Se avete voglia, rileggetevi questo:
ciao
SATURNALIA Feste popolari in Roma antica, in onore di Saturno, nelle quali si scambiavano auguri e doni e, soprattutto, era concesso agli schiavi di prendere temporaneamente il posto dei padroni
Quando i
violenti sono costretti ad aggredire direttamente è un segno di debolezza ed
insicurezza sul loro dominio, non più assoluto e scontato, ma da riacquisire
proprio mediante l’aggressione. Se fossero certi e sicuri del loro potere, non
attaccherebbero così palesemente: eserciterebbero la loro violenza, ma in modi
più accettabili, meno esibiti, meno appariscenti, più coperti. Dover ricorrere
apertamente ad umiliazioni, minacce, ricatti, estorsioni dà l’idea di un potere
in declino. E così è per gli Stati Uniti oggi. Siamo ai colpi di coda finali. Non
possiamo sapere quanto saranno lunghi, dolorosi, distruttivi, terribili, ma sappiamo
che l’impero statunitense, per come si è sviluppato nell’ultimo secolo, è già
finito. Trump lo sa, anche se non può crederci, perché dovrebbe smettere di
essere Trump (e con lui, i milioni di cittadini che l’hanno votato): Make
America great again (MAGA) è uno slogan che esprime un auspicio, ma
soprattutto una constatazione: che gli USA, da tempo, non sono più grandi (cioè,
secondo l’unico modo per loro di sentirsi grandi: essere i più grandi).
Gli Stati
Uniti sanno che i più grandi sono diventati gli altri, i cinesi (che, peraltro,
a differenza dei russi, sono anche ancora formalmente degli orrendi ed inaffidabili comunisti).
Funzionano meglio di qualunque democratura occidentale, almeno sino a quando l’autocrazia
non si realizzi anche da noi, superando infingimenti e remore democratiche che
ancora impastoiano il decisionismo tirannico nella maggioranza dei paesi UE e
negli stessi USA. Ecco perché -sia in America che in Europa- si stanno andando
a demolire questi ostacoli, ormai ridotti a orpelli da democrazie liberali in
stato comatoso da tempo (stato di cui l’avanzata delle destre estreme
neo-fashiste rappresenta l’effetto e non la causa). Rimossi gli ostacoli, e
lasciato (forse) ai cittadini impecoriti soltanto il potere di voto (così come accade già
in Russia, Turchia, Egitto e Tunisia, ad esempio), ci si potrà confrontare con
più leggerezza con i nemici cinesi.
Ma i
cambiamenti di regime interno non saranno sufficienti; è necessario sin da ora
modificare le regole del commercio internazionale: i disastri della globalizzazione
devono essere limitati e superati ora con i disastri del protezionismo. Nella
globalizzazione gli USA stavano già perdendo la partita con la Cina e non
possono andare oltre su quella strada. Tentano quindi di intraprendere la
rischiosissima guerra dei dazi, nel tentativo di riequilibrare i rapporti di forza
a loro favore. Così come, nel piccolo, ha già tentato (e fallito) la Gran
Bretagna con la Brexit. Da qui, dopo aver costretto l’Europa ad allontanarsi
dalla Russia -un’alleanza commerciale ed energetica troppo pericolosa- ora fa
alleanza con quest’ultima per provare a non farla finire definitivamente in
mano cinese (che è quel che la guerra in Ucraina ha determinato come effetto
collaterale, in sostituzione della precedente alleanza tra Russia ed UE) e per spartirsi
insieme -alla faccia di Europa e Cina- non solo l’Ucraina, che di per sé è poca
cosa, ma anche -ad esempio- l’area artica (Groenlandia compresa), notoriamente
e rapidamente in fase di scioglimento climatico.
Più
probabile fallire che riuscire, in tutto questo, a mio (e non solo mio) parere. Ma
-nella logica di chi si estinguerà per ultimo- ha un senso: l’Unione Europea,
già irrilevante ed incapace di porsi da tempo quale potenza politica di
mediazione tra USA e Cina (ma neppure tra Russia ed Ucraina), tenta anche lei l’azzardo
di compensare il suo nanismo politico (ormai irresolubile, d’altronde) con un
inedito sforzo militare. Colpo di coda, a sua volta, che si rivelerà ancora più doloroso, disperato e fallimentare di quello statunitense. Dopo aver infatti propagandato e
foraggiato inutilmente la vittoria ucraina contro l’aggressione russa, dopo
aver ridicolmente auspicato e promesso l’immiserimento e la crisi del regime putiniano,
dopo aver sperato in un ennesimo rinvio del redde rationem negli Stati Uniti e
mentre prosegue ad arrabattarsi invano contro l’avanzata irrefrenabile delle
destre estreme nelle sue democrature, ora procederà ad ottenere anche in questo
campo il risultato opposto a quel che dice di voler raggiungere: desertificherà
ulteriormente l’Europa stessa, le sue conquiste sociali e culturali, la sua
economia e ci condurrà -assecondando il riarmo (cioè la Nato e gli Stati Uniti)
perché dubita dell’ombrello militare sinora goduto (cioè quello della Nato e degli
Stati Uniti)- ad una maggiore deterrenza presunta, ma di fatto ad un sempre più
alto e reale rischio di guerra.
