Quando i
violenti sono costretti ad aggredire direttamente è un segno di debolezza ed
insicurezza sul loro dominio, non più assoluto e scontato, ma da riacquisire
proprio mediante l’aggressione. Se fossero certi e sicuri del loro potere, non
attaccherebbero così palesemente: eserciterebbero la loro violenza, ma in modi
più accettabili, meno esibiti, meno appariscenti, più coperti. Dover ricorrere
apertamente ad umiliazioni, minacce, ricatti, estorsioni dà l’idea di un potere
in declino. E così è per gli Stati Uniti oggi. Siamo ai colpi di coda finali. Non
possiamo sapere quanto saranno lunghi, dolorosi, distruttivi, terribili, ma sappiamo
che l’impero statunitense, per come si è sviluppato nell’ultimo secolo, è già
finito. Trump lo sa, anche se non può crederci, perché dovrebbe smettere di
essere Trump (e con lui, i milioni di cittadini che l’hanno votato): Make
America great again (MAGA) è uno slogan che esprime un auspicio, ma
soprattutto una constatazione: che gli USA, da tempo, non sono più grandi (cioè,
secondo l’unico modo per loro di sentirsi grandi: essere i più grandi).
Gli Stati
Uniti sanno che i più grandi sono diventati gli altri, i cinesi (che, peraltro,
a differenza dei russi, sono anche ancora formalmente degli orrendi ed inaffidabili comunisti).
Funzionano meglio di qualunque democratura occidentale, almeno sino a quando l’autocrazia
non si realizzi anche da noi, superando infingimenti e remore democratiche che
ancora impastoiano il decisionismo tirannico nella maggioranza dei paesi UE e
negli stessi USA. Ecco perché -sia in America che in Europa- si stanno andando
a demolire questi ostacoli, ormai ridotti a orpelli da democrazie liberali in
stato comatoso da tempo (stato di cui l’avanzata delle destre estreme
neo-fashiste rappresenta l’effetto e non la causa). Rimossi gli ostacoli, e
lasciato (forse) ai cittadini impecoriti soltanto il potere di voto (così come accade già
in Russia, Turchia, Egitto e Tunisia, ad esempio), ci si potrà confrontare con
più leggerezza con i nemici cinesi.
Ma i
cambiamenti di regime interno non saranno sufficienti; è necessario sin da ora
modificare le regole del commercio internazionale: i disastri della globalizzazione
devono essere limitati e superati ora con i disastri del protezionismo. Nella
globalizzazione gli USA stavano già perdendo la partita con la Cina e non
possono andare oltre su quella strada. Tentano quindi di intraprendere la
rischiosissima guerra dei dazi, nel tentativo di riequilibrare i rapporti di forza
a loro favore. Così come, nel piccolo, ha già tentato (e fallito) la Gran
Bretagna con la Brexit. Da qui, dopo aver costretto l’Europa ad allontanarsi
dalla Russia -un’alleanza commerciale ed energetica troppo pericolosa- ora fa
alleanza con quest’ultima per provare a non farla finire definitivamente in
mano cinese (che è quel che la guerra in Ucraina ha determinato come effetto
collaterale, in sostituzione della precedente alleanza tra Russia ed UE) e per spartirsi
insieme -alla faccia di Europa e Cina- non solo l’Ucraina, che di per sé è poca
cosa, ma anche -ad esempio- l’area artica (Groenlandia compresa), notoriamente
e rapidamente in fase di scioglimento climatico.
Più
probabile fallire che riuscire, in tutto questo, a mio (e non solo mio) parere. Ma
-nella logica di chi si estinguerà per ultimo- ha un senso: l’Unione Europea,
già irrilevante ed incapace di porsi da tempo quale potenza politica di
mediazione tra USA e Cina (ma neppure tra Russia ed Ucraina), tenta anche lei l’azzardo
di compensare il suo nanismo politico (ormai irresolubile, d’altronde) con un
inedito sforzo militare. Colpo di coda, a sua volta, che si rivelerà ancora più doloroso, disperato e fallimentare di quello statunitense. Dopo aver infatti propagandato e
foraggiato inutilmente la vittoria ucraina contro l’aggressione russa, dopo
aver ridicolmente auspicato e promesso l’immiserimento e la crisi del regime putiniano,
dopo aver sperato in un ennesimo rinvio del redde rationem negli Stati Uniti e
mentre prosegue ad arrabattarsi invano contro l’avanzata irrefrenabile delle
destre estreme nelle sue democrature, ora procederà ad ottenere anche in questo
campo il risultato opposto a quel che dice di voler raggiungere: desertificherà
ulteriormente l’Europa stessa, le sue conquiste sociali e culturali, la sua
economia e ci condurrà -assecondando il riarmo (cioè la Nato e gli Stati Uniti)
perché dubita dell’ombrello militare sinora goduto (cioè quello della Nato e degli
Stati Uniti)- ad una maggiore deterrenza presunta, ma di fatto ad un sempre più
alto e reale rischio di guerra.
Tutti i
contendenti, sia chi urla ed offende apertamente, sia chi parlotta e trama
sottobanco, combattono sulle sabbie mobili, come direbbe Serres. E più si
agitano e più affonderanno. Poco importa se uno dopo l’altro o simultaneamente.
Poco importa a me, ma -di essere gli ultimi a morire e di non perdere il potere-
a loro importa ancora. Ed è solo per questo che, alla fine, proseguiranno ad
agitarsi e ad agitarci, come se fossimo -noi- soltanto delle mosche da schiacciare
e -loro- delle formiche carnivore impazzite.
Tagliente e fondamentale prospettiva sul presente, dobbiamo svegliarci tutti per navigare meglio in questa tempesta!
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