Ci
troviamo a Zahle, già oltre il Monte Libano, da poche ore.
Abbiamo
lasciato Beirut stamattina con un minivan da Cola intersection, dopo
tre notti nella capitale.
La valle
(che però è anche altopiano, visto che siamo a 1000 metri circa)
della Bekaa, si muove tra Monte Libano e Antilibano, a pochi
chilometri dal confine siriano, a 50 da Damasco (il che -di questi
tempi- fa già una certa impressione).
E'
inevitabile pensare a quel che sta succedendo ancora di là, nel
vedere qui ancora tutti i segni devastanti di una guerra infinita,
ben presente nei palazzi coperti di pallottole, nelle belle ville
arabo-francesi abbandonate a se stesse, nel degrado di interi
quartieri lasciati a marcire da decenni, in attesa di essere
sostituiti da grattacieli faraonici ed enormi viadotti per Maserati e
Porsche che circolano a centinaia come non avevo mai visto, forse
neppure in America.
Una
polarizzazione fortissima ed evidente tra ricchissimi e ricchi da un
lato, e poveri e poverissimi dall'altro.
In una
città di lounges e casinò, yacht lussuosissimi ed Università
private, siamo stati ospitati in una casetta popolare al centro di
Hamra in cui l'acqua del rubinetto esce salata ed imbevibile.
E
sappiamo che solo a Beirut ci sono 5 campi profughi palestinesi (tra
cui la triste presenza di Sabra e Chatila) e che tutto il Libano
accoglie almeno 500.000 rifugiati dalla diaspora che è seguita alla
Guerra dei sei giorni e da allora in poi.
Una
città, Beirut, dai contorni dolcissimi su una costa che digrada su
mari agitati ed aperti, che i Fenici hanno solcato, commercianti
levantini ed astuti, da sempre, sino alla stessa Sardegna (anche
Cagliari è stata fondata da loro, e fu chiamata Karel).
Portarono
con sé l'arte della porpora, delle spezie, della seta e dell'oro.
Oggi
si aggirano a milioni per le strade sempre molto animate, tantissimi
giovani salgono e scendono da taxi e service a buon mercato, appaiono
sempre indaffarati in qualcosa e vestiti all'ultima moda.
Ma la
guerra, tra i soldi riciclati che girano a frotte e le paillettes
strabordanti e straluccicanti, continua a vivere sotto traccia e a
bassa intensità, dopo aver fatto quasi un milione di morti, e non
solo perchè la città è costellata di militari e posti di blocco,
ma perchè è una pace esagerata, che non convince, seppure
mascherata da tutti i brand di lusso che circondano con le loro
leccate palazzine rifatte una Piazza dei Martiri ancora abbandonata
ed attraversata da una Linea Verde in cui ancora si sente la puzza di
bruciato.
Le
ragazze, anche se arabe e musulmane, sono sempre vestite in modi
quasi europei, leziosi e appariscenti, sempre abbellite da un trucco
impeccabile, come se fossero bamboline o qualcosa di peggio.
Ieri,
dopo una mattinata intera al Museo Nazionale (davvero imperdibile),
ci siamo avventurati sulla Corniche, il lunghissimo lungomare,
popolato da famiglie in tiro e, all'altezza delle Pigeon's Rock, da
una inopinata e animatissima festa di centinaia di profughi curdi
(qui abbiamo anche fatto conoscenza con un profugo siriano di Aleppo,
Assim, un distinto e solissimo signore che ha regalato a Vivi un
profumino delicato).
Nei
prossimi giorni ci daremo ai primi giri archeologici, tra Aanjar e la
mitica Baalbek.
Qualche
foto vi darà l'idea di quanto sia stata ricca e importante questa
terra, che oggi appare piccola e quasi sconosciuta (pensate che non
siamo riusciti a trovare in italiano nessuna guida turistica sul
Libano che sia stata pubblicata dopo il 1996).
Il
paese è bello, la gente è ospitale, la situazione appare
tranquilla, quasi sedata.
Si può
girare senza problemi, ma è meglio star lontani dai confini, sia
siriani che israeliani (il Golan, a sud, è ancora terra contesa, e
vede sempre presente il contingente dell'Unifil, da vari anni).
Staremo
a vedere, ci sono ancora più di dieci giorni per proseguire il
viaggio...
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