martedì 21 novembre 2023

irrispettosamente vostro...

 

Le relazioni umane che non si fondano sull'accettazione dell'altro come altro legittimo nella convivenza non sono relazioni sociali.

Noi esseri umani non siamo sempre sociali; lo siamo soltanto nelle dinamiche delle relazioni di reciproca accettazione.

Le relazioni di lavoro, secondo quanto detto, non sono relazioni sociali, perchè si basano sull'impegno di eseguire un compito e l'esecuzione del compito; in tali relazioni, è l'unica cosa che importa. In altre parole, per assumere un impegno di lavoro, il fatto che i partecipanti siano persone, esseri multidimensionali è essenziale, ma -una volta assunto l'impegno- il fatto che i partecipanti siano persone e abbiano altre dimensioni relazionali è irrilevante.

Nel contesto delle relazioni sociali non c'entrano i sistemi giuridici perché le relazioni umane si producono nell'accettazione reciproca e, pertanto, nel reciproco rispetto. I sistemi giuridici si costituiscono come meccanismi di comunicazione comportamentale tra persone che non costituiscono più dei sistemi sociali.

Affermo quindi che i fenomeni sociali hanno a che vedere con la biologia e che l'accettazione dell'altro non è un fenomeno culturale.


Quale profondo cambiamento di premesse dovrebbe fare il nostro sistema di vita e di pensiero, se volesse davvero costruire relazioni di reciproca accettazione e di rispetto!

É per questo, per non cambiare nulla, che proseguiamo e proseguiremo , come fessi indefessi, a rintracciare soluzioni (repressive, istruttive, rieducative...) che invece si nutrono delle stesse premesse responsabili del problema emergente (in questo caso, ad esempio, la violenza di maschi sulle donne).

Ecco perché si blatera continuamente di nuove leggi securitarie, di sempre più controllanti sistemi di prevenzione e punizione, di ore scolastiche dedicate alle relazioni ed agli affetti...

Se non fosse tragico, sarebbe ridicolo (anzi, lo è, comunque).

Siamo soltanto dei poveri disperati che si arrabattano a coprire con pannicelli caldi una violenza sistemica a cui non vogliamo e non possiamo rinunciare, perché è la violenza a strutturare la nostra cultura e la nostra civiltà (capitalista, militarista, discriminatoria, gerarchica, razzista e specista).

La sorella di Giulia l'ha detto giusta, e non sarà perdonata: 'Filippo non è un mostro, è il figlio sano di una società patriarcale.'

Ma...


Di solito parliamo come se il potere ce l'avesse l'altro e in verità non è così. Dove sta il potere del militare? Nell'obbedienza dell'altro. Se do un ordine al soldato e questo non obbedisce, dove sta il mio potere? Il potere non è qualcosa che possiede una persona od un'altra, è una relazione nella quale si concede qualcosa a qualcuno attraverso l'obbedienza e l'obbedienza si costituisce quando si fa qualcosa che non si vuole fare, aderendo a una richiesta. Chi obbedisce nega se stesso, perché -per evitare o ottenere qualcosa- fa ciò che non vuole su richiesta dell'altro.

A mio modesto parere, la cultura tradizionale del patriarcato oggi è divenuta minoritaria e periferica anche tra i maschi. Le forzature e le violenze maschiliste mi appaiono soltanto come un residuo parziale ed archeologico di una cultura che fu.

Quel che oggi permane e sussiste è ben più subdolo e pericoloso: è la cultura paternalista/maternalista di cui entrambi i sessi dovrebbero farsi carico perché entrambi i sessi ne sono relazionalmente responsabili e complici.

Se preferite, la dico così: oggi, il patriarcato non si esprime più in forme di hard power -come poteva accadere normalmente in passato e prosegue ad accadere saltuariamente o all'interno di situazioni culturali arretrate oggi-, ma di soft power; cioè, appunto, mediante la collusione tra paternalismo (soprattutto maschile) e maternalismo (soprattutto femminile).

La violenza oggi si esercita più facilmente infatti proprio attraverso la cura indebita, la falsa empatia, le attenzioni e le correzioni a fin di bene, la gestione delegata dei conflitti, la protezione ossessiva dell'altro per controllarlo e renderlo addomesticato ed obbediente, capace così di sopportare le relazioni di dominio quotidianamente vissute (a lavoro, a scuola, in famiglia, nella coppia...).

Di questo dovremmo parlare, su questo -uomini e donne- potrebbero e dovrebbero collaborare, se davvero volessimo uscire dalla violenza strutturale e culturale in cui siamo collusivamente immersi -tutti e tutte, in pari grado- e non soltanto urlare, piangere, maledire, reagire momentaneamente (e solo con modalità colpevolizzanti e proiettive) ogniqualvolta la violenza si manifesta in forma aggressiva e diretta.


Le citazioni in corsivo sono tratte da H.Maturana-X.Davila, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, Elèuthera, 2006








2 commenti:

  1. Egregia lettura del nostro tempo .

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  2. ... I rimedi terapeutici alla sistemica violenza sociale
    trovo rasentino configurazioni oltremodo bislacche, ridicole ma - allo stesso tempo - raggelanti ... Emblematica ed eloquente l' introduzione dell' educazione sentimentale in seno alla dimensione scolastica da affidarsi ad influencer e operatori sociali - (per queste ultime figure , magari, verranno istituiti nuovi e appositi percorsi di laurea) - che dovrebbe sanare le imponenti lacerazioni e lacunosità del nostro tempo... Un tempo profondamente vacuo da cui l ' ora di educazione all' affettività e al sentimento, dalle 15:00 alle 16:00, dovrebbe miracolosamente strapparci.

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