martedì 8 marzo 2022

parole al vento (di guerra)

 

Non farci coinvolgere!

Osservo con soddisfazione che, dopo più di dieci giorni dai primi missili, il sito di Repubblica abbia corretto il titolo 'Il conflitto Russia-Ucraina' in 'La guerra Russia-Ucraina'.

Il conflitto esiste da molti decenni e attraversa diverse dimensioni e livelli: culturali, territoriali, politici, economici.

Quel che si è avviata ora è una guerra, che non è altro che uno dei modi (violenti) di gestire quei conflitti. Confondere guerra e conflitto è un dogma irrinunciabile per chi vuole difendere l'idea che l'unica risposta sia quella militare.

Non possiamo esimerci dall'essere coinvolti in un conflitto come questo, perché ci coinvolge alla radice. Un'altra cosa sarebbe/è farci coinvolgere dalla guerra.

Ma anche su questo livello il mantra del 'non farci coinvolgere' (per quanto resistiamo ad entrare direttamente in campo) mostra evidentemente la corda: siamo già nella lista russa dei paesi 'ostili' e stiamo giocando col fuoco.

Quando l'Ucraina sarà invasa e Kiev occupata, la tentazione ed i richiami ad entrare apertamente in guerra per l'Occidente si faranno pressanti.

Credo che -come ho già scritto- lì tradiremo definitivamente gli ucraini.

L'alternativa sarebbe ancora più tragica e sanguinosa, e si chiamerebbe Terza Guerra Mondiale (nucleare). Non vedo dove sarebbe il guadagno in termini di distruzione e morte per l'Europa e la Russia intere. Per evitare, forse, 100.000 morti ucraini e russi metteremmo a rischio la vita di milioni di persone nel mondo intero.

Credo che, se la follia si porrà dei limiti, l'unica vittima sacrificale è, sarà e resterà l'Ucraina.

Ma, purtroppo per tutti noi, non è detto che questi limiti non possano essere scavalcati, come spesso è accaduto nella stupefacente e terribile storia degli umani.


Non generare escalation!

In ogni prima fase di guerra questo è l'altro mantra d'obbligo per chi dice di volere la pace.

Lo dicevano tutti, prima che iniziasse, e sappiamo com'è andata.

Continuano a dirlo tutti, ora che ci siamo dentro fino al collo, e sapremo come andrà.

La guerra è, per sua essenza, causa ed effetto d'escalation.

Dentro una guerra non può non esserci escalation.

A meno che almeno una delle due parti non disarmi unilateralmente e vada a trattative.

O a meno che non si erga una potenza mediatrice che abbia la forza, il prestigio e la fiducia delle parti per 'costringerle' a trattare e a far cessare il fuoco.

Non mi pare che queste due condizioni si stiano realizzando.

E quindi escalation è e sarà, ancora per un bel po': con buona pace di tutti, la guerra continuerà sino a quando Putin vorrà.

La fase 2, ad occupazione avvenuta, è ancora tutta da vedere.

Rappresaglie reciproche (politiche, energetiche, militari, nucleari?) sono però certe sin d'ora.

Il nuovo dis-ordine mondiale è -comunque- alle porte.


We stand with Ucraine!

Il terzo mantra è 'c'è un aggressore e un aggredito, noi stiamo con questi contro quelli'.

Ogni volta che un bullo aggredisce una vittima sono molte le domande -sistemiche- che dovremmo porci. E comprendere (o almeno ascoltare) le motivazioni del bullo non significa giustificarne le azioni o non cercare di interromperne la violenza in atto.

Se si vuole mediare è necessario non parteggiare.

A meno che non si sia diventati razzisti verso un popolo (compresi i russi anti-Putin ed anti-guerra), e non più contro un governo o uno Stato.

Mi pare ovvio -anche ai nostri occhi oltre che inevitabilmente a quelli dei russi- che non possiamo porci come mediatori se -nel frattempo- diamo armi ed aiuti ad una parte sola.

E se è impossibile essere neutrali, possiamo però sempre provare ad essere equidistanti e multiparziali.

E se non possiamo esserlo noi, è importante trovare qualcuno che ci possa riuscire.

Magari un africano?

Se fossi un africano sarei incazzato nero con noi: dopo un decennio di respingimenti razzisti, ora stiamo per ospitare milioni di bianchi ucraini, a braccia aperte, come se all'improvviso fossero spuntati cuori, abitazioni, lavoro e risorse.

Per farci amare da qualche milione di ucraini, stiamo scegliendo di rafforzare l'odio ed il risentimento nei nostri confronti da parte di miliardi di neri ed asiatici.

Ce li meritiamo di brutto.

Tutto questo 'amore' è ipocrita, anticristiano, buonista ma discriminatorio e razzista nel profondo.

Come sempre, 'we stand with ourselves', e basta.


La democrazia vincerà!

L'ultimo ritornello è 'il crimine non paga, il diritto e la democrazia vinceranno'.

Nel 2019 Putin già dichiarava ad un giornalista che 'la democrazia aveva fatto il suo tempo'.

Come dargli torto?

Tutti i tentativi di 'democratizzare la democrazia' -perlomeno dagli anni 80 ad oggi- sono stati respinti, marginalizzati, ridicolizzati, repressi.

Il ritorno al dispotismo e al (neo)feudalesimo era già nelle cose da tempo: la post-democrazia non l'ha inventata Putin né questa guerra.

La stiamo realizzando ovunque, attraverso le nostre scelte, i nostri mercati, i nostri muri e le nostre guerre.

Che il crimine paga l'abbiamo già dimostrato noi ampiamente.

Che il diritto e la democrazia non vincono contro la violenza e la prepotenza, anche.

In Afghanistan, in Libia, in Siria, in Birmania, a Guantanamo, in Palestina, in Algeria, in Egitto.

Così come in Russia, Bielorussia, Kazakistan o in Turkmenistan, Cina, India e Pakistan.

La democrazia che volevamo esportare con la guerra ora ci si ritorce contro: noi l'abbiamo persa, loro l'hanno rifiutata. In entrambi i casi, per un solo amore: quello per il dominio ed il denaro.

Questa guerra, e quelle che verranno, sono soltanto il consequenziale epilogo della storia nel capitalismo (occidentale).

Una storia che aveva intenzionalmente confuso globalizzazione con cultura planetaria, e sostituito impunemente l'ecologia con il greenwashing, la nonviolenza con il pacifismo, il socialismo con il solidarismo filantropico.

E che continua a farlo, con insistenza spocchiosa, arroganza senza fine e totale assenza di lungimiranza.

Putin guarda all'indietro, propala modelli e orientamenti terribili, ma ha una visione del futuro.

Noi no.



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