Nelle società
attuali si risente enormemente di un'assenza di critica.
Lamentele e
rimproveri, colpevolizzazioni e proteste si succedono e si
accavallano, ma mai un vero accenno di critica vera.
Riscontro poi che
più si abbassa il tasso della critica e più si alza quello delle
cosiddette criticità.
Tutti non fanno
altro che parlare di criticità, di qua e di là.
Perchè si usa
questa parola? Per non dire altro.
Per non dire crisi,
disastro, fallimento, catastrofe.
Ma anche già solo
al posto di parole meno forti, come problema o squilibrio.
Già le temiamo,
anche queste ormai, se dette apertamente. Troppo conflittuali.
Invece, criticità
piace.
Dà l'idea (falsa)
che si tratti di un affare da poco, limitato nel tempo, circoscritto,
casuale, non strutturale, sempre risolvibile.
Il che evita
eccessivi patemi d'animo o l'intrapresa di azioni collettive, di
critica, né tantomeno di lotte.
Insomma è una
parola-anestetico, un'ipotesi dormitiva in piena regola.
Ma le criticità,
chiamiamole pure così, in questo mondo sono tante e crescono di
numero, di intensità e di frequenza.
Non c'è situazione
che non viva e non conosca oggi le sue criticità.
Dovrebbe far ridere
dire che la giustizia penale e le carceri, il sistema scolastico ed
universitario, il circuito finanziario e le banche oggi soffrano
di alcune criticità.
Oppure che la
situazione climatica o del Medio Oriente presentino alcune
criticità, come continuano a dire gli esperti e i giornalisti in
tv.
Oppure che la
relazione tra cittadini e stati e democrazie sia giunto a un punto
critico.
Eppure non ridiamo,
li prendiamo sul serio, in apparenza.
Ma sappiamo, nel
profondo che le cose non stanno così.
Se stessero così,
non spenderemmo decine di miliardi per fare guerra, risistemare
istituzioni, tappare falle, respingere milioni di uomini e donne ai
confini, organizzare spettacoli ed eventi sportivi.
Non ci sarebbe
bisogno di tutto questo impegno, di tutti questi immani sforzi di
compensazione, per i quali -come gli schiavi delle piramidi-
consumiamo gran parte del nostro tempo, delle nostre risorse, e -in
sostanza- la nostra vita.
Il nostro mondo
avrebbe bisogno di riconoscere che non di criticità politicamente
corrette si tratta, ma di tragedie, violenze, discriminazioni,
umiliazioni, morti, distruzioni, assurdità.
Politicamente
scorrette, sì, ma solo queste sarebbero le parole giuste per dirlo,
per descrivere sinceramente quel che stiamo combinando nel mondo e
del mondo.
Se fossimo ancora
capaci di criticarlo (e -non azzardo neppure a dire- di
trasformarlo)...
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