Draghi, un mese fa, non ha detto quel che doveva dire: che -avendo accettato di fare il capo del governo- non era disponibile a candidarsi per il Quirinale.
E ha detto quel che non doveva dire: che il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto essere eletto dalla stessa maggioranza che regge il suo governo.
Due errori in una sola conferenza stampa. Una trappola per la morale e per la politica.
Ed i partiti, già incasinati ed inquinati per conto loro, si trovano ora a boccheggiare ulteriormente, fra una scheda bianca e l'altra, nella più totale paralisi e sfiorando ogni giorno il ridicolo.
La Costituzione, saggiamente, cerca apertamente di separare le sorti e le scelte sul Quirinale da quelle su Palazzo Chigi. Ma si è fatto ancora una volta come se la saggezza fosse altrove.
Ed ora si alternano inevitabilmente tentativi di incontro e tattiche settarie, nel tentativo di salvare capra e cavoli.
Se esistesse un minimo di decenza, i centro-sinistri avrebbero fatto miglior figura se avessero da subito accettato la regola dell'alternanza e votare il miglior candidato dei centro-destri: è da 23 anni che i primi eleggono dei loro presidenti, con risultati peraltro molto discutibili: siamo passati da Ciampi, banchiere militarista, all'infame doppiogiochista Napolitano sino al Mattarella, paludato e retoricissimo democristiano.
Se fossero onesti, almeno politicamente, tutti direbbero che l'ennesimo fallimento di questi giorni sarà usata come prova definitiva della necessità di giungere ad un presidenzialismo non più camuffato, all'elezione diretta del Presidente della Repubblica.
Come peraltro già dichiarano apertamente solo Renzi e Meloni, gli unici due veri leader -purtroppo- nella bolgia di smargiassi che si aggirano a Montecitorio.
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