Il movimento del '77 era un melting pot di idee e di pratiche ('pratiche teoriche', althusserianamente) di opposizione. Opposizione a cosa? A qualsiasi idea istituzionale o dominante. Forse non fa piacere ricordare che quella cultura di opposizione aveva soprattutto bisogno di un nemico e se non c'era bisognava inventarlo. Se si riguardano i video del periodo non può non cogliersi infatti una fascinazione estetica per le divise e le uniformi del Potere: quelle dei nemici, nemici che conferiscono identità: ciò che trasformò quella rivolta, o almeno molti rivoli di essa, in una lotta fratricida. C'erano molte allucinazioni, in quel periodo, allucinazioni desideranti; e anche questo, in fondo, era insito nel materialismo (comunista) nella sua formulazione più innovativa: 'occorre attenersi ai fatti', ha scritto il filosofo comunista Louis Althusser dal manicomio di Saint'Anne, ma 'anche le allucinazioni sono fatti'.
Qualche giorno fa ho avuto conferma da un telegiornale di regime che Renato Curcio, ormai ottantenne, rischia di tornare a processo per aver ideato un sequestro al fine di autofinanziare le BR; sequestro che si è concluso tragicamente con una sparatoria, che ha portato alla morte di un carabiniere e della stessa compagna di Curcio, Mara Cagol.
Qualche giorno fa è morta Barbara Balzerani, altra fondatrice delle BR, da tempo a piede libero. La filosofa Donatella di Cesare -attaccata dai media e dai politici di regime- ha dovuto ritirare un post in cui la ricordava e solidarizzava con quel che avevano condiviso negli anni 70, metodi violenti esclusi.
Tutto questo accanimento verso gli sconfitti, anche a distanza di decenni ed anche dopo che la pena -puntualmente ed integralmente scontata- è stata formalmente e legalmente estinta, dà da pensare.
E' segno della vittoria totale di chi oggi ci domina o è segno della sua attuale e crescente debolezza e paura? Entrambe le cose, direi.
Mai le autosedicenti democrazie sono state più in crisi, soprattutto rispetto a se stesse, anche in assenza di nemici capaci di distruggerle. Il rischio appare oggi implosivo, molto più che subìto dall'esterno.
E mai però gli Stati sono stati più capaci di controllarci, prevenirci, condizionarci alla radice, guidarci nei bisogni e nei desideri, orientare alla fonte i nostri immaginari (ed anche tutte le nostre possibili allucinazioni).
Tutto l'opposto di quel che accadde nei decenni 60-70, insomma: democrazie ancora in auge e regimi che dovettero ricorrere alle armi (e alla droga) per annientare movimenti e antagonismi capaci di pensare l'altro e l'altrove e di provare a praticare la rivolta (seppur con linguaggi, strumenti, stili e metodi molto diversi fra loro).
Quel che colpisce è soprattutto che questa smania di proseguire a punire i già più volte puniti (dalla legge e dalla storia) avviene proprio mentre gli Stati stessi proseguono a far guerra., ad uccidere, a sterminare, ad inquinare, a reprimere impunemente.
E nessuno li può giudicare (nemmeno tu).
Sarà la storia a farlo, si dice. Ma, per fare storia, tantomeno la storia, non è più il tempo, non c'è più il tempo, non c'è più tempo (scegliete voi).
Io vorrei parlare di questo, delle due celebri lettere: OK.
Qualcuno saprà che era la formula in uso nelle comunicazioni militari durante la seconda guerra mondiale. OK: Zero Killed. Nessun morto, quindi tutto bene. Tutto okay.
Oggi queste lettere sono dette al telefono per tagliare corto, o con il chewing gum in bocca, nella banalità più sfacciata -il che realizza ancora più esattamente il significato perlocutorio della formula: non c'è problema.
L'Europa è sott'acqua, altri continenti bruciano o soffocano, la Terra sarà priva di ossigeno: non c'è problema. Il capitalismo sta implodendo, serve uno sforzo comune, ma chi governa insegue interessi personali, angusti e ciechi come la propria vita: non c'è problema. E' tutto ok.
Nessun morto? Forse chi governa si crede immortale, e vede la morte come una sfiga che accade a chi non ci sta attento. 'Sono sempre gli altri che muoiono', fece scrivere sulla propria tomba Marcel Duchamp. Eppure mai come oggi la precarietà della vita individuale si accompagna a quella della specie: la morte dell'uomo. Basta invertire le lettere: KO. Tutti morti.
Un alfabeto tira l'altro, e mi viene in mente quello di una lingua ormai sepolta, anzi inabissata, sostituita dall'elettronica a dai suoi mille congegni. Parlo del Morse, di cui mi commuove ricordare l'appello più celebre e perentorio, le ultime parole di tanti di noi, comuni mortali: SOS, Save our souls, Salvate le nostre anime.
(i brani sono tratti da Beppe Sebaste, Oggetti smarriti e altre apparizioni, Laterza, 2009)
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