mercoledì 5 marzo 2025

Se la MAGA non paga

 

Quando i violenti sono costretti ad aggredire direttamente è un segno di debolezza ed insicurezza sul loro dominio, non più assoluto e scontato, ma da riacquisire proprio mediante l’aggressione. Se fossero certi e sicuri del loro potere, non attaccherebbero così palesemente: eserciterebbero la loro violenza, ma in modi più accettabili, meno esibiti, meno appariscenti, più coperti. Dover ricorrere apertamente ad umiliazioni, minacce, ricatti, estorsioni dà l’idea di un potere in declino. E così è per gli Stati Uniti oggi. Siamo ai colpi di coda finali. Non possiamo sapere quanto saranno lunghi, dolorosi, distruttivi, terribili, ma sappiamo che l’impero statunitense, per come si è sviluppato nell’ultimo secolo, è già finito. Trump lo sa, anche se non può crederci, perché dovrebbe smettere di essere Trump (e con lui, i milioni di cittadini che l’hanno votato): Make America great again (MAGA) è uno slogan che esprime un auspicio, ma soprattutto una constatazione: che gli USA, da tempo, non sono più grandi (cioè, secondo l’unico modo per loro di sentirsi grandi: essere i più grandi).

Gli Stati Uniti sanno che i più grandi sono diventati gli altri, i cinesi (che, peraltro, a differenza dei russi, sono anche ancora formalmente degli orrendi ed inaffidabili comunisti). Funzionano meglio di qualunque democratura occidentale, almeno sino a quando l’autocrazia non si realizzi anche da noi, superando infingimenti e remore democratiche che ancora impastoiano il decisionismo tirannico nella maggioranza dei paesi UE e negli stessi USA. Ecco perché -sia in America che in Europa- si stanno andando a demolire questi ostacoli, ormai ridotti a orpelli da democrazie liberali in stato comatoso da tempo (stato di cui l’avanzata delle destre estreme neo-fashiste rappresenta l’effetto e non la causa). Rimossi gli ostacoli, e lasciato (forse) ai cittadini impecoriti soltanto il potere di voto (così come accade già in Russia, Turchia, Egitto e Tunisia, ad esempio), ci si potrà confrontare con più leggerezza con i nemici cinesi.

Ma i cambiamenti di regime interno non saranno sufficienti; è necessario sin da ora modificare le regole del commercio internazionale: i disastri della globalizzazione devono essere limitati e superati ora con i disastri del protezionismo. Nella globalizzazione gli USA stavano già perdendo la partita con la Cina e non possono andare oltre su quella strada. Tentano quindi di intraprendere la rischiosissima guerra dei dazi, nel tentativo di riequilibrare i rapporti di forza a loro favore. Così come, nel piccolo, ha già tentato (e fallito) la Gran Bretagna con la Brexit. Da qui, dopo aver costretto l’Europa ad allontanarsi dalla Russia -un’alleanza commerciale ed energetica troppo pericolosa- ora fa alleanza con quest’ultima per provare a non farla finire definitivamente in mano cinese (che è quel che la guerra in Ucraina ha determinato come effetto collaterale, in sostituzione della precedente alleanza tra Russia ed UE) e per spartirsi insieme -alla faccia di Europa e Cina- non solo l’Ucraina, che di per sé è poca cosa, ma anche -ad esempio- l’area artica (Groenlandia compresa), notoriamente e rapidamente in fase di scioglimento climatico.

Più probabile fallire che riuscire, in tutto questo, a mio (e non solo mio) parere. Ma -nella logica di chi si estinguerà per ultimo- ha un senso: l’Unione Europea, già irrilevante ed incapace di porsi da tempo quale potenza politica di mediazione tra USA e Cina (ma neppure tra Russia ed Ucraina), tenta anche lei l’azzardo di compensare il suo nanismo politico (ormai irresolubile, d’altronde) con un inedito sforzo militare. Colpo di coda, a sua volta, che si rivelerà ancora più doloroso, disperato e fallimentare di quello statunitense. Dopo aver infatti propagandato e foraggiato inutilmente la vittoria ucraina contro l’aggressione russa, dopo aver ridicolmente auspicato e promesso l’immiserimento e la crisi del regime putiniano, dopo aver sperato in un ennesimo rinvio del redde rationem negli Stati Uniti e mentre prosegue ad arrabattarsi invano contro l’avanzata irrefrenabile delle destre estreme nelle sue democrature, ora procederà ad ottenere anche in questo campo il risultato opposto a quel che dice di voler raggiungere: desertificherà ulteriormente l’Europa stessa, le sue conquiste sociali e culturali, la sua economia e ci condurrà -assecondando il riarmo (cioè la Nato e gli Stati Uniti) perché dubita dell’ombrello militare sinora goduto (cioè quello della Nato e degli Stati Uniti)- ad una maggiore deterrenza presunta, ma di fatto ad un sempre più alto e reale rischio di guerra.

