è da sempre anticristiano ed antisocialista.
Vive la religione solo come affare privato, e lascia la società ai suoi propri affari.
Il socialismo può sussistere in esso solo come solidarismo umanitario e filantropico o sindacalismo embedded (l'involuzione della cosiddetta 'sinistra' sta tutta qui dentro).
Ma, almeno da due decenni, il dominio borghese si è stancato anche di essere liberale.
Come già avvenuto esattamente un secolo fa, le èlites si fanno oggi portatrici di una svolta apertamente autoritaria ed imperialistica.
La guerra in Ucraina, da entrambi i fronti, è soltanto la prima, plastica rappresentazione di questo passaggio anche per noi europei.
I primi segnali ci erano già giunti dagli ex paesi sovietici riuniti a Visegrad.
Ora, approfittando di ben accolte (e mal gestite) catastrofi, i venti dell'est e dell'ovest si rafforzano a vicenda per condurci verso disastrosi esiti comuni: autocrazie, economie di guerra, cataclismi.
Su questi tre ambiti, a breve, le differenze tra i regimi e tra le società, non si noteranno più.
Neppure le apparenze -come è stato sinora- inganneranno più.
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