Tutti i
contendenti, sia chi urla ed offende apertamente, sia chi parlotta e trama
sottobanco, combattono sulle sabbie mobili, come direbbe Serres. E più si
agitano e più affonderanno. Poco importa se uno dopo l’altro o simultaneamente.
Poco importa a me, ma -di essere gli ultimi a morire e di non perdere il potere-
a loro importa ancora. Ed è solo per questo che, alla fine, proseguiranno ad
agitarsi e ad agitarci, come se fossimo -noi- soltanto delle mosche da schiacciare
e -loro- delle formiche carnivore impazzite.
Chi implorava ed auspicava da tempo un ritorno del Padre ora è stato accontentato: abbiamo un capo degli Stati Uniti che fa commenti sul vestiario dei suoi figli, che li accarezza con promesse e bacetti, gli dà degli scapaccioni a fin di bene e li scaccia da casa se non ubbidiscono. Il modello della violenza paternalistica, tipico della cultura statunitense (vedi Lakoff, Non pensare all’elefante!), ma caratteristico anche di ogni approccio coloniale (occidentale in genere), si è palesato -in tutta la sua potenza ed arroganza dominatrice- nell’incontro di Trump con il malcapitato Zelensky. Situazione consueta, più volte verificatasi nella storia, anche recente, nei rapporti tra l’Occidente e il mondo intero, e -in particolare, tra Usa e Italia (da sempre solo un protettorato della autoproclamatasi democrazia americana). Quel che è diverso è solo il modo in cui ciò avviene: davanti a tutti, in diretta tv e a colpi di clava (e non di fioretto, come il politicamente corretto da diplomatici consiglierebbe). Ed è solo questa, per me, l’unica buona notizia.
Un’altra buona notizia sarebbe quella della rottura del
patto transatlantico, cioè la fine dell’Occidente (Usa+Europa) per come l’abbiamo
storicamente inteso e conosciuto nel XX secolo. Magari fosse! Magari fosse
davvero la volta buona per uno sganciamento dell’Europa dalla Nato e dalle
politiche di guerra degli Stati Uniti. Ma -per quanto la grandeur nazionalista
ed ex-imperiale, mai sopita e mai davvero abbandonata, di Francia e Gran Bretagna
stia riemergendo nella crisi totale della UE- c’è da dubitare che sia già
giunto il tempo di una separazione così radicale, rapida e generalizzata. Credo
invece, purtroppo, che ci terremo sia la Nato (con un incremento del contributo
di ogni stato europeo al suo funzionamento sino al 2.5% del Pil), sia un riarmo
europeo senza precedenti (strombazzato non da Trump, ma da una Von der Leyen
che si sta rivelando le vera nemica della pace nel nostro continente, insieme
ai suoi sodali già citati, Francia e Gran Bretagna, ed alle mosche cocchiere anti-russe
di nuovo conio (Paesi baltici e Polonia, in primis)). Un esercito europeo,
di cui da tempo si parla, andrebbe tragicamente ad aggiungersi (e non a sostituirsi)
alla Nato ed alle forze armate dei singoli stati-membri UE. Un ritorno definitivo, esplicito e totale della
guerra nel nostro continente.
E’ in corso infatti un nuovo richiamo ossessivo e paranoide
alla Madre Guerra, alla deterrenza armata contro un nemico, la Russia, che non
ha alcuna intenzione, né alcuna possibilità, di attaccarci militarmente per
prima. La guerra in corso dimostra che la Russia non è più l’URSS, che il suo
potenziale militare ha già faticato contro un esercito ucraino armato sino ai
denti dall’Occidente, ma complessivamente debole sul terreno in termini di
numeri e di livello qualitativo delle sue truppe. Putin non è così stupido da non
capire che -ottenuta la vittoria di fatto in Ucraina, come sta per avvenire-
dovrà fermarsi. Se la guerra scoppierà (difficile dire ora se nonostante o a
causa della ‘pace’ in Ucraina), non sarà una scelta della Russia; sarà voluta e
preparata dai governanti europei, si svolgerà in Europa e sarà combattuta solo da
europei, senza il sostegno USA (almeno sino a quando Trump sarà al potere). E’
molto più probabile però quindi che scoppi non ora, ma in un futuro vicino, se e
quando i cosiddetti ‘democratici’ americani tornassero al potere e
appoggiassero una guerra anti-russa, combattendo nuovamente a fianco degli
eserciti europei (o dell’Esercito europeo, se mai ci sarà).
