'Non
fare lo stupido -gli rispose sua sorella, anche se già cercava di
reprimere un sorriso.
Lui
stava pensando a un gioco che avevano inventato da bambini: ridere a
comando, ma in maniera spontanea, senza senso. Avevano usato quello
stratagemma per sfuggire ai compiti, per poter uscire prima dalla
messa. Lavorandoci sodo e con dedizione avevano sviluppato e
perfezionato quella capacità: rotolarsi sul pavimento sghignazzando,
tenendosi la pancia come pazzi, prima di andare dal dottore o di
intraprendere qualche viaggio di famiglia, oppure la mattina di un
compito in classe per cui non avevano studiato.
Nessuno
dei due ricordava come fosse nato, ma a causa di quel gioco erano
stati puniti in molte occasioni, nonostante si fingessero sempre
innocenti. Non riusciamo a resistere, dicevano, sempre ridendo, le
lacrime a lambire l'angolo degli occhi, fino a quando le loro
rimostranze non li avevano portati a una seduta settimanale
collettiva da uno psicologo infantile.
Anche
dopo tutti quegli anni erano entrambi orgogliosi di non essersi mai
traditi a vicenda...
La
piazza di T era semplice, relativamente ben tenuta, e pittoresca...
L'Hotel
Imperial occupava il lato sud della plaza... Nell'albergo c'erano
anche l'unico ristorante e l'unico bar del paese, una piacevole
terrazza dove ho trascorso molte serate ad ammirare la piazza
sonnolenta. Il mio momento preferito della giornata era subito dopo
il tramonto, quando la luce del giorno svaniva dietro la cresta
occidentale e si accendevano i quattro lampioni della piazza. Quei
minuscoli boccioli di luce arancione mi riscaldavano: erano così
piccoli e il buio così immenso.
Mi
piaceva restare seduto lì a guardarli, abbracciando con gli occhi
quello spazio dove non sembrava accadere mai nulla.
Devo
ammetterlo: la stessa calma oppressiva che avevo detestato da
piccolo, ora la trovavo quasi affascinante.
Ma
che aspetto ha il niente ?
Quando
finalmente arrivò la madre di Rogelio, o meglio, quando gli fu
portata davanti, si stupì nel constatare quanto fosse piccola.
Ricordava che Rogelio gliela aveva descritta come una donna dalla
presenza imponente, con un carattere imperioso e una voce tonante,
capace di spaventare gli uomini; ma il tempo aveva cancellato tutto
quanto e ciò che restava era qualcosa di più leggero e più dolce.
La pelle chiara era quasi trasparente e coperta di rughe
intricatissime, come un foglio di stagnola accartocciata e poi
spianata di nuovo con la mano. I capelli sottili erano diventati
completamente bianchi ed era avvolta in una decina di strati, uno
scialle sopra un maglione sopra una camicetta a maniche lunghe sopra
un altro maglione. Portava calzettoni di lana al ginocchio
sovrapposti a un paio di pantaloni della tuta e, sopra ancora, una
gonna blu che le arrivava a metà polpaccio.
Apparteneva
a una generazione e a una cultura che avevano il massimo rispetto per
il freddo, una cultura che non si fidava del calore, ma lo
considerava solo un'illusione sporadica e passeggera.
Il
freddo è permanente, eterno, affidabile. Il freddo segna l'inizio e
la fine di ogni giornata...
Da
'Di notte camminiamo in tondo' di Daniel Alarcòn (2013).
Il
titolo riprende la famosa frase palindroma (cioè che si può leggere
anche alla rovescia)
In
girum imus nocte et consumimur igni
(Andiamo
in giro la notte e siamo bruciati, consumati dal fuoco),
che
è anche il titolo di un piccolo libro di Debord.
Non
a caso Alarcòn ha tratto un'epigrafe proprio dalla Società dello
spettacolo :
L'esteriorità
dello spettacolo in rapporto all'uomo agente si manifesta in ciò,
che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli
rappresenta. E' la ragione per cui lo spettatore non si sente a casa
propria da nessuna parte, perchè lo spettacolo è dappertutto.
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