domenica 12 febbraio 2023

alle comunità cospitanti

 

Quel che sta accadendo attorno al caso Cospito ci permette di fare alcune ulteriori riflessioni sul rapporto attuale tra lotte nonviolente e ordine giuridico dello Stato.

Il detenuto sta evidentemente attuando una forma di lotta nonviolenta ad oltranza, con coerenza e decisione.

Quel che sta mancando, attorno a lui, è però una collaborazione coerente con la forma di lotta da lui scelta e condotta.

Se si vuole, come pare, aprire una trattativa con lo Stato su un piano di rispetto giuridico ed umano, gli amici e compagni che stanno fuori dovrebbero condividere la matrice non-violenta del suo gesto e smetterla, anche solo tatticamente, di proseguire nelle loro forme di lotta abituali (scontri di piazza, attentati...) o in richieste impossibili e confusive (liberatelo, tutti fuori dal carcere...!), che non corrispondono neppure alle richieste del detenuto (tutte centrate, correttamente invece, sulla fine del 41bis, per lui e per tutti).

Quel che sta mancando a Cospito, quindi, è in primo l'alleanza con i suoi compagni (anarchici e/o dei centri sociali), che non condividono le forme di lotta non-violente e proseguono con i loro rituali contro-violenti, indipendentemente dalle circostanze e dalle stesse scelte del loro compagno detenuto.

Proseguire a parlare dell'anarchismo soltanto in relazione alla violenza significa proseguire a condannarlo all'isolamento e all'incomprensione sociale della sua vera essenza.

Significa collaborare -anche da parte di chi si professa anarchico- alla solita narrazione che dell'anarchia fanno da sempre i suoi detrattori, in primo luogo la Legge e lo Stato.

Ma se si vuole invece trattare con lo Stato, è necessario non lasciargli alibi: in primo luogo, togliergli la possibilità di poter dichiarare -come invece proseguono -e con qualche giustificazione- a fare Nordio e i suoi uomini- che esiste un potere di influenza e condizionamento da parte di Cospito nei confronti del movimento a cui appartiene.

La mossa del cavallo potrebbe teoricamente provenire da Cospito stesso, se avesse finalmente il coraggio di dissociarsi dalle forme di lotta perpetuate dai suoi compagni di strada e ne influenzasse in senso inverso le scelte. Gli converrebbe, in relazione all'obiettivo che si pone.

Ma, sinceramente, sarebbe chiedergli troppo: dovrebbe scegliere di entrare in conflitto aperto proprio con chi (seppur maldestramente e in modi controproducenti) ritiene di sostenerlo e da cui lui stesso ritiene di essere supportato politicamente.

In assenza di cambiamenti di rotta come quelli appena descritti, però, la strada sembra segnata: trasformare Cospito nell'ennesima vittima e martire della violenza di Stato.

Il che rappresenterebbe -oltre che ripercorrere la solita storia- una sconfitta per tutti: per quel che resta del diritto e della politica, ma anche per i movimenti anarchici e le giuste lotte contro quell'abominio antidemocratico rappresentato da sempre dal 41bis.




1 commento:

  1. Riguardo il concetto di " non violenza": penso anzi ho la sensazione che più "non violenti/e " di così adesso non ci riuscirebbe. A nessuno/a, guardie comprese ( "guardia" è sia maschile che femminile) Mi sono fatto il corteo da piazza Vittorio a Largo Preneste insieme agli anarchici in divisa black, in coda, con una decina di cariche delle Forze dell'Ordine. In mezzo ai Black (quello era il colore dell'abbigliamento e del mascheramento) e agli alle agenti. In una decina spegnevano gli ardori guerrieri di entrambi, almeno un paio di Dirigenti delle guardie facevano altrettanto, parlo sempre in coda. È difficile non fare a botte, anzi quasi impossibile, in modo disordinato però ci siamo riusciti, nessun arresto nessun ferito. Ma non potremmo pensare ad un modo organizzato? Una cosa semplice? Un sistema apprezzabile da tutti/e e intendo noi e le guardie.

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