giovedì 27 febbraio 2025

il piacere di fare lezione

 Ieri ho fatto una breve lezione online ad un corso per insegnanti...  Più o meno ho detto questo:


Ecologia della lezione e stili ludici di insegnamento-apprendimento


Inoltre si negava che il piacere sia un bene per il fatto che esso sarebbe un impedimento. Ma il sostenerlo proveniva ad essi da una visione errata…Ma perché la conoscenza non può essere un bene, se essa produce il piacere che proviene dalla conoscenza? E questo piacere sarebbe un impedimento? Certamente no, anzi esso intensificherà l’azione. Il piacere infatti è un incentivo a intensificare l’azione da cui esso proviene. Poniamo infatti che un uomo buono compia delle azioni secondo virtù, e che le compia con piacere: non sarà forse per questo molto più attivo nell’azione? E, se egli agisce con piacere, egli sarà virtuoso, mentre se invece compirà le azioni buone addolorandosi, non sarà virtuoso. Infatti il dolore accompagna ciò che avviene per costrizione; e chi agisce per costrizione non è virtuoso. Ma invero non è possibile compiere le azioni virtuose senza provare dolore o piacere; lo stato di mezzo non esiste. Perché? Perché la virtù riguarda la passione, e la passione riguarda il piacere e il dolore; e qui non vi è uno stato di mezzo. E’ dunque evidente che la virtù sarà accompagnata da dolore oppure da piacere…ma la virtù non potrà essere accompagnata da dolore; quindi sarà accompagnata da piacere. Non solo, dunque, il piacere non è un impedimento, ma è anzi un incentivo all’azione, e, in genere, la virtù non può essere senza il piacere proveniente da essa.

(Aristotele, Grande Etica, 1206a, 1-26)

 

1.     Perché , seguendo il motto del ‘pathein mathos’, siamo ancora convinti che per imparare e conoscere si debba soffrire?

Perché la scuola è ancora oggi vissuta come una penitenza da sopportare per studenti ed insegnanti?

Perché non riusciamo a credere che si possa godere di una lezione ludica ed ecologica, senza che questo rappresenti un impedimento, ma anzi uno stimolo alla concentrazione, alla motivazione e all’impegno?

La prima risposta è sempre proiettiva ad autogiustificante: è colpa del ministero, sentenziano i dirigenti; è colpa dei programmi e dei registri, esclamano i docenti; è colpa dei professori annoiati, noiosi, pigri e sadici, denunciano gli studenti.

E tutto questo presenta delle parti di verità e di realtà: l’istituzione scolastica non è strutturata da premesse e principi didattici e psicopedagogici moderni e democraticamente evoluti, ma si rifà ancora -di fatto, al di là dei pronunciamenti retorici ed autocelebrativi- a modelli mutuati da istituzioni amanti del controllo (aziende, uffici burocratici, caserme, ospedali, manicomi…).

Questo tipo di premesse antiquate, pre-ed anti-repubblicane, si rivelano oggi ancora più inefficaci e superate in una fase in cui noi tutti, e soprattutto le giovani generazioni, siamo sottoposti forzatamente e senza scampo ad una pedagogia sociale prepotente e invasiva come è quella -super-dopaminica-adrenalinica- del consumo illimitato, dello scrolling senza requie e della digitalizzazione totalitaria.

Quel piacere che si prova a vivere in una ‘second life’ così appagante, facile, gratuita e smart, non può trovare un valido ‘competitor’ nella pedagogia del dolore che ancora si propina nei contesti scolastici tradizionali.

In risposta, ci si illude di aver trovato una soluzione al problema con lo scimmiottamento delle mode dominanti ed il marketing banalmente innovativo-attrattivo, applicato ad istituzioni decrepite:

Squilibrio sterminante tra insegnare (cosa si insegna?) e educare. Su un giornale, sotto il grande titolo LA SCUOLA SI RINNOVA compare il sottotitolo esplicativo: Sempre più consistente la dotazione di televisori a colori nelle scuole. E su un altro giornale: Nelle scuole ci sarà un computer ogni tre studenti. (da ‘La creatura e il virus del dominio’)

Era il 1987, ma Danilo Dolci già intuiva la grande e terribile mistificazione in corso, ed ancora -e sempre di più- in azione oggi. Ma la scorciatoia soluzionista-tecnologica mostra la corda e non fermerà la dispersione scolastica (che non è fatta soltanto da chi lascia la scuola, ma anche da chi arriva a prendere un titolo senza coglierne il senso, senza piacere e senza motivazione, disperdendo i suoi talenti).

Perché -se anche fosse vero che andar bene a scuola fa stare meglio a scuola- è ancora più vero che per poter andare bene a scuola si deve stare bene a scuola. Lo star bene (e torna qui la dimensione del piacere) rivela la sua preminenza, anche in vista di un buon rendimento che, salvo i rari casi di studenti automotivati allo studio per motivi vari (familiari, personali, casuali), va a dipendere strettamente dalle condizioni contestuali e relazionali, dal clima e dagli stili di insegnamento-apprendimento, in cui lo studente si trova a vivere e ad operare.

2.     Ma se trovo inutile e nociva la via intrapresa, non posso esimermi dal ri-proporre qui -almeno in estrema sintesi- una visione ludico-ecologica-nonviolenta del lavoro scolastico, che ogni docente può provare a realizzare anche nelle ristrettezze delle condizioni date.

-        1. E’ prioritario saper e voler allestire contesti di relazione accoglienti, improntati alla circolarità, al dialogo aperto, al rispetto dell’equivalenza di valore tra persone, all’interdipendenza dei corpi, delle menti e dei volti. La frontalità non può essere quindi la norma, ma solo l’eccezione. Ed il lavoro in aula dovrà essere continuamente alternato con fasi all’aperto, in natura, sul territorio.

-        2. Per sentirsi parte di un sistema ecologico, è fondamentale una co-costruzione non unidirezionale delle domande e delle risposte: l’insegnante si trasformerà in facilitatore dei processi formativi in fieri, mediante una gestione dinamica delle presentazioni-spiegazioni, una continua interattività dei rimandi e dei riscontri, una didattica coinvolgente ed incidentale.

-        3. Se questo avverrà, noi mireremo a trasformare la lezione ed a renderla intrinsecamente ed immediatamente a)motivante (capace di creare piacere ed interesse in quanto tale), b)sufficiente (che non necessita più, quindi, di punitivi ‘compiti a casa’), c)orientante (in quanto appassiona e rivela vocazioni in itinere), d)valutativa (riducendo valore e frequenza delle interrogazioni individuali, separate dal processo formativo).

Se tutto questo avviene, si potrà dire di aver avviato un processo educativo caratterizzato da ludicità, ecologia e nonviolenza e di aver posto le condizioni adeguate per una condivisione-co-costruzione dell’azione didattica.

Niente di nuovo sotto il sole, direte voi.  Ma, dopo averne scritto e parlato per decenni, va fatto.

In sua assenza, sarà mistificante ed illusorio proseguire a spendere tempo e denaro per animare la scuola dall’esterno, affidarsi a tecniche e tecnologie sempre più mirabolanti o a progetti formativi da parte di esperti.

La scuola crea dispersione e questa dispersione è motivata da vari fattori, interni ed esterni alla scuola stessa.

Su quelli esterni possiamo far poco, direttamente.

Ma possiamo influire positivamente anche su di essi, se inizieremo a rifondare il nostro lavoro nel senso che qui ho provato -sommariamente- a tracciare.

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