Tutti i contendenti, sia chi urla ed offende apertamente, sia chi parlotta e trama sottobanco, combattono sulle sabbie mobili, come direbbe Serres. E più si agitano e più affonderanno. Poco importa se uno dopo l’altro o simultaneamente. Poco importa a me, ma -di essere gli ultimi a morire e di non perdere il potere- a loro importa ancora. Ed è solo per questo che, alla fine, proseguiranno ad agitarsi e ad agitarci, come se fossimo -noi- soltanto delle mosche da schiacciare e -loro- delle formiche carnivore impazzite.

lunedì 3 marzo 2025

Nel nome del Padre (e della Madre Guerra)

 

Chi implorava ed auspicava da tempo un ritorno del Padre ora è stato accontentato: abbiamo un capo degli Stati Uniti che fa commenti sul vestiario dei suoi figli, che li accarezza con promesse e bacetti, gli dà degli scapaccioni a fin di bene e li scaccia da casa se non ubbidiscono. Il modello della violenza paternalistica, tipico della cultura statunitense (vedi Lakoff, Non pensare all’elefante!), ma caratteristico anche di ogni approccio coloniale (occidentale in genere), si è palesato -in tutta la sua potenza ed arroganza dominatrice- nell’incontro di Trump con il malcapitato Zelensky. Situazione consueta, più volte verificatasi nella storia, anche recente, nei rapporti tra l’Occidente e il mondo intero, e -in particolare, tra Usa e Italia (da sempre solo un protettorato della autoproclamatasi democrazia americana). Quel che è diverso è solo il modo in cui ciò avviene: davanti a tutti, in diretta tv e a colpi di clava (e non di fioretto, come il politicamente corretto da diplomatici consiglierebbe). Ed è solo questa, per me, l’unica buona notizia.

Un’altra buona notizia sarebbe quella della rottura del patto transatlantico, cioè la fine dell’Occidente (Usa+Europa) per come l’abbiamo storicamente inteso e conosciuto nel XX secolo. Magari fosse! Magari fosse davvero la volta buona per uno sganciamento dell’Europa dalla Nato e dalle politiche di guerra degli Stati Uniti. Ma -per quanto la grandeur nazionalista ed ex-imperiale, mai sopita e mai davvero abbandonata, di Francia e Gran Bretagna stia riemergendo nella crisi totale della UE- c’è da dubitare che sia già giunto il tempo di una separazione così radicale, rapida e generalizzata. Credo invece, purtroppo, che ci terremo sia la Nato (con un incremento del contributo di ogni stato europeo al suo funzionamento sino al 2.5% del Pil), sia un riarmo europeo senza precedenti (strombazzato non da Trump, ma da una Von der Leyen che si sta rivelando le vera nemica della pace nel nostro continente, insieme ai suoi sodali già citati, Francia e Gran Bretagna, ed alle mosche cocchiere anti-russe di nuovo conio (Paesi baltici e Polonia, in primis)). Un esercito europeo, di cui da tempo si parla, andrebbe tragicamente ad aggiungersi (e non a sostituirsi) alla Nato ed alle forze armate dei singoli stati-membri UE. Un ritorno definitivo, esplicito e totale della guerra nel nostro continente.

E’ in corso infatti un nuovo richiamo ossessivo e paranoide alla Madre Guerra, alla deterrenza armata contro un nemico, la Russia, che non ha alcuna intenzione, né alcuna possibilità, di attaccarci militarmente per prima. La guerra in corso dimostra che la Russia non è più l’URSS, che il suo potenziale militare ha già faticato contro un esercito ucraino armato sino ai denti dall’Occidente, ma complessivamente debole sul terreno in termini di numeri e di livello qualitativo delle sue truppe. Putin non è così stupido da non capire che -ottenuta la vittoria di fatto in Ucraina, come sta per avvenire- dovrà fermarsi. Se la guerra scoppierà (difficile dire ora se nonostante o a causa della ‘pace’ in Ucraina), non sarà una scelta della Russia; sarà voluta e preparata dai governanti europei, si svolgerà in Europa e sarà combattuta solo da europei, senza il sostegno USA (almeno sino a quando Trump sarà al potere). E’ molto più probabile però quindi che scoppi non ora, ma in un futuro vicino, se e quando i cosiddetti ‘democratici’ americani tornassero al potere e appoggiassero una guerra anti-russa, combattendo nuovamente a fianco degli eserciti europei (o dell’Esercito europeo, se mai ci sarà).