Nell’attesa, si scalderanno i motori: si rinnoveranno gli
arsenali, si creerà un clima di militarizzazione e repressione crescente all’interno
dei nostri Stati, si proseguirà a scardinare quel poco che ancora resta delle istituzioni
regolative liberal-democratiche fondate sul diritto, ormai giunte al capolinea da
tempo e per le quali non si possono prevedere né auspicare miracolistiche
resurrezioni. Il mare si è mosso, gli oceani si espandono e stanno allontanando
tra loro i continenti, assistiamo ad una apparente accelerazione dei processi
di trasformazione dell’ordine (disordine) mondiale, ma la palude nella politica d'antan degli stati nazionali e i minuetti impaludati dei ridicoli consessi
internazionali multilaterali proseguiranno purtroppo ancora per qualche tempo. La terza guerra mondiale
può attendere, forse, quindi, ma è certo che quel che ci attende nei prossimi
anni sarà doloroso, terribile ed assurdo almeno quanto lei.
Cari e care, ancora un riassunto di un lavoro fatto in questi giorni su Danilo Dolci, in Facoltà...
Ma è l'ultimo, ora smetto, non preoccupatevi....
DANILO DOLCI: POTERE DELLA NONVIOLENZA E
VIRUS DEL DOMINIO
1.
IL POTERE NON E’ DOMINIO
Le espressioni potenziale, potenziare indicano nella direzione di avere la facoltà, aver vigore e
efficacia, concreta possibilità di fare, forza, virtù, capacità di produrre o
subire mutamenti. Impotente può significare non
fertile. La
confusione o, peggio, l’identificazione tra POTERE e DOMINIO non sorprende in
certi bassifondi ma diviene perniciosa quando emana dai dotti delle Università:
quando ad esempio si trova in una delle più prestigiose Enciclopedie
contemporanee che “è Potere sociale la capacità di un padre di impartire
comandi ai figli, o quella di un governo di impartire comandi ai cittadini…il
potere di un superiore militare concerne una sfera di attività che comporta
spesso la probabilità di uccidere o di essere uccisi”. In quanto questa
dottrina penetra condizionando ambiti sociali e politici…nessuna meraviglia di
fronte a quanto succede nei luoghi in cui ‘si formano i cittadini’, nelle
scuole.
(D.
Dolci, La creatura e il virus del dominio, 1987, p. 69)
Come
è vero che ‘non si può non comunicare’, così è altrettanto vero che,
comunicando, ‘non si può non esercitare potere’. In ogni comunicazione,
infatti, è presente un livello di notizia (esplicito) ed un livello di comando
(metacomunicativo, implicito): è il secondo ad esprimere le definizioni, le
posizioni e le proporzioni di potere presenti nella relazioni in atto.
Non
è possibile quindi informare senza formare.
Se
la comunicazione si riduce a trasmissione unidirezionale (televisione) o a
interazione virtuale formattata dall’alto (tecnologie digitali) la formazione
delle menti che vi sono trovano coinvolte sarà quindi imposta secondo modalità
violente, in cui il potere si trasforma in vero e proprio dominio, in quanto
una parte si è assicurata unilateralmente il potere di condizionare e comandare
i processi comunicativi, senza dover a sua volta riconoscere una reciprocità comunicativa nei suoi confronti da parte di chi ne
usufruisce.
La
massa. Come si può pretendere che gente ridotta per secoli o millenni poltiglia
dolente, possa un mattino svegliarsi libera, capace di esprimersi
creativamente, capace di organizzarsi coordinandosi?...Ancora oggi
autorevolissimi psicopedagoghi politici predicano necessario ‘portare il popolo
a nuova forma di vita’, ‘che la massa segua’, ecc. ecc. Psicologia, pedagogia e
politica da cargo…Tant’è: un organismo avverte e sceglie, una pasta no. (Dolci, idem, pp.95-6)
La comunicazione di massa non esiste. (Dolci, Dal trasmettere al comunicare, 1988)
L’idea
che il potere escluda la libertà è dura a morire. Eppure è falsa. Il potere di
Ego raggiunge il massimo proprio nella situazione in cui Alter si sottopone
volontariamente alla sua volontà. Ego non si impone su Alter. Il potere libero
non è un ossimoro. Significa che Alter segue Ego in piena libertà. Chi vuole
raggiungere un potere assoluto dovrà fare uso non della violenza, ma della
libertà dell’Altro. Tale potere si raggiunge nel momento in cui la libertà e la
sottomissione combaciano. (Byung-Chul
Han, Che cos’è il potere, pp.13-14, 2019)
Questa
condizione di assoggettamento, di servitù volontaria, appare e viene offerta ed
assunta oggi -paradossalmente- quale forma della libertà suprema, assoluta ed
illimitata.
Liberazione
e ri-evoluzione nonviolenta oggi significheranno quindi in primo luogo questo:
liberarsi della libertà.
2.
IL
DOMINIO E’ UN VIRUS
Quale
enorme forza sarebbe generata se ognuno al mondo sapesse il più esattamente
possibile cosa è un virus. Quale enorme forza sarebbe generata dalla chiara
coscienza, in ognuno, dei danni del dominio. Più medito le analogie tra virus e
dominio e più penso come è necessario siano riconosciute dalla coscienza del
mondo -per maturare un modo di vedere, una cultura che aiuti a vivere…
Seppure
stentando, la gente ora riesce a intendere come le virosi siano malattie
-mentre innanzi uno stabilimento che stampa monotoni operai a eseguire
identiche macchine (anche micidiali, come le armi e le bombe) sovente è
stupita, affascinata, ipnotizzata: soprattutto se i padroni sanno gestire una
squadra di calcio che vince, o barche a vela in cui può vagare la fantasia di
chi se ne sta a subire -come foreste spogliate ad esaurirsi- le velenose arie
dei padroni….
Il
vecchio dominio non si presenta truce, ma sa riciclarsi benedicente
benefattore…
Alla
scoperta si intromettono anche specifiche difficoltà: all’occhio nudo i virus
non sono visibili…Se ognuno potesse partecipare alla verifica, allo svelamento
(pur la polvere sovente è folta di invisibili acari), il mondo potrebbe
euristicamente trasformarsi. Non solo di molte informazioni ora a noi caotiche
potremmo cogliere il disegno, ma le stesse scienze non potrebbero non tenerne
conto: anche l’economia, oltre la filosofia morale e la prassi quotidiana. Per
impedire le intrusioni vorali di ogni tipo occorre riconoscere i diversi virus
dai loro specifici connotati, riconoscerne in tempo l’essenza intimamente
distruttrice, acuire la sorveglianza nel proteggere la propria identità,
sommuovere gli ancora sopiti sistemi immunitari per una pronta difesa.
(Dolci, idem, pp.85-90 passim)
Il
dominio è come un virus invisibile, che passa impercettibilmente su di noi,
dentro ed attraverso le comunicazioni e le azioni, percorrendo le strade della
metacomunicazione che implicitamente dà ordine e dà gli ordini alle nostre
vite.
La
metafora virale di Dolci è stata resa ancora più inquietante ed esemplificativa
per noi che abbiamo di recente vissuto proprio l’esperienza della pandemia, con
tutte le sue conseguenze in termini esistenziali, comunicativi, sociali e
politici.
La
necessità costrittiva della cura ha permesso allo Stato di esercitare sui
cittadini un dominio relazionale e contestuale che non aveva ancora avuto
precedenti nella storia delle democrazie occidentali e che rappresenta
indubbiamente un pericoloso ed inquietante avamposto dei sempre più probabili
dominii di domani.
L’esperienza
dello stato d’animo dominante per ciascuno di noi è e sarà la paura.
Certe
persone hanno interesse nel mantenere il silenzio. Altre hanno interesse nel
seminare odio basato sulla paura. La paura produce denaro, produce leggi,
prende la terra, costruisce insediamenti, e la paura ama tenere tutti nel
silenzio. E, ammettiamolo, in Israele in quanto a paura siamo molto bravi, la
paura ci occupa. Ai nostri politici piace spaventarci. A noi piace spaventarci
l’un l’altro. Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma
non si tratta di sicurezza, si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la
terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro. Ha a che fare con il
controllo. Che significa potere. (C.
Mc Cann, Apeirogon, 2021)
3.
LA
FORZA NON E’ VIOLENZA
Riuscire
a rendere visibile il virus del dominio e a sganciarlo dal concetto di potere
rappresentano le basi da cui poter iniziare un percorso verso un potere
nonviolento.
Ma,
per arrivarci, c’è ancora da compiere un passo nella trasformazioni delle
premesse su cui prospera la dominazione a cui siamo sottoposti:
FORZA,
come termine, può essere espressione di potere o di dominio. Il rapporto del
gatto con il topo è una delle espressioni del dominio…Ma anche la primavera ha
un suo potere sui boccioli dei prati, anche la levatrice, anche il seminatore,
e anche il medico. (Dolci, idem, p.95)
Cosa
intendiamo automaticamente per ‘uso della forza’ (noi esseri comuni, ma anche
la stessa Carta dell’ONU) ?
Soltanto
la violenza. La nonviolenza è sorta per dimostrare che esiste un altro tipo di
forza, che non coincide con la violenza e che può realizzare un potere
nonviolento, cioè un potere che non crea dominio, ma che lo smonta. Come?
-
Esplicitando
e slatentizzando i conflitti coperti, rendendo visibili le violenze strutturali
e culturali che il dominio occulta e di cui si nutre; le denuncia, le boicotta
e le costringe ad emergere in forme palesemente aggressive (anche mediante la
repressione violenta verso chi vi si oppone, anche nonviolentemente);
-
Facendo
riprendere potere (empowerment) a chi non lo usava e l’aveva ceduto ai
prepotenti di turno; uscire dalla passività coatta e collusiva per togliere
potere a chi lo occupa abusivamente e se ne è assicurato apparentemente il
monopolio;
-
Agendo,
stimola cambiamenti e trasformazioni nelle situazioni date, nello status quo
(ed in questo è simile all’azione rivoluzionaria violenta), ma anche e
soprattutto nelle premesse dell’azione stessa (ed in questo se ne differenzia
essenzialmente).
Chi
insiste nell’affermare che “i conflitti di interesse tra gli uomini sono in
linea di principio decisi mediante l’uso della violenza…come in tutto il regno
animale”, esprime l’ottica del dominatore, di un complice dello status quo. Chi
di fronte ai danni pur letali dei virus vuol resistere intelligentemente, non
pensa trovarsi di fronte una fatalità ma cerca nelle cause come
risolvere…Problema essenziale da risolvere non è certo trovare dall’esterno
‘una possibilità per dirigere l’evoluzione psichica degli uomini’, ma operare
via via attraverso diagnosi e iniziative anche alternative che, da luogo a
luogo, svegliando al proprio vero interesse, educhino dall’intimo la gente al
proprio organizzarsi creativo. In modo che l’unione dei più deboli, l’unione di
molti sia ben altro che ancora sempre violenza…Non basta il pacifismo
idiosincratico alla guerra…Chi pensa indispensabile, inevitabile l’odio
distruttivo è un malato, che tende a rappresentare il mondo generalizzando la
propria condizione. (Dolci, idem, pp.97-8)
Ieri ho fatto una breve lezione online ad un corso per insegnanti... Più o meno ho detto questo:
Ecologia della lezione e stili ludici di insegnamento-apprendimento
Inoltre
si negava che il piacere sia un bene per il fatto che esso sarebbe un
impedimento. Ma il sostenerlo proveniva ad essi da una visione errata…Ma perché
la conoscenza non può essere un bene, se essa produce il piacere che proviene
dalla conoscenza? E questo piacere sarebbe un impedimento? Certamente no, anzi
esso intensificherà l’azione. Il piacere infatti è un incentivo a intensificare
l’azione da cui esso proviene. Poniamo infatti che un uomo buono compia delle
azioni secondo virtù, e che le compia con piacere: non sarà forse per questo
molto più attivo nell’azione? E, se egli agisce con piacere, egli sarà
virtuoso, mentre se invece compirà le azioni buone addolorandosi, non sarà
virtuoso. Infatti il dolore accompagna ciò che avviene per costrizione; e chi
agisce per costrizione non è virtuoso. Ma invero non è possibile compiere le
azioni virtuose senza provare dolore o piacere; lo stato di mezzo non esiste.
Perché? Perché la virtù riguarda la passione, e la passione riguarda il piacere
e il dolore; e qui non vi è uno stato di mezzo. E’ dunque evidente che la virtù
sarà accompagnata da dolore oppure da piacere…ma la virtù non potrà essere
accompagnata da dolore; quindi sarà accompagnata da piacere. Non solo, dunque,
il piacere non è un impedimento, ma è anzi un incentivo all’azione, e, in
genere, la virtù non può essere senza il piacere proveniente da essa.
(Aristotele,
Grande Etica, 1206a, 1-26)
1.
Perché
, seguendo il motto del ‘pathein mathos’, siamo ancora convinti che per imparare
e conoscere si debba soffrire?
Perché la
scuola è ancora oggi vissuta come una penitenza da sopportare per studenti ed
insegnanti?
Perché non
riusciamo a credere che si possa godere di una lezione ludica ed ecologica,
senza che questo rappresenti un impedimento, ma anzi uno stimolo alla
concentrazione, alla motivazione e all’impegno?
La prima
risposta è sempre proiettiva ad autogiustificante: è colpa del ministero,
sentenziano i dirigenti; è colpa dei programmi e dei registri, esclamano i
docenti; è colpa dei professori annoiati, noiosi, pigri e sadici, denunciano
gli studenti.
E tutto
questo presenta delle parti di verità e di realtà: l’istituzione scolastica non
è strutturata da premesse e principi didattici e psicopedagogici moderni e democraticamente
evoluti, ma si rifà ancora -di fatto, al di là dei pronunciamenti retorici ed
autocelebrativi- a modelli mutuati da istituzioni amanti del controllo (aziende,
uffici burocratici, caserme, ospedali, manicomi…).
Questo
tipo di premesse antiquate, pre-ed anti-repubblicane, si rivelano oggi ancora
più inefficaci e superate in una fase in cui noi tutti, e soprattutto le
giovani generazioni, siamo sottoposti forzatamente e senza scampo ad una
pedagogia sociale prepotente e invasiva come è quella -super-dopaminica-adrenalinica-
del consumo illimitato, dello scrolling senza requie e della digitalizzazione totalitaria.
Quel
piacere che si prova a vivere in una ‘second life’ così appagante, facile,
gratuita e smart, non può trovare un valido ‘competitor’ nella pedagogia del
dolore che ancora si propina nei contesti scolastici tradizionali.
In
risposta, ci si illude di aver trovato una soluzione al problema con lo
scimmiottamento delle mode dominanti ed il marketing banalmente innovativo-attrattivo,
applicato ad istituzioni decrepite:
Squilibrio
sterminante tra insegnare (cosa si insegna?) e educare. Su un giornale, sotto
il grande titolo LA SCUOLA SI RINNOVA compare il sottotitolo esplicativo:
Sempre più consistente la dotazione di televisori a colori nelle scuole. E su
un altro giornale: Nelle scuole ci sarà un computer ogni tre studenti. (da ‘La
creatura e il virus del dominio’)
Era il
1987, ma Danilo Dolci già intuiva la grande e terribile mistificazione in corso,
ed ancora -e sempre di più- in azione oggi. Ma la scorciatoia
soluzionista-tecnologica mostra la corda e non fermerà la dispersione
scolastica (che non è fatta soltanto da chi lascia la scuola, ma anche da chi
arriva a prendere un titolo senza coglierne il senso, senza piacere e senza
motivazione, disperdendo i suoi talenti).
Perché -se
anche fosse vero che andar bene a scuola fa stare meglio a scuola- è ancora più
vero che per poter andare bene a scuola si deve stare bene a scuola. Lo star
bene (e torna qui la dimensione del piacere) rivela la sua preminenza, anche in
vista di un buon rendimento che, salvo i rari casi di studenti automotivati
allo studio per motivi vari (familiari, personali, casuali), va a dipendere
strettamente dalle condizioni contestuali e relazionali, dal clima e dagli
stili di insegnamento-apprendimento, in cui lo studente si trova a vivere e ad
operare.
2.
Ma
se trovo inutile e nociva la via intrapresa, non posso esimermi dal ri-proporre
qui -almeno in estrema sintesi- una visione ludico-ecologica-nonviolenta del
lavoro scolastico, che ogni docente può provare a realizzare anche nelle
ristrettezze delle condizioni date.
- 1. E’
prioritario saper e voler allestire contesti di relazione accoglienti, improntati
alla circolarità, al dialogo aperto, al rispetto dell’equivalenza di valore tra
persone, all’interdipendenza dei corpi, delle menti e dei volti. La frontalità
non può essere quindi la norma, ma solo l’eccezione. Ed il lavoro in aula dovrà
essere continuamente alternato con fasi all’aperto, in natura, sul territorio.
- 2. Per
sentirsi parte di un sistema ecologico, è fondamentale una co-costruzione non
unidirezionale delle domande e delle risposte: l’insegnante si trasformerà in
facilitatore dei processi formativi in fieri, mediante una gestione dinamica
delle presentazioni-spiegazioni, una continua interattività dei rimandi e dei
riscontri, una didattica coinvolgente ed incidentale.
- 3. Se questo avverrà, noi mireremo a trasformare la lezione ed a renderla intrinsecamente ed immediatamente a)motivante (capace di creare piacere ed interesse in quanto tale), b)sufficiente (che non necessita più, quindi, di punitivi ‘compiti a casa’), c)orientante (in quanto appassiona e rivela vocazioni in itinere), d)valutativa (riducendo valore e frequenza delle interrogazioni individuali, separate dal processo formativo).
Se
tutto questo avviene, si potrà dire di aver avviato un processo educativo
caratterizzato da ludicità, ecologia e nonviolenza e di aver posto le
condizioni adeguate per una condivisione-co-costruzione dell’azione didattica.
Niente
di nuovo sotto il sole, direte voi. Ma,
dopo averne scritto e parlato per decenni, va fatto.
In
sua assenza, sarà mistificante ed illusorio proseguire a spendere tempo e
denaro per animare la scuola dall’esterno, affidarsi a tecniche e tecnologie
sempre più mirabolanti o a progetti formativi da parte di esperti.
La
scuola crea dispersione e questa dispersione è motivata da vari fattori,
interni ed esterni alla scuola stessa.
Su
quelli esterni possiamo far poco, direttamente.
Ma
possiamo influire positivamente anche su di essi, se inizieremo a rifondare il
nostro lavoro nel senso che qui ho provato -sommariamente- a tracciare.
Qualche giorno fa ho presentato questo intervento ad un convegno...sono solo degli appunti sparsi, ma li condivido volentieri...
Giochi del corpo e senso della terra
Il fatto
è che i bambini non nascono parlanti né camminanti: queste sono abilità
corporee il cui sviluppo presuppone un ambiente che include educatori
competenti, una serie di oggetti e piani di supporto, e un certo mezzo o
terreno d’azione…Il loro sviluppo dipende da un processo d’apprendimento che si
radica in contesti di interazione con altre persone e cose…Ciò conduce
inesorabilmente a una conclusione: che
la nozione di capacità è vuota, a meno che non si riferisca a tutta una serie
di condizioni che devono essere soddisfatte, non solo nella costituzione
genetica dell’individuo ma nel suo ambiente circostante, affinchè lo sviluppo
successivo delle caratteristiche o capacità in questione sia realmente
possibile.
(T. Ingold, Ecologia
della cultura, 2016 )
L’altro
giorno cercavo una strada in un quartiere a me poco noto: fermo una ragazza e
le chiedo se sa dove stia la via tal dei tali: lei mi sorride e risponde ‘ora
cerco sul cellulare’. Era la strada accanto a quella dove vive lei, si sente
presa in castagna e si scusa: ‘faccio fatica a geolocalizzarmi nel mondo’
( W.
Siti, C’era una volta il corpo, 2024)
Se è vero
che, come dice la Montessori, lo sviluppo mentale del bambino avviene coll’uso
del movimento, cosa sarà (cosa è già) della nostra mente, se stiamo diventando
incapaci di situarci spazio-temporalmente e di muoverci adeguatamente sulla
terra conosciuta, ma ignota?
L’anima,
senza il corpo, gioca
(Petronio, cit. da Borges)
Ma il corpo
senza corpo perde l’anima e non gioca
Si perde la nostra capacità, possibilità, attitudine a giocare, a metterci in
gioco:
Metterci
il corpo significava che si può pensare solo agendo, e che si può agire solo
pensando. Metterci il corpo voleva dire, inoltre, esporsi. Mettersi a
repentaglio non soltanto nello sfidare o oltrepassare i limiti della legalità,
ma anche quelli della propria vulnerabilità. In un mondo di spettatori, clienti
e consumatori, la vita poteva ridiventare nostra solo mettendo in comune il
corpo, facendo cose insieme, condividendo lo spazio e il tempo…
(M. Garcès,
Occupare la speranza, 2024)
La Garcès
usa l’imperfetto, un tempo del passato, non troppo lontano, parla del 2000, ma
che sembra ora remoto.
Oggi, la perdita
del corpo, l’evoluzione verso un corpo virtualizzato, digitalizzato conduce
necessariamente anche ad una forte desensibilizzazione verso i corpi altri, verso
la violenza, gli omicidi, i genocidi in corso.
Il potere
è un fenomeno del continuum. Offre a chi lo detiene un ampio spazio del sé.
Questo spiega come mai la perdita totale del potere sia vissuta come una
perdita totale di spazio…Quindi la perdita totale di potere viene vissuta come
una specie di morte…
(B.Chul-Han,
Cos’è il potere?, 2019)
Conduce ad
una evidente disattivazione di noi stessi, che restiamo impotenti, senza
azione, senza politica, in una dimensione di insensibilità crescente, di anestesia,
di assenza di una reazione psicofisica,
se non la sola paura:
Certe
persone hanno interesse nel mantenere il silenzio. Altre hanno interesse nel
seminare odio basato sulla paura. La paura produce denaro, produce leggi,
prende la terra, costruisce insediamenti, e la paura ama tenere tutti nel
silenzio. E, ammettiamolo, in Israele in quanto a paura siamo molto bravi, la
paura ci occupa. Ai nostri politici piace spaventarci. A noi piace spaventarci
l’un l’altro. Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma
non si tratta di sicurezza, si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la
terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro. Ha a che fare con il
controllo. Che significa potere.
(C. Mc Cann,
Apeirogon, 2021)
Questi
nostri corpi spenti, soli , isolati (ma con tanti like) ci conducono ad una dimensione
pubblica impaurente, a temere il giudizio, a ricercare la performance e a
subire un’ansia di prestazione senza precedenti e senza rimedio (soprattutto
per le giovani generazioni).
Il Fashionismo
ratifica la perdita di potere del corpo (se non in termini seduttivi e
di attrazione apparente) e spinge verso il potere sul corpo: un corpo
sempre più truccato-tatuato-liftato-manipolato-mistificato-esibito-formattato: in
posa.
‘Come se
ciascuno di loro, nel suo linguaggio nonverbale, mi dicesse: io non sono uguale
a nessuno ma desidero somigliare a tutti. Come se fossero un algoritmo vivente.
(ancora da Siti)
Ma, senza il
corpo, restiamo anche senza mente: l’errore di Cartesio trionfa, ma il sum non
è più neppure cogito.
L’ embodiment
, che va perdendosi nell’umano, diviene caratteristica ed aspirazione dei robot
e dell’AI, capaci di propriocezione e di autoapprendimento ricorsivo: qui viene
trasferito anche il cogito del futuro
La
filosofia annaspa nello sforzo di giustificare se stessa. I dipartimenti di
umanistica si dedicano ai grafici quantitativi per raggranellare fondi,
l’assurdità dell’esistere si è spicciolata in senso comune; sempre meno il
corpo umano è misura delle cose, anzi i corpi tendono a schermarsi dietro gli
oggetti e quasi a rattrappirsi in loro, come se l’anima si fosse ritirata
nell’inanimato …L’Occidente ha abdicato all’esplorazione coraggiosa
dell’esistenza: il corpo esce da sé non per entrare in altri mondi ma per
sottrarsi a questo in cui si sente così spiazzato. Il corpo è l’unica cosa
sicura che abbiamo ma non è più ratificato da costruzioni collettive, lo spazio
non si organizza più intorno a lui. (ancora da Siti)
Che fare?
Qui si vuole
proporre un tentativo, un esperimento di compensazione rianimativa mediante il
rapporto con l’animalità e con il vivente non umano.
Attraverso
un Educarci all’Aperto (in natura,
all’apertura mentale, a quel che si apre, si lascia aprire ed è aperto)
La visione zooantropologica
può aiutarci ad andare avanti, in un post-umano che vada oltre l’uomo, ma si
apra all’ecologia della mente-corpo.
Vi lascio
per un po': con questo poco di ordine che sono riuscita a fare intorno a me.
Vorrei tacere per qualche tempo e andarmene a giocare con la terra e con il mio
corpo. Arrivederci.
(G.
Sapienza, Lettera aperta, 1967 )
Qualcuno continua a chiedermi perchè non scrivo più su questo blog o altrove.
Credo che la risposta la stiano dando, ancora una volta, i fatti.
L'accelerazione catastrofizzante a cui stiamo assistendo, ammutoliti, ci dice perchè nè scrivere nè parlare oggi abbiano più un senso, nè storico nè politico.
Il mondo che abbiamo conosciuto (e che si rivela oggi come pura apparenza già da allora) è scomparso da tempo, ammazzato dalla globalizzazione dei mercati e dell'informazione digitale.
Stiamo assistendo soltanto al suo seppellimento -spero definitivo, ma so che purtroppo non sarà così, ed è soprattutto per questo che dispero.
E' terribile vivere questo funerale, lo capisco, ma è un ulteriore passo avanti nella chiarezza su quel che siamo e siamo sempre stati.
Trump e Netanyahu sono soltanto più sfacciati dei loro predecessori e colleghi governanti, che facevano e fanno le stesse cose, ma in modi più coperti e gentili (liberal-democratici).
Lo fanno senza remore o scrupoli, saltando i convenevoli e le retoriche della cosiddetta civilizzazione occidentale (che è da sempre andata avanti a forza di stragi, colonizzazioni e stermini, a stento e malamente camuffate da ideologie del rispetto e delle buone creanze).
E' questo che ci disturba e ci inquieta?
Che i ricchi della finanza e della tecnocrazia, i produttori di armi e gli immobiliaristi vadano direttamente e apertamente al potere, senza più nascondersi dietro i politici di professione?
Che si proceda con la politica di potenza e con le ragioni di stato, senza farsi più rallentare dalle leggi, dai diritti, dalle dichiarazioni umanitarie, dai patti multilaterali, dai richiami alla misura?
Che la guerra e la distruzione della natura procedano a fare strage, senza più far finta di accordarsi su regole, limitazioni, soluzionismi di facciata, rimedi che sono peggiori del male?
Che gli stati nazionali perdano la faccia e si preparino ad ufficializzare l'ingresso in una nuova età imperiale e feudale, che li fa fuori o al massimo li utilizzerà soltanto come bau bau militare ad uso interno, contro i propri cittadini ?
Che l'Unione Europea si riveli sfacciatamente solo come una marionetta agitata dalle lobbies e dalle banche e come un' irrilevante appendice della Nato e degli Stati Uniti?
Preferivamo vivere nel mondo di prima?
Era lo stesso mondo, ma noi potevamo ancora permetterci di far finta di niente e trasferire il disastro su altri. Ora -è questa la differenza, non da poco, lo ammetto- tocca anche a noi.
La battaglia per stabilire chi si estinguerà per ultimo (perchè soltanto questo alla fine sarà il risultato per chi riuscirà a sopravvivere sino alla fine) è iniziata.
Il resto sono soltanto discorsi fatti da spacciatori di droghe, di speranza ed illusioni per chi ancora è disposto a crederci e a votarli (le omelie di Mattarella, le filippiche di Draghi, gli inviti a cena di Macron, i politici 'onesti' e 'diversi', le lamentazioni e le promesse delle èlites, gli auspici dei buoni di turno, etc etc...).
Anche Trump e Musk spacciano fake news, come tutti. Ma il falso diventa in loro talmente evidente da rivelarci la verità (cosa che non accadeva più da tempo con i nostri spacciatori abituali).
In tutto questo, come umanità potremmo e dovremmo riconoscere -finalmente- questa unica, terribile, verità: di essere spacciati.