Siamo
arrivati a Siviglia in piena notte di Venerdì santo, città
impazzita di gente, riti e processioni di nazareni. Madonne affrante,
Cristi doloranti e piegati, su argentatissimi e doratissimi carri,
sorretti dalle teste incappellate dai costal, seguiti da centinaia di
lugubri incappucciati di ogni età. E accompagnati da piccole bande
di fiati che suonano requiem.
Moltissimi
turisti iperfotografanti, ma anche molte persone prese davvero,
credenti...
Siviglia
è una città grande, elegante, che crede in sé, anche con una certa
sicumera.
Che
fa le cose in grande, che si mostra, che si vende.
La
cristianità qui ha ripreso possesso completo del minareto, della
grande moschea, della medina.
L'ha
sostituita con la tronfia Cattedrale gotica e barocca, lasciando solo
tracce dei caratteri islamici, negli azulejos, nella porta del
Perdono, in alcuni archi.
L'ha
sedotta ed acquisita nello splendido Alcàzar, ed i suoi aranceti
profumatissimi di zagare.
Diversa
la scelta di Cordoba, dove ora siamo.
La
Mezquita è rimasta quasi intatta, visibile, umile e maestosa nelle
sue tenui luminosità, pur circondata e avvolta dalla violenta luce
della enorme chiesa successiva.
E'
stato bello entrare poco dopo l'alba tra i suoi portali, attraversare
gli infiniti archi bianchi e rosso mattone, ammirare gli artesanados
in legno intarsiato sui tetti.
Terra
di filosofi e teologi e medici (Averroè, Seneca, Maimonide), a lungo
capitale più popolosa d'Europa, mescolamento di tre religioni e di
tante culture nel tempo.
Ma
anche luogo di processi, persecuzioni, diaspore, inquisizioni.
Tutto
sembra attenuato, ma le storie sono ancora ben vive, nelle pietre,
nelle vie, nei volti.
Il
viaggio procede, tra loro, e anche tra noi.
Nei
prossimi giorni ci muoveremo verso Granada, alla ricerca di nuove
Alhambre e di nuovi fiumi.
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