Qualche giorno fa ho presentato questo intervento ad un convegno...sono solo degli appunti sparsi, ma li condivido volentieri...
Giochi del corpo e senso della terra
Il fatto
è che i bambini non nascono parlanti né camminanti: queste sono abilità
corporee il cui sviluppo presuppone un ambiente che include educatori
competenti, una serie di oggetti e piani di supporto, e un certo mezzo o
terreno d’azione…Il loro sviluppo dipende da un processo d’apprendimento che si
radica in contesti di interazione con altre persone e cose…Ciò conduce
inesorabilmente a una conclusione: che
la nozione di capacità è vuota, a meno che non si riferisca a tutta una serie
di condizioni che devono essere soddisfatte, non solo nella costituzione
genetica dell’individuo ma nel suo ambiente circostante, affinchè lo sviluppo
successivo delle caratteristiche o capacità in questione sia realmente
possibile.
(T. Ingold, Ecologia
della cultura, 2016 )
L’altro
giorno cercavo una strada in un quartiere a me poco noto: fermo una ragazza e
le chiedo se sa dove stia la via tal dei tali: lei mi sorride e risponde ‘ora
cerco sul cellulare’. Era la strada accanto a quella dove vive lei, si sente
presa in castagna e si scusa: ‘faccio fatica a geolocalizzarmi nel mondo’
( W.
Siti, C’era una volta il corpo, 2024)
Se è vero
che, come dice la Montessori, lo sviluppo mentale del bambino avviene coll’uso
del movimento, cosa sarà (cosa è già) della nostra mente, se stiamo diventando
incapaci di situarci spazio-temporalmente e di muoverci adeguatamente sulla
terra conosciuta, ma ignota?
L’anima,
senza il corpo, gioca
(Petronio, cit. da Borges)
Ma il corpo
senza corpo perde l’anima e non gioca
Si perde la nostra capacità, possibilità, attitudine a giocare, a metterci in
gioco:
Metterci
il corpo significava che si può pensare solo agendo, e che si può agire solo
pensando. Metterci il corpo voleva dire, inoltre, esporsi. Mettersi a
repentaglio non soltanto nello sfidare o oltrepassare i limiti della legalità,
ma anche quelli della propria vulnerabilità. In un mondo di spettatori, clienti
e consumatori, la vita poteva ridiventare nostra solo mettendo in comune il
corpo, facendo cose insieme, condividendo lo spazio e il tempo…
(M. Garcès,
Occupare la speranza, 2024)
La Garcès
usa l’imperfetto, un tempo del passato, non troppo lontano, parla del 2000, ma
che sembra ora remoto.
Oggi, la perdita
del corpo, l’evoluzione verso un corpo virtualizzato, digitalizzato conduce
necessariamente anche ad una forte desensibilizzazione verso i corpi altri, verso
la violenza, gli omicidi, i genocidi in corso.
Il potere
è un fenomeno del continuum. Offre a chi lo detiene un ampio spazio del sé.
Questo spiega come mai la perdita totale del potere sia vissuta come una
perdita totale di spazio…Quindi la perdita totale di potere viene vissuta come
una specie di morte…
(B.Chul-Han,
Cos’è il potere?, 2019)
Conduce ad
una evidente disattivazione di noi stessi, che restiamo impotenti, senza
azione, senza politica, in una dimensione di insensibilità crescente, di anestesia,
di assenza di una reazione psicofisica,
se non la sola paura:
Certe
persone hanno interesse nel mantenere il silenzio. Altre hanno interesse nel
seminare odio basato sulla paura. La paura produce denaro, produce leggi,
prende la terra, costruisce insediamenti, e la paura ama tenere tutti nel
silenzio. E, ammettiamolo, in Israele in quanto a paura siamo molto bravi, la
paura ci occupa. Ai nostri politici piace spaventarci. A noi piace spaventarci
l’un l’altro. Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma
non si tratta di sicurezza, si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la
terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro. Ha a che fare con il
controllo. Che significa potere.
(C. Mc Cann,
Apeirogon, 2021)
Questi
nostri corpi spenti, soli , isolati (ma con tanti like) ci conducono ad una dimensione
pubblica impaurente, a temere il giudizio, a ricercare la performance e a
subire un’ansia di prestazione senza precedenti e senza rimedio (soprattutto
per le giovani generazioni).
Il Fashionismo
ratifica la perdita di potere del corpo (se non in termini seduttivi e
di attrazione apparente) e spinge verso il potere sul corpo: un corpo
sempre più truccato-tatuato-liftato-manipolato-mistificato-esibito-formattato: in
posa.
‘Come se
ciascuno di loro, nel suo linguaggio nonverbale, mi dicesse: io non sono uguale
a nessuno ma desidero somigliare a tutti. Come se fossero un algoritmo vivente.
(ancora da Siti)
Ma, senza il
corpo, restiamo anche senza mente: l’errore di Cartesio trionfa, ma il sum non
è più neppure cogito.
L’ embodiment
, che va perdendosi nell’umano, diviene caratteristica ed aspirazione dei robot
e dell’AI, capaci di propriocezione e di autoapprendimento ricorsivo: qui viene
trasferito anche il cogito del futuro
La
filosofia annaspa nello sforzo di giustificare se stessa. I dipartimenti di
umanistica si dedicano ai grafici quantitativi per raggranellare fondi,
l’assurdità dell’esistere si è spicciolata in senso comune; sempre meno il
corpo umano è misura delle cose, anzi i corpi tendono a schermarsi dietro gli
oggetti e quasi a rattrappirsi in loro, come se l’anima si fosse ritirata
nell’inanimato …L’Occidente ha abdicato all’esplorazione coraggiosa
dell’esistenza: il corpo esce da sé non per entrare in altri mondi ma per
sottrarsi a questo in cui si sente così spiazzato. Il corpo è l’unica cosa
sicura che abbiamo ma non è più ratificato da costruzioni collettive, lo spazio
non si organizza più intorno a lui. (ancora da Siti)
Che fare?
Qui si vuole
proporre un tentativo, un esperimento di compensazione rianimativa mediante il
rapporto con l’animalità e con il vivente non umano.
Attraverso
un Educarci all’Aperto (in natura,
all’apertura mentale, a quel che si apre, si lascia aprire ed è aperto)
La visione zooantropologica
può aiutarci ad andare avanti, in un post-umano che vada oltre l’uomo, ma si
apra all’ecologia della mente-corpo.
Vi lascio
per un po': con questo poco di ordine che sono riuscita a fare intorno a me.
Vorrei tacere per qualche tempo e andarmene a giocare con la terra e con il mio
corpo. Arrivederci.
(G.
Sapienza, Lettera aperta, 1967 )
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