venerdì 26 settembre 2025

prepariamoci

 Per quanto il nesso tra diritto e violenza sia storicamente indubitabile ed inscindibile, la nonviolenza crede nella possibilità di agire sul diritto per modificarlo in meglio attraverso atti che lo contestino non in quanto tale, ma limitatamente ad un ambito ritenuto, in coscienza, eticamente inaccettabile, socialmente regressivo e/o politicamente controverso. La contestazione (l'obiezione, la renitenza) può essere a sua volta legale (boicottaggio, non collaborazione attiva) o illegale (disobbedienza civile). Da qui il paradosso dell'impossibilità di legalizzare quest'ultima, così come era stato proposto un decennio fa (ma sembra passato un secolo…) dalla Rifondazione comunista di Bertinotti, durante il governo Prodi. In linea di principio e di fatto un'azione nonviolenta (o un attivista nonviolento) può accettare di essere sorretto e difeso dal diritto, nazionale o internazionale, e può utilizzarlo come base 'giuridica' a sostegno delle sue azioni 'politiche'. Lo stesso Gandhi, da buon avvocato qual' era, utilizzava le leggi inglesi contro gli inglesi: ovviamente, per giustificare o difendere le sue azioni e non per sostituirle (come invece, troppo spesso, accade oggi, tempo in cui i diritti vengono reclamati in assenza (o al posto) dell'agire politico). Ma cosa accade quando il diritto, sia in sede statale (vedi, in Italia, ad es. il nuovo decreto sicurezza), sia in sede interstatale (con la crisi del modello regolativo multilaterale e dei diritti civili e umanitari), non può più fungere da dimensione protettiva e arriva anzi a svolgere una funzione repressiva o criminalizzante anche verso un agire limpidamente nonviolento che voglia contestare l'ordine costituito e la logica di guerra?

Riemerge e si evidenzia il nesso tra diritto e violenza di cui sopra e la parola passa, inevitabilmente, a quest'ultima: i nonviolenti ed i pacifici-pacifisti vengono così inglobati in un circuito che si autoalimenta e che si muove tra la violenza di chi non ci sta e si ribella aggressivamente (immediatamente accusato di terrorismo ed accomunato ai criminali) e la violenza degli apparati armati dello stato (polizia ed esercito), esercitata contro-aggressivamente e/o paternalisticamente. L'intervento di Crosetto e Meloni di questi giorni verso i membri della Flotilla appartiene -per ora- a questa ultima categoria: vi proteggiamo, cari ragazzi, ma ve la state andando a cercare e -alla fine- non potremo fare molto per voi se proseguite a sbagliare e ad essere immaturi ed irresponsabili. "Il governo italiano ha preso atto del rifiuto della flottiglia di consegnare gli aiuti in un porto neutrale. Ai partecipanti italiani che volessero fermarsi in Grecia e proseguire in modo sicuro per l'Italia o altra destinazione, l'Italia offrirà assistenza ove richiesto. Per chi prosegue il viaggio con la Flottiglia resta valido l'avviso iniziale, pubblicato su www.viaggiaresicuri.it, che l'iniziativa è sconsigliata. Chi la intraprende si assume in proprio tutti i rischi e sotto la sua personale responsabilità. La presenza di un'unità della Marina Militare italiana - conclude il messaggio della Farnesina - è volta ad assicurare ove necessario l'applicazione della legge di soccorso in mare per eventuali necessità di tipo umanitario. In nessun caso potrà costituire un fattore di difesa od offesa per la flottiglia sul piano militare nei confronti di chicchessia". Le fregate messe in campo dal ministero della guerra stanno per fregare -in ogni caso- i pacifisti: se non interverranno a loro protezione, come appare dal comunicato, potranno sempre dar loro degli incoscienti e giustificare così quel che subiranno; se interverranno a loro difesa (improbabile) potranno autolegittimarsi quale unico baluardo e risposta possibile contro la violenza nel mondo (le armi come soluzioni al conflitto). Tra parentesi: ben diverso sarebbe stato un intervento di polizia internazionale da parte dell'ONU (che, però, ancora una volta, si guarda bene dall'interferire direttamente, come invece dovrebbe e potrebbe).

Potranno, comunque, ancor più proseguire a dirci: 'Lasciate fare a noi…!'. Come se quel che sta accadendo, dopo vari anni di guerra ormai, non nasca proprio dal rifiuto di proseguire ad illudersi che gli Stati vogliano e possano davvero fare qualcosa che non sia la guerra stessa. A questo, e soltanto a questo, si stanno dedicando e si stanno preparando (e non solo a parole, ma con azioni e omissioni). Quando la si vuole fare, i pretesti per scatenarla, con la scusa di difendersi dal nemico (e dai suoi droni che svolazzano nei cieli europei, messi in orbita da chissà chi) si sono sempre trovati (e creati) e si troveranno sempre. E questo vale anche per la costruzione di una strategia della tensione all'interno di ciascun paese: omicidi politici e stragi sono sempre a portata di mano per chi vuole stare al potere con ogni mezzo, come già sappiamo dalla nostra storia cosiddetta 'repubblicana' (guidata sin dalla sua fondazione dai servizi segreti e dagli Stati Uniti, molto più che da parlamenti e partiti).

Perciò prepariamoci al peggio: per la Flotilla e per tutti noi. 

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