sabato 12 marzo 2022

nuovi giochi e vecchi(ssimi)





Il vecchissimo gioco

L'Occidente: 'c'è un aggressore ed un aggredito, noi stiamo con gli aggrediti...'

La Cina scarica su Usa e Nato le responsabilità della guerra: 'Hanno spinto la tensione verso il punto di rottura'.

In sistemica si chiama 'punteggiatura della sequenza degli eventi'.

Risponde alla classica domanda: 'chi ha iniziato?'.

Ogni parte dice e cerca di dimostrare che, in caso di conflitto, ha iniziato l'altro.

Ma, quando si arriva all'aggressione bellica (o ad un omicidio, o anche soltanto ad un litigio con percosse) molte cose sono avvenute prima, coperte o palesi, tra le parti.

Provocazioni, offese, silenzi omertosi, mosse tattiche, appelli inascoltati, rimozioni, mancanze ed insistenze.

La violenza è sempre un circolo vizioso.

Impossibile dire davvero -imparzialmente- 'chi, quando, come' ha iniziato.

Ma è decisivo -per giustificarsi- riuscire a portare l'altro ad aggredire apertamente, in modo tale da poterlo accusare di essere lui, solo lui, l'unico aggressore e che tu, invece, debba necessariamente re-agire 'per difenderti'.

La guerra di difesa vuole sempre apparire tale; per farlo, ha bisogno di dimostrare sempre che il 'casus belli' scaturisca dal comportamento del nemico.

La violenza strutturale (apparentemente non aggressiva) sa sempre come stimolare la violenza diretta (esplicitamente aggressiva e distruttiva).

Vale tra i partner, come tra i gruppi e tra gli stati.

É sempre la solita vecchia storia, quella che stiamo vivendo oggi.

E ci siamo ricascati, ci ricaschiamo ogni volta...



Il nuovo gioco?

La pedagogia delle catastrofi rivela però ancora una volta tutta la sua potenza innovativa.

Quel che sta accadendo -infatti, inevitabilmente- ci costringe a cambiare vita.

Non sarà un'emergenza breve, e soprattutto non sono e saranno di piccola portata le sue conseguenze.

L'emergenza Covid è stata scaraventata in un attimo nell'angolo, scavalcata dal nuovo spettacolo e dalle nuove urgenze. Toccherà anche alla guerra: quando gli ucraini vivranno la loro disfatta militare, la smetteremo ipocritamente di commuoverci, anche i media li lasceranno alla loro triste sorte e sorgerà una nuova, più attraente, emergenza all'orizzonte (non mancheranno).

La guerra ai califfati ora sembra un giochetto, rispetto a questa. Il terrore di stato ci appare -e giustamente- ben più potente, esplosivo ed organizzato dei terrori islamisti.

La crescita economica è di nuovo in coma, boccheggiante: la decrescita (forzata) è d'obbligo, fosse anche soltanto per risparmiare e risparmiarsi qualcosa.

Sul fronte energia, ad esempio: la ricerca di alternative al fossile (petrolio e gas) dovrà – forzatamente- accelerare.

Ma pensiamo anche alle migrazioni: l'accoglienza ai profughi (milioni) sta cambiando, a partire dai paesi più riluttanti, forzati ad agire -in senso opposto ad intenzioni e dichiarazioni precedenti- da esodi di massa senza precedenti (ma antecedenti e inferiori a quelli che verranno).

E pensiamo al cambiamento climatico: si ritorna ai problemi dell'oggi, il futuro può attendere e ri-entrare nei ranghi marginali dell'agenda politica (fatte salve -forse- le eventuali accelerazioni nella ricerca di alternative energetiche di cui sopra). In attesa di nuovi cataclismi che, per qualche ora o giorno, ci riportino a parlarne, invano.

Lo choc della guerra, insomma, ben più della pandemia, potrebbe costringerci a cambiare per forza.

C'è da dubitare che la militarizzazione delle nostre vite in corso possa comportare anche un cambio nelle premesse profonde.

Ma, per scelta o per forza, attraversando la catastrofe, qualcosa di nuovo dovrà avvenire, in questo nuovo ordine mondiale che avanza impetuosamente e fuori controllo.



Il vecchio gioco.

Ma, nell'apparenza del nuovo, fa impressione proseguire a vedere i potenti d'Europa riuniti a Versailles, come un tempo i re di Francia (quelli che erano stati ghigliottinati qualche secolo fa), che -come se niente fosse- si intrattengono a corte, danzano i loro minuetti, si fanno gli inchini e sghignazzano tra loro, prima di emettere i loro terribili proclami, divenuti improvvisamente seri e decisi, bellicosi e fieri di rappresentarci (e sbertucciarci).

Si continua, ogni volta, a coltivare l'illusione che l'Europa unita abbia la forza di liberarsi dei vincoli che hanno oppresso i suoi singoli stati per ormai quasi un secolo.

Un' Europa autonoma ed autodeterminata avrebbe potuto e dovuto svolgere un ruolo di mediazione in questa guerra, senza appiattirsi su USA e Nato e sulla loro politica di occupazione-militarizzazione dell'Ucraina in funzione anti-russa (occupazione iniziata ben prima di quella armata da Putin due settimane fa).

Ma, ancora una volta, così non è. Pur trovandoci in mezzo tra i due blocchi riemergenti, e pur dipendendo enormemente da entrambi, ci siamo schierati dalla solita parte contro l'altra, scegliendo di non poter scegliere mai.

Lo si è capito -un anno fa- quando l'Ema non ha riconosciuto i vaccini 'comunisti'.

Lo si capisce ora quando la Russia torna ad essere il nemico numero uno dell'Occidente libero.

Siamo ancora lì, e non ci si riesce a muovere di un passo.

Le corde che ci legano sono troppo stringenti: lo osserviamo dalla miriade di luoghi comuni, reazioni automatiche, negazione di alternative, atteggiamenti eroistici che ci attorniano senza requie in tv, in rete e nelle discussioni quotidiane.

La guerra appare -coattivamente- come l'unica soluzione, come il vaccino (USA) lo è stato per il virus e la DAD (USA) di Google e Microsoft per l'istruzione.

E chi guarda altrove è solo un traditore della patria, un renitente, un disertore.

Ma val la pena, ancora una volta, di stare dalla parte del torto e di urlare -ancora e sempre: 'non in mio nome!'.

 

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