In questo anno, tra maggio e luglio,
non posso non ricordare tre anniversari, dolorosi, spigolosi, ma
anche perfetti, tondi tondi.
Si tratta di tre morti: vent'anni fa
moriva, impiccandosi ad un albicocco, Alex Langer.
Dieci anni fa, mia sorella si gettava
da un settimo piano e ci lasciava molto precocemente, a 42 anni.
Un anno fa, mentre mi trovavo in
Cambogia, si è spento gradualmente, a causa di un tumore e per
consunzione, mio padre.
Modi diversi di morire, vite diverse,
ma accomunate da questi tempi, da certe proporzioni del tempo (20,
10, 1), da ritmi che sento comuni dentro di me.
Dalla morte di Alex ho imparato ancor
più che dalla sua vita, pur grande: ho imparato che non ci si può
far carico del mondo intero, che non si può stare al crocevia di
tutti i dolori del mondo.
Perchè l'arco di ognuno -a un certo
punto-si spezza.
E che per amore della giustizia si può
finire per non essere giusti verso di sè.
Dalla morte di Titti ho capito che
potevo proseguire a non accontentarmi della vita, ma che dovevo
rinunciare al mito (materno) che ci accomunava, quello della
perfezione.
Sento che non ci sono ancora riuscito,
ne sento spesso il peso -soprattutto in amore-; forse non ce la farò
mai a liberarmene del tutto, ma proseguo a lavorarci sopra.
Mio padre, morendo, mi ha detto di
andare, da solo, nel mondo, definitivamente, per quel che potrò.
Per quanto sappia di non essere solo,
di avere intorno e dentro di me molte persone che mi hanno amato e
che mi amano, ho saputo -una volta per tutte- che la mia famiglia
d'origine si era spenta, che io restavo l'ultimo pezzettino di quella
storia, amorevole, terribile, perversa e tenera...
La società, l'arte, la cultura, la
civiltà intera sono solo scappatoie, un unico, gigantesco
autoinganno il cui scopo e di farci dimenticare che incessantemente
cadiamo attraverso l'aria e ci avviciniamo ogni istante di più alla
morte...La brevità della vita non doveva paralizzarci ma spronarci a
vivere in modo fluido e intenso. Il compito della morte era di
costringere l'uomo all'essenzialità. (S. Lindqvist, Sterminate
quelle bestie, p.121)
L'accumulo di significato è
direttamente proporzionale alla presenza della morte e alla forza
della decadenza (W.Benjamin, Conversazioni private, p.123)
Noi non siamo in potere d'alcuna
calamità finchè la morte è in poter nostro (Th. Browne, Religio
medici, p.70)
Voglio soltanto che il mio ultimo
pensiero si esprima sino all'estremo, devo aver cambiato idea. E'
tutto. Mi comprendo. Se la vita venisse meno, lo avvertirò.
(S. Beckett, Malone muore, p.210)
Si possiede un futuro finchè non si
apprende di non averlo. La rimozione della morte è la volontà di
vivere.
(H.G.Gadamer, Dove si nasconde la
salute, p. 73)
Non è infrequente che siano proprio
gli anziani, se gliene si dà l'occasione, ad aiutare i medici
dicendo che non hanno più voglia di combattere. Spesso, tuttavia,
accettare questo tipo di resa è più difficile per chi resta. C'è
un enorme bisogno di riformulare il concetto di abbandono.
(Iona Heath, p. 55)
Ricordo un'anziana signora: suo
marito era morto durante la notte, ma lei non chiamò il dottore fino
alla mattina dopo. Spiegò che aveva dormito rannicchiata contro il
suo corpo per cinquant'anni e desiderava stargli accanto un'ultima
notte. Era una forma di commiato graduale e misurato...
(idem, p.68)
(tutte le frasi sono tratte da Iona (Modi di morire, 2008),medichessa generale che ho appena letto grazie a Viviana, mia medichessa generale e particolare)
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