Nell’attesa, si scalderanno i motori: si rinnoveranno gli arsenali, si creerà un clima di militarizzazione e repressione crescente all’interno dei nostri Stati, si proseguirà a scardinare quel poco che ancora resta delle istituzioni regolative liberal-democratiche fondate sul diritto, ormai giunte al capolinea da tempo e per le quali non si possono prevedere né auspicare miracolistiche resurrezioni. Il mare si è mosso, gli oceani si espandono e stanno allontanando tra loro i continenti, assistiamo ad una apparente accelerazione dei processi di trasformazione dell’ordine (disordine) mondiale, ma la palude nella politica d'antan degli stati nazionali e i minuetti impaludati dei ridicoli consessi internazionali multilaterali proseguiranno purtroppo ancora per qualche tempo. La terza guerra mondiale può attendere, forse, quindi, ma è certo che quel che ci attende nei prossimi anni sarà doloroso, terribile ed assurdo almeno quanto lei.

 

 

venerdì 28 febbraio 2025

potere della nonviolenza e virus del dominio

 Cari e care, ancora un riassunto di un lavoro fatto in questi giorni su Danilo Dolci, in Facoltà...

Ma è l'ultimo, ora smetto, non preoccupatevi....


DANILO DOLCI: POTERE DELLA NONVIOLENZA E VIRUS DEL DOMINIO

 

1.       IL POTERE NON E’ DOMINIO

 

Le espressioni potenziale, potenziare indicano nella direzione di avere la facoltà, aver vigore e efficacia, concreta possibilità di fare, forza, virtù, capacità di produrre o subire mutamenti. Impotente può significare non fertile. La confusione o, peggio, l’identificazione tra POTERE e DOMINIO non sorprende in certi bassifondi ma diviene perniciosa quando emana dai dotti delle Università: quando ad esempio si trova in una delle più prestigiose Enciclopedie contemporanee che “è Potere sociale la capacità di un padre di impartire comandi ai figli, o quella di un governo di impartire comandi ai cittadini…il potere di un superiore militare concerne una sfera di attività che comporta spesso la probabilità di uccidere o di essere uccisi”. In quanto questa dottrina penetra condizionando ambiti sociali e politici…nessuna meraviglia di fronte a quanto succede nei luoghi in cui ‘si formano i cittadini’, nelle scuole.

(D. Dolci, La creatura e il virus del dominio, 1987, p. 69)

 

Come è vero che ‘non si può non comunicare’, così è altrettanto vero che, comunicando, ‘non si può non esercitare potere’. In ogni comunicazione, infatti, è presente un livello di notizia (esplicito) ed un livello di comando (metacomunicativo, implicito): è il secondo ad esprimere le definizioni, le posizioni e le proporzioni di potere presenti nella relazioni in atto.

Non è possibile quindi informare senza formare.

Se la comunicazione si riduce a trasmissione unidirezionale (televisione) o a interazione virtuale formattata dall’alto (tecnologie digitali) la formazione delle menti che vi sono trovano coinvolte sarà quindi imposta secondo modalità violente, in cui il potere si trasforma in vero e proprio dominio, in quanto una parte si è assicurata unilateralmente il potere di condizionare e comandare i processi comunicativi, senza dover a sua volta riconoscere una reciprocità comunicativa nei suoi confronti da parte di chi ne usufruisce.

La massa. Come si può pretendere che gente ridotta per secoli o millenni poltiglia dolente, possa un mattino svegliarsi libera, capace di esprimersi creativamente, capace di organizzarsi coordinandosi?...Ancora oggi autorevolissimi psicopedagoghi politici predicano necessario ‘portare il popolo a nuova forma di vita’, ‘che la massa segua’, ecc. ecc. Psicologia, pedagogia e politica da cargo…Tant’è: un organismo avverte e sceglie, una pasta no. (Dolci, idem, pp.95-6)

      La comunicazione di massa non esiste. (Dolci, Dal trasmettere al comunicare, 1988)

 

L’idea che il potere escluda la libertà è dura a morire. Eppure è falsa. Il potere di Ego raggiunge il massimo proprio nella situazione in cui Alter si sottopone volontariamente alla sua volontà. Ego non si impone su Alter. Il potere libero non è un ossimoro. Significa che Alter segue Ego in piena libertà. Chi vuole raggiungere un potere assoluto dovrà fare uso non della violenza, ma della libertà dell’Altro. Tale potere si raggiunge nel momento in cui la libertà e la sottomissione combaciano.  (Byung-Chul Han, Che cos’è il potere, pp.13-14, 2019)

Questa condizione di assoggettamento, di servitù volontaria, appare e viene offerta ed assunta oggi -paradossalmente- quale forma della libertà suprema, assoluta ed illimitata.

Liberazione e ri-evoluzione nonviolenta oggi significheranno quindi in primo luogo questo: liberarsi della libertà.

 

 

2.       IL DOMINIO E’ UN VIRUS

 

Quale enorme forza sarebbe generata se ognuno al mondo sapesse il più esattamente possibile cosa è un virus. Quale enorme forza sarebbe generata dalla chiara coscienza, in ognuno, dei danni del dominio. Più medito le analogie tra virus e dominio e più penso come è necessario siano riconosciute dalla coscienza del mondo -per maturare un modo di vedere, una cultura che aiuti a vivere…

Seppure stentando, la gente ora riesce a intendere come le virosi siano malattie -mentre innanzi uno stabilimento che stampa monotoni operai a eseguire identiche macchine (anche micidiali, come le armi e le bombe) sovente è stupita, affascinata, ipnotizzata: soprattutto se i padroni sanno gestire una squadra di calcio che vince, o barche a vela in cui può vagare la fantasia di chi se ne sta a subire -come foreste spogliate ad esaurirsi- le velenose arie dei padroni….

Il vecchio dominio non si presenta truce, ma sa riciclarsi benedicente benefattore…

Alla scoperta si intromettono anche specifiche difficoltà: all’occhio nudo i virus non sono visibili…Se ognuno potesse partecipare alla verifica, allo svelamento (pur la polvere sovente è folta di invisibili acari), il mondo potrebbe euristicamente trasformarsi. Non solo di molte informazioni ora a noi caotiche potremmo cogliere il disegno, ma le stesse scienze non potrebbero non tenerne conto: anche l’economia, oltre la filosofia morale e la prassi quotidiana. Per impedire le intrusioni vorali di ogni tipo occorre riconoscere i diversi virus dai loro specifici connotati, riconoscerne in tempo l’essenza intimamente distruttrice, acuire la sorveglianza nel proteggere la propria identità, sommuovere gli ancora sopiti sistemi immunitari per una pronta difesa.  (Dolci, idem, pp.85-90 passim)

 

Il dominio è come un virus invisibile, che passa impercettibilmente su di noi, dentro ed attraverso le comunicazioni e le azioni, percorrendo le strade della metacomunicazione che implicitamente dà ordine e dà gli ordini alle nostre vite.

La metafora virale di Dolci è stata resa ancora più inquietante ed esemplificativa per noi che abbiamo di recente vissuto proprio l’esperienza della pandemia, con tutte le sue conseguenze in termini esistenziali, comunicativi, sociali e politici.

La necessità costrittiva della cura ha permesso allo Stato di esercitare sui cittadini un dominio relazionale e contestuale che non aveva ancora avuto precedenti nella storia delle democrazie occidentali e che rappresenta indubbiamente un pericoloso ed inquietante avamposto dei sempre più probabili dominii di domani.

L’esperienza dello stato d’animo dominante per ciascuno di noi è e sarà la paura.

Certe persone hanno interesse nel mantenere il silenzio. Altre hanno interesse nel seminare odio basato sulla paura. La paura produce denaro, produce leggi, prende la terra, costruisce insediamenti, e la paura ama tenere tutti nel silenzio. E, ammettiamolo, in Israele in quanto a paura siamo molto bravi, la paura ci occupa. Ai nostri politici piace spaventarci. A noi piace spaventarci l’un l’altro. Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma non si tratta di sicurezza, si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro. Ha a che fare con il controllo. Che significa potere. (C. Mc Cann, Apeirogon, 2021)

 

3.       LA FORZA NON E’ VIOLENZA

Riuscire a rendere visibile il virus del dominio e a sganciarlo dal concetto di potere rappresentano le basi da cui poter iniziare un percorso verso un potere nonviolento.

Ma, per arrivarci, c’è ancora da compiere un passo nella trasformazioni delle premesse su cui prospera la dominazione a cui siamo sottoposti:

FORZA, come termine, può essere espressione di potere o di dominio. Il rapporto del gatto con il topo è una delle espressioni del dominio…Ma anche la primavera ha un suo potere sui boccioli dei prati, anche la levatrice, anche il seminatore, e anche il medico. (Dolci, idem, p.95)

Cosa intendiamo automaticamente per ‘uso della forza’ (noi esseri comuni, ma anche la stessa Carta dell’ONU) ?

Soltanto la violenza. La nonviolenza è sorta per dimostrare che esiste un altro tipo di forza, che non coincide con la violenza e che può realizzare un potere nonviolento, cioè un potere che non crea dominio, ma che lo smonta. Come?

-        Esplicitando e slatentizzando i conflitti coperti, rendendo visibili le violenze strutturali e culturali che il dominio occulta e di cui si nutre; le denuncia, le boicotta e le costringe ad emergere in forme palesemente aggressive (anche mediante la repressione violenta verso chi vi si oppone, anche nonviolentemente);

-        Facendo riprendere potere (empowerment) a chi non lo usava e l’aveva ceduto ai prepotenti di turno; uscire dalla passività coatta e collusiva per togliere potere a chi lo occupa abusivamente e se ne è assicurato apparentemente il monopolio;

-        Agendo, stimola cambiamenti e trasformazioni nelle situazioni date, nello status quo (ed in questo è simile all’azione rivoluzionaria violenta), ma anche e soprattutto nelle premesse dell’azione stessa (ed in questo se ne differenzia essenzialmente).

Chi insiste nell’affermare che “i conflitti di interesse tra gli uomini sono in linea di principio decisi mediante l’uso della violenza…come in tutto il regno animale”, esprime l’ottica del dominatore, di un complice dello status quo. Chi di fronte ai danni pur letali dei virus vuol resistere intelligentemente, non pensa trovarsi di fronte una fatalità ma cerca nelle cause come risolvere…Problema essenziale da risolvere non è certo trovare dall’esterno ‘una possibilità per dirigere l’evoluzione psichica degli uomini’, ma operare via via attraverso diagnosi e iniziative anche alternative che, da luogo a luogo, svegliando al proprio vero interesse, educhino dall’intimo la gente al proprio organizzarsi creativo. In modo che l’unione dei più deboli, l’unione di molti sia ben altro che ancora sempre violenza…Non basta il pacifismo idiosincratico alla guerra…Chi pensa indispensabile, inevitabile l’odio distruttivo è un malato, che tende a rappresentare il mondo generalizzando la propria condizione. (Dolci, idem, pp.97-8)

 

 

 

 

giovedì 27 febbraio 2025

il piacere di fare lezione

 Ieri ho fatto una breve lezione online ad un corso per insegnanti...  Più o meno ho detto questo:


Ecologia della lezione e stili ludici di insegnamento-apprendimento


Inoltre si negava che il piacere sia un bene per il fatto che esso sarebbe un impedimento. Ma il sostenerlo proveniva ad essi da una visione errata…Ma perché la conoscenza non può essere un bene, se essa produce il piacere che proviene dalla conoscenza? E questo piacere sarebbe un impedimento? Certamente no, anzi esso intensificherà l’azione. Il piacere infatti è un incentivo a intensificare l’azione da cui esso proviene. Poniamo infatti che un uomo buono compia delle azioni secondo virtù, e che le compia con piacere: non sarà forse per questo molto più attivo nell’azione? E, se egli agisce con piacere, egli sarà virtuoso, mentre se invece compirà le azioni buone addolorandosi, non sarà virtuoso. Infatti il dolore accompagna ciò che avviene per costrizione; e chi agisce per costrizione non è virtuoso. Ma invero non è possibile compiere le azioni virtuose senza provare dolore o piacere; lo stato di mezzo non esiste. Perché? Perché la virtù riguarda la passione, e la passione riguarda il piacere e il dolore; e qui non vi è uno stato di mezzo. E’ dunque evidente che la virtù sarà accompagnata da dolore oppure da piacere…ma la virtù non potrà essere accompagnata da dolore; quindi sarà accompagnata da piacere. Non solo, dunque, il piacere non è un impedimento, ma è anzi un incentivo all’azione, e, in genere, la virtù non può essere senza il piacere proveniente da essa.

(Aristotele, Grande Etica, 1206a, 1-26)

 

1.     Perché , seguendo il motto del ‘pathein mathos’, siamo ancora convinti che per imparare e conoscere si debba soffrire?

Perché la scuola è ancora oggi vissuta come una penitenza da sopportare per studenti ed insegnanti?

Perché non riusciamo a credere che si possa godere di una lezione ludica ed ecologica, senza che questo rappresenti un impedimento, ma anzi uno stimolo alla concentrazione, alla motivazione e all’impegno?

La prima risposta è sempre proiettiva ad autogiustificante: è colpa del ministero, sentenziano i dirigenti; è colpa dei programmi e dei registri, esclamano i docenti; è colpa dei professori annoiati, noiosi, pigri e sadici, denunciano gli studenti.

E tutto questo presenta delle parti di verità e di realtà: l’istituzione scolastica non è strutturata da premesse e principi didattici e psicopedagogici moderni e democraticamente evoluti, ma si rifà ancora -di fatto, al di là dei pronunciamenti retorici ed autocelebrativi- a modelli mutuati da istituzioni amanti del controllo (aziende, uffici burocratici, caserme, ospedali, manicomi…).

Questo tipo di premesse antiquate, pre-ed anti-repubblicane, si rivelano oggi ancora più inefficaci e superate in una fase in cui noi tutti, e soprattutto le giovani generazioni, siamo sottoposti forzatamente e senza scampo ad una pedagogia sociale prepotente e invasiva come è quella -super-dopaminica-adrenalinica- del consumo illimitato, dello scrolling senza requie e della digitalizzazione totalitaria.

Quel piacere che si prova a vivere in una ‘second life’ così appagante, facile, gratuita e smart, non può trovare un valido ‘competitor’ nella pedagogia del dolore che ancora si propina nei contesti scolastici tradizionali.

In risposta, ci si illude di aver trovato una soluzione al problema con lo scimmiottamento delle mode dominanti ed il marketing banalmente innovativo-attrattivo, applicato ad istituzioni decrepite:

Squilibrio sterminante tra insegnare (cosa si insegna?) e educare. Su un giornale, sotto il grande titolo LA SCUOLA SI RINNOVA compare il sottotitolo esplicativo: Sempre più consistente la dotazione di televisori a colori nelle scuole. E su un altro giornale: Nelle scuole ci sarà un computer ogni tre studenti. (da ‘La creatura e il virus del dominio’)

Era il 1987, ma Danilo Dolci già intuiva la grande e terribile mistificazione in corso, ed ancora -e sempre di più- in azione oggi. Ma la scorciatoia soluzionista-tecnologica mostra la corda e non fermerà la dispersione scolastica (che non è fatta soltanto da chi lascia la scuola, ma anche da chi arriva a prendere un titolo senza coglierne il senso, senza piacere e senza motivazione, disperdendo i suoi talenti).

Perché -se anche fosse vero che andar bene a scuola fa stare meglio a scuola- è ancora più vero che per poter andare bene a scuola si deve stare bene a scuola. Lo star bene (e torna qui la dimensione del piacere) rivela la sua preminenza, anche in vista di un buon rendimento che, salvo i rari casi di studenti automotivati allo studio per motivi vari (familiari, personali, casuali), va a dipendere strettamente dalle condizioni contestuali e relazionali, dal clima e dagli stili di insegnamento-apprendimento, in cui lo studente si trova a vivere e ad operare.

2.     Ma se trovo inutile e nociva la via intrapresa, non posso esimermi dal ri-proporre qui -almeno in estrema sintesi- una visione ludico-ecologica-nonviolenta del lavoro scolastico, che ogni docente può provare a realizzare anche nelle ristrettezze delle condizioni date.

-        1. E’ prioritario saper e voler allestire contesti di relazione accoglienti, improntati alla circolarità, al dialogo aperto, al rispetto dell’equivalenza di valore tra persone, all’interdipendenza dei corpi, delle menti e dei volti. La frontalità non può essere quindi la norma, ma solo l’eccezione. Ed il lavoro in aula dovrà essere continuamente alternato con fasi all’aperto, in natura, sul territorio.

-        2. Per sentirsi parte di un sistema ecologico, è fondamentale una co-costruzione non unidirezionale delle domande e delle risposte: l’insegnante si trasformerà in facilitatore dei processi formativi in fieri, mediante una gestione dinamica delle presentazioni-spiegazioni, una continua interattività dei rimandi e dei riscontri, una didattica coinvolgente ed incidentale.

-        3. Se questo avverrà, noi mireremo a trasformare la lezione ed a renderla intrinsecamente ed immediatamente a)motivante (capace di creare piacere ed interesse in quanto tale), b)sufficiente (che non necessita più, quindi, di punitivi ‘compiti a casa’), c)orientante (in quanto appassiona e rivela vocazioni in itinere), d)valutativa (riducendo valore e frequenza delle interrogazioni individuali, separate dal processo formativo).

Se tutto questo avviene, si potrà dire di aver avviato un processo educativo caratterizzato da ludicità, ecologia e nonviolenza e di aver posto le condizioni adeguate per una condivisione-co-costruzione dell’azione didattica.

Niente di nuovo sotto il sole, direte voi.  Ma, dopo averne scritto e parlato per decenni, va fatto.

In sua assenza, sarà mistificante ed illusorio proseguire a spendere tempo e denaro per animare la scuola dall’esterno, affidarsi a tecniche e tecnologie sempre più mirabolanti o a progetti formativi da parte di esperti.

La scuola crea dispersione e questa dispersione è motivata da vari fattori, interni ed esterni alla scuola stessa.

Su quelli esterni possiamo far poco, direttamente.

Ma possiamo influire positivamente anche su di essi, se inizieremo a rifondare il nostro lavoro nel senso che qui ho provato -sommariamente- a tracciare.

mercoledì 26 febbraio 2025

L' invasione dei senzacorpi

Qualche giorno fa ho presentato questo intervento ad un convegno...sono solo degli appunti sparsi, ma li condivido volentieri...

Giochi del corpo e senso della terra

Il fatto è che i bambini non nascono parlanti né camminanti: queste sono abilità corporee il cui sviluppo presuppone un ambiente che include educatori competenti, una serie di oggetti e piani di supporto, e un certo mezzo o terreno d’azione…Il loro sviluppo dipende da un processo d’apprendimento che si radica in contesti di interazione con altre persone e cose…Ciò conduce inesorabilmente  a una conclusione: che la nozione di capacità è vuota, a meno che non si riferisca a tutta una serie di condizioni che devono essere soddisfatte, non solo nella costituzione genetica dell’individuo ma nel suo ambiente circostante, affinchè lo sviluppo successivo delle caratteristiche o capacità in questione sia realmente possibile. 

(T. Ingold, Ecologia della cultura, 2016 )

L’altro giorno cercavo una strada in un quartiere a me poco noto: fermo una ragazza e le chiedo se sa dove stia la via tal dei tali: lei mi sorride e risponde ‘ora cerco sul cellulare’. Era la strada accanto a quella dove vive lei, si sente presa in castagna e si scusa: ‘faccio fatica a geolocalizzarmi nel mondo’

( W. Siti, C’era una volta il corpo, 2024)

Se è vero che, come dice la Montessori, lo sviluppo mentale del bambino avviene coll’uso del movimento, cosa sarà (cosa è già) della nostra mente, se stiamo diventando incapaci di situarci spazio-temporalmente e di muoverci adeguatamente sulla terra conosciuta, ma ignota?

 

L’anima, senza il corpo, gioca (Petronio, cit. da Borges)

Ma il corpo senza corpo perde l’anima e non gioca
Si perde la nostra capacità, possibilità, attitudine a giocare, a metterci in gioco:

Metterci il corpo significava che si può pensare solo agendo, e che si può agire solo pensando. Metterci il corpo voleva dire, inoltre, esporsi. Mettersi a repentaglio non soltanto nello sfidare o oltrepassare i limiti della legalità, ma anche quelli della propria vulnerabilità. In un mondo di spettatori, clienti e consumatori, la vita poteva ridiventare nostra solo mettendo in comune il corpo, facendo cose insieme, condividendo lo spazio e il tempo…

(M. Garcès, Occupare la speranza, 2024)

 

La Garcès usa l’imperfetto, un tempo del passato, non troppo lontano, parla del 2000, ma che sembra ora remoto.

Oggi, la perdita del corpo, l’evoluzione verso un corpo virtualizzato, digitalizzato conduce necessariamente anche ad una forte desensibilizzazione verso i corpi altri, verso la violenza, gli omicidi, i genocidi in corso.

Il potere è un fenomeno del continuum. Offre a chi lo detiene un ampio spazio del sé. Questo spiega come mai la perdita totale del potere sia vissuta come una perdita totale di spazio…Quindi la perdita totale di potere viene vissuta come una specie di morte…

(B.Chul-Han, Cos’è il potere?, 2019)  

 

Conduce ad una evidente disattivazione di noi stessi, che restiamo impotenti, senza azione, senza politica, in una dimensione di insensibilità crescente, di anestesia, di  assenza di una reazione psicofisica, se non la sola paura:

Certe persone hanno interesse nel mantenere il silenzio. Altre hanno interesse nel seminare odio basato sulla paura. La paura produce denaro, produce leggi, prende la terra, costruisce insediamenti, e la paura ama tenere tutti nel silenzio. E, ammettiamolo, in Israele in quanto a paura siamo molto bravi, la paura ci occupa. Ai nostri politici piace spaventarci. A noi piace spaventarci l’un l’altro. Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma non si tratta di sicurezza, si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro. Ha a che fare con il controllo. Che significa potere.

(C. Mc Cann, Apeirogon, 2021)

Questi nostri corpi spenti, soli , isolati (ma con tanti like) ci conducono ad una dimensione pubblica impaurente, a temere il giudizio, a ricercare la performance e a subire un’ansia di prestazione senza precedenti e senza rimedio (soprattutto per le giovani generazioni).

Il Fashionismo ratifica la perdita di potere del corpo (se non in termini seduttivi e di attrazione apparente) e spinge verso il potere sul corpo: un corpo sempre più truccato-tatuato-liftato-manipolato-mistificato-esibito-formattato: in posa.

‘Come se ciascuno di loro, nel suo linguaggio nonverbale, mi dicesse: io non sono uguale a nessuno ma desidero somigliare a tutti. Come se fossero un algoritmo vivente.  (ancora da Siti)

 

Ma, senza il corpo, restiamo anche senza mente: l’errore di Cartesio trionfa, ma il sum non è più neppure cogito.

L’ embodiment , che va perdendosi nell’umano, diviene caratteristica ed aspirazione dei robot e dell’AI, capaci di propriocezione e di autoapprendimento ricorsivo: qui viene trasferito anche il cogito del futuro

La filosofia annaspa nello sforzo di giustificare se stessa. I dipartimenti di umanistica si dedicano ai grafici quantitativi per raggranellare fondi, l’assurdità dell’esistere si è spicciolata in senso comune; sempre meno il corpo umano è misura delle cose, anzi i corpi tendono a schermarsi dietro gli oggetti e quasi a rattrappirsi in loro, come se l’anima si fosse ritirata nell’inanimato …L’Occidente ha abdicato all’esplorazione coraggiosa dell’esistenza: il corpo esce da sé non per entrare in altri mondi ma per sottrarsi a questo in cui si sente così spiazzato. Il corpo è l’unica cosa sicura che abbiamo ma non è più ratificato da costruzioni collettive, lo spazio non si organizza più intorno a lui.  (ancora da Siti)

Che fare?

Qui si vuole proporre un tentativo, un esperimento di compensazione rianimativa mediante il rapporto con l’animalità e con il vivente non umano.

Attraverso un Educarci all’Aperto  (in natura, all’apertura mentale, a quel che si apre, si lascia aprire ed è aperto)

La visione zooantropologica può aiutarci ad andare avanti, in un post-umano che vada oltre l’uomo, ma si apra all’ecologia della mente-corpo.

Vi lascio per un po': con questo poco di ordine che sono riuscita a fare intorno a me. Vorrei tacere per qualche tempo e andarmene a giocare con la terra e con il mio corpo. Arrivederci.

(G. Sapienza, Lettera aperta, 1967 )

 

 

giovedì 20 febbraio 2025

sfacciati spacciatori spacciati

Qualcuno continua a chiedermi perchè non scrivo più su questo blog o altrove.

Credo che la risposta la stiano dando, ancora una volta, i fatti.

L'accelerazione catastrofizzante a cui stiamo assistendo, ammutoliti, ci dice perchè nè scrivere nè parlare oggi abbiano più un senso, nè storico nè politico.

Il mondo che abbiamo conosciuto (e che si rivela oggi come pura apparenza già da allora) è scomparso da tempo, ammazzato dalla globalizzazione dei mercati e dell'informazione digitale.

Stiamo assistendo soltanto al suo seppellimento -spero definitivo, ma so che purtroppo non sarà così, ed è soprattutto per questo che dispero.

E' terribile vivere questo funerale, lo capisco, ma è un ulteriore passo avanti nella chiarezza su quel che siamo e siamo sempre stati.

Trump e Netanyahu sono soltanto più sfacciati dei loro predecessori e colleghi governanti, che facevano e fanno le stesse cose, ma in modi più coperti e gentili (liberal-democratici).

Lo fanno senza remore o scrupoli, saltando i convenevoli e le retoriche della cosiddetta civilizzazione occidentale (che è da sempre andata avanti a forza di stragi, colonizzazioni e stermini, a stento e malamente camuffate da ideologie del rispetto e delle buone creanze).

E' questo che ci disturba e ci inquieta?

Che i ricchi della finanza e della tecnocrazia, i produttori di armi e gli immobiliaristi vadano direttamente e apertamente al potere, senza più nascondersi dietro i politici di professione?

Che si proceda con la politica di potenza e con le ragioni di stato, senza farsi più rallentare dalle leggi, dai diritti, dalle dichiarazioni umanitarie, dai patti multilaterali, dai richiami alla misura?

Che la guerra e la distruzione della natura procedano a fare strage, senza più far finta di accordarsi su regole, limitazioni, soluzionismi di facciata, rimedi che sono peggiori del male?

Che gli stati nazionali perdano la faccia e si preparino ad ufficializzare l'ingresso in una nuova età imperiale e feudale, che li fa fuori o al massimo li utilizzerà soltanto come bau bau militare ad uso interno, contro i propri cittadini ?

Che l'Unione Europea si riveli sfacciatamente solo come una marionetta agitata dalle lobbies e dalle banche e come un' irrilevante appendice della Nato e degli Stati Uniti?

Preferivamo vivere nel mondo di prima?

Era lo stesso mondo, ma noi potevamo ancora permetterci di far finta di niente e trasferire il disastro su altri. Ora  -è questa la differenza, non da poco, lo ammetto- tocca anche a noi.

La battaglia per stabilire chi si estinguerà per ultimo (perchè soltanto questo alla fine sarà il risultato per chi riuscirà a sopravvivere sino alla fine) è iniziata.

Il resto sono soltanto discorsi fatti da spacciatori di droghe, di speranza ed illusioni per chi ancora è disposto a crederci e a votarli (le omelie di Mattarella, le filippiche di Draghi, gli inviti a cena di Macron, i politici 'onesti' e 'diversi', le lamentazioni e le promesse delle èlites, gli auspici dei buoni di turno, etc etc...).

Anche Trump e Musk spacciano fake news, come tutti.  Ma il falso diventa in loro talmente evidente da rivelarci la verità (cosa che non accadeva più da tempo con i nostri spacciatori abituali).

In tutto questo, come umanità potremmo e dovremmo riconoscere -finalmente- questa unica, terribile, verità: di essere spacciati.