Col procedere dei giorni e dei mesi, cresce la sensazione di un progressivo sbandamento sui fronti di guerra.
La Russia procede molto lentamente e con gravi perdite nel Donbas e sul Mar Nero.
L'Ucraina, cioè la Nato, non perde troppo, ma neppure avanza o vince.
L'Unione Europea prosegue con le sanzioni, riscontrandone l'inefficacia nei confronti del regime di Putin (che rafforza il suo consenso interno) e la portata depressiva che invece esse iniziano ad avere verso se stessa (che non è mai stata così debole e prona).
Emergono infatti in essa dissensi e divisioni, sinora ben sopite e artatamente silenziate.
Anche in Italia il fronte politico si vede incrinare nella sua iniziale unanimità, con crescenti smarcamenti e distinguo di grillini e salvini dai lettini a sdraio lettiani (gestiti dai soliti bagnini ben pagati del Lido americano, Enrico e lo zio Gianni).
Di negoziati e trattative non si parla neanche più: solo il Papa francescane (che geme per i suoi ginocchi rotti, non potendo parlare, visto il ruolo, di quanto gli girino i santissimi...) pare proseguire -ma solo per un obbligato atto di fede- a crederci.
Nelle trasmissioni e nei dibattiti massmidiotici emergono sempre più fortemente le posizioni contrarie, o perlomeno più perplesse e scettiche, sul senso del proseguire ad armare gli ucraini e a prolungare lo scempio in corso.
La solidarietà e l'accoglienza verso i profughi -terminata la fase romantica- inizia a rivelarsi per quel che è: un boomerang verso chi ospita e un rim-pianto senza ritorno per chi viene ospitato.
Quando la guerra vive la sua impasse e prosegue in ritualismi e disastri che si ripetono senza senso, può solo allungare il suo brodo, allontanare l'attenzione da sè, venire a noia.
Quando smette -come ora- di essere un spettacolo diffuso e circonfuso d'epica e ridiviene quel che è (un massacro totale gestito da militari e rivolto a specialisti della violenza e dell'orrore), l'amore e l'interesse per lei decadono e si tramutano soltanto in malinconici presagi o stanche abitudini di vita e di pensiero.
Quando declinano emozione ed entusiasmo, la propaganda ripiega su se stessa e si affloscia, come un soufflè mal riuscito.
Buone notizie per la pace, quindi?
Per nulla, anzi: quando la guerra rivela apertamente la sua crisi ed il suo fallimento, quello è il momento più pericoloso.
Perchè dà alle parti la convinzione che non stiano facendo ancora abbastanza per vincerla.
Ed entrambe si sentono chiamate ad insistere oltre, ad accentuare gli sforzi, a moltiplicare le menzogne, a armare e riarmare ancora...
La 'cupio dissolvi' anzichè diminuire accelera, in barba a qualunque correzione autoriflessiva e ad ogni autocritica: si è andati troppo avanti per tornare indietro e quindi si va avanti ancora, anche solo per salvare la faccia.
Nelle dipendenze, si sa, si prosegue a bere proprio quando non si sente più il gusto dell'alcool.
Quando i capibanda sbandano ubriachi, lanciano bottiglie e sbraitano contro gli dei, sarebbe meglio non incontrarli per strada, nella notte che viviamo.
Ma perché e come invece si prosegue a seguirli, a votarli, ad affidarsi a loro, qui e lì?
Se loro sono ubriachi (di potere, di denaro, di armi), cosa siamo noi?
PS: se vi interessa, partecipo ad un webinar sulla guerra il 19 maggio alle 18
https://venezia2022.it/verso-venezia/eventi/dettaglievento/15/-/guerra-nonviolenza-decrescita
... " Se loro sono ubriachi ( di potere, di denaro , di armi ), cosa siamo noi?" ... È un interrogativo cruciale e interessante su cui si dovrebbe dispiegare un' imponente riflessione.
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