mercoledì 5 marzo 2025

Se la MAGA non paga

 

Quando i violenti sono costretti ad aggredire direttamente è un segno di debolezza ed insicurezza sul loro dominio, non più assoluto e scontato, ma da riacquisire proprio mediante l’aggressione. Se fossero certi e sicuri del loro potere, non attaccherebbero così palesemente: eserciterebbero la loro violenza, ma in modi più accettabili, meno esibiti, meno appariscenti, più coperti. Dover ricorrere apertamente ad umiliazioni, minacce, ricatti, estorsioni dà l’idea di un potere in declino. E così è per gli Stati Uniti oggi. Siamo ai colpi di coda finali. Non possiamo sapere quanto saranno lunghi, dolorosi, distruttivi, terribili, ma sappiamo che l’impero statunitense, per come si è sviluppato nell’ultimo secolo, è già finito. Trump lo sa, anche se non può crederci, perché dovrebbe smettere di essere Trump (e con lui, i milioni di cittadini che l’hanno votato): Make America great again (MAGA) è uno slogan che esprime un auspicio, ma soprattutto una constatazione: che gli USA, da tempo, non sono più grandi (cioè, secondo l’unico modo per loro di sentirsi grandi: essere i più grandi).

Gli Stati Uniti sanno che i più grandi sono diventati gli altri, i cinesi (che, peraltro, a differenza dei russi, sono anche ancora formalmente degli orrendi ed inaffidabili comunisti). Funzionano meglio di qualunque democratura occidentale, almeno sino a quando l’autocrazia non si realizzi anche da noi, superando infingimenti e remore democratiche che ancora impastoiano il decisionismo tirannico nella maggioranza dei paesi UE e negli stessi USA. Ecco perché -sia in America che in Europa- si stanno andando a demolire questi ostacoli, ormai ridotti a orpelli da democrazie liberali in stato comatoso da tempo (stato di cui l’avanzata delle destre estreme neo-fashiste rappresenta l’effetto e non la causa). Rimossi gli ostacoli, e lasciato (forse) ai cittadini impecoriti soltanto il potere di voto (così come accade già in Russia, Turchia, Egitto e Tunisia, ad esempio), ci si potrà confrontare con più leggerezza con i nemici cinesi.

Ma i cambiamenti di regime interno non saranno sufficienti; è necessario sin da ora modificare le regole del commercio internazionale: i disastri della globalizzazione devono essere limitati e superati ora con i disastri del protezionismo. Nella globalizzazione gli USA stavano già perdendo la partita con la Cina e non possono andare oltre su quella strada. Tentano quindi di intraprendere la rischiosissima guerra dei dazi, nel tentativo di riequilibrare i rapporti di forza a loro favore. Così come, nel piccolo, ha già tentato (e fallito) la Gran Bretagna con la Brexit. Da qui, dopo aver costretto l’Europa ad allontanarsi dalla Russia -un’alleanza commerciale ed energetica troppo pericolosa- ora fa alleanza con quest’ultima per provare a non farla finire definitivamente in mano cinese (che è quel che la guerra in Ucraina ha determinato come effetto collaterale, in sostituzione della precedente alleanza tra Russia ed UE) e per spartirsi insieme -alla faccia di Europa e Cina- non solo l’Ucraina, che di per sé è poca cosa, ma anche -ad esempio- l’area artica (Groenlandia compresa), notoriamente e rapidamente in fase di scioglimento climatico.

Più probabile fallire che riuscire, in tutto questo, a mio (e non solo mio) parere. Ma -nella logica di chi si estinguerà per ultimo- ha un senso: l’Unione Europea, già irrilevante ed incapace di porsi da tempo quale potenza politica di mediazione tra USA e Cina (ma neppure tra Russia ed Ucraina), tenta anche lei l’azzardo di compensare il suo nanismo politico (ormai irresolubile, d’altronde) con un inedito sforzo militare. Colpo di coda, a sua volta, che si rivelerà ancora più doloroso, disperato e fallimentare di quello statunitense. Dopo aver infatti propagandato e foraggiato inutilmente la vittoria ucraina contro l’aggressione russa, dopo aver ridicolmente auspicato e promesso l’immiserimento e la crisi del regime putiniano, dopo aver sperato in un ennesimo rinvio del redde rationem negli Stati Uniti e mentre prosegue ad arrabattarsi invano contro l’avanzata irrefrenabile delle destre estreme nelle sue democrature, ora procederà ad ottenere anche in questo campo il risultato opposto a quel che dice di voler raggiungere: desertificherà ulteriormente l’Europa stessa, le sue conquiste sociali e culturali, la sua economia e ci condurrà -assecondando il riarmo (cioè la Nato e gli Stati Uniti) perché dubita dell’ombrello militare sinora goduto (cioè quello della Nato e degli Stati Uniti)- ad una maggiore deterrenza presunta, ma di fatto ad un sempre più alto e reale rischio di guerra.

Tutti i contendenti, sia chi urla ed offende apertamente, sia chi parlotta e trama sottobanco, combattono sulle sabbie mobili, come direbbe Serres. E più si agitano e più affonderanno. Poco importa se uno dopo l’altro o simultaneamente. Poco importa a me, ma -di essere gli ultimi a morire e di non perdere il potere- a loro importa ancora. Ed è solo per questo che, alla fine, proseguiranno ad agitarsi e ad agitarci, come se fossimo -noi- soltanto delle mosche da schiacciare e -loro- delle formiche carnivore impazzite.

1 commento:

  1. Tagliente e fondamentale prospettiva sul presente, dobbiamo svegliarci tutti per navigare meglio in questa tempesta